Convegno per "Un'Europa senza antisemitismo" 
organizzato dai cattolici di Sant'Egidio e dalle Comunità ebraiche
Fiaccolata nel luogo della retata nazista


16 Ottobre 2002,  Campidoglio


di Fabio Isman


LA SALA del Consiglio comunale di Roma è zeppa: si discute di antisemitismo. Fino a sera: quando un corteo di fiaccole va al Portico d’Ottavia e il sindaco intitola al 16 ottobre uno slargo, «dove il dolore si è consumato». 

La comunità di Sant’Egidio e l’Unione di quelle ebraiche organizzano, assieme; presenti cardinali e vescovi, Elio Toaff, Piero Terracina, uno dei pochi tornato da Auschwitz. La mattina, con Veltroni, era al Liceo Visconti: «Gli hanno tributato una standing-ovation», spiega il sindaco. Poi, subito al cuore della questione. Anche il marocchino ridotto in fin di vita a bastonate ne fa parte: «Moderna edizione del tema del diverso», dice Amos Luzzatto, presidente degli ebrei italiani. E sviscera il problema. Antisemita anche chiamare gli ebrei Giudei: «Non deriva dalla tribù cui apparteneva anche Gesù, ma dal bacio del traditore». C’è antisemitismo perfino in Paesi senza ebrei; un vecchio detto: «Solo in Israele uno sporco ebreo è un ebreo che non si lava». A Kippur, in tutto il mondo le sinagoghe erano presidiate.

I tempi non sono certo tranquilli: «Dal 1980 ci occupiamo del tema», spiega Andrea Riccardi, “anima" di Sant’Egidio; «gli ebrei sono una componente decisiva dell’identità di Roma: perché sia meno frittata, come diceva Pasolini». «Per la futura Europa più larga, essenziali dialogo e rispetto», spiega in un messaggio il Presidente Ciampi. «Tirano venti di nuovo antisemiti», dice ancora Riccardi; e se il sindaco conclude con un «mai più», riferendosi a quanto è successo nel ’43, l’“anima" di Sant’Egidio integra: «Mai più soli». Già: perché spesso, gli ebrei, aggrediti, si sentono soli. Lo testimonia, dalla Francia, Shmuel Trigano: 600 azioni antisemite in due anni, e per uno tenute quasi nascoste, non investigate, né punite. «Oggi si dubita della lealtà degli ebrei: 58 italiani su cento li credono leali verso Israele, e non verso l’Italia; sleali li pensano un europeo su due, un americano su tre», afferma Abraham Foxman, Anti Defamation League a New York. Sono “nuove frontiere"?

«No», spiega Paolo Mieli: solo un adattamento di antichi modi. L’antisemitismo in Europa è assai composito. «Quello di destra, mai estirpato anche perché, per 20 anni, si è parlato soltanto di deportazioni, e il problema della Shoa non è stato messo a fuoco. Poi, dal ’67, il sovrapporsi di antisemitismo e antisionismo; infine, da 20 anni, nei Paesi arabi il morbo si è diffuso, insegnato a scuola: e ora, con l’emigrazione, i frutti arrivano fino da noi». Aleggia uno spettro: nel 1982, durante una manifestazione sindacale, fu lasciata una bara davanti alla sinagoga di Roma; lo ricorda Riccardi, e Mieli sottolinea: «Mai saputo chi sia stato». Tante sottovalutazioni; «anche la distrazione fa il gioco degli antisemiti». 

Riccardo Di Segni, rabbino di Roma, dice che la ferita del ’43 non si è rimarginata ancora; e non solo quella. È di ieri la notizia che è stata rigettata la richiesta di «danni morali» avanzata da Erich Priebke, il boia delle Ardeatine, contro un dirigente ebraico di Roma. Alla Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio in Italia, «ho visto una mazza chiodata, con cui i nazisti percuotevano; una copia: l’originale, trafugato dal museo da neonazisti di oggi». Da rabbrividire. La Shoa, il 16 ottobre: Epifania del male, dice il rabbino; «punto di non ritorno», spiega Marco Szulc, che presiede i “Figli della Shoa": «Con i soldati nazisti, erano gli indifferenti di tutto il mondo»; per cui, «ora, dimenticare di insegnare a ricordare è un crimine: Fa restare la denigrazione umana come una cellula maligna nel mondo». Dal ghetto di Roma, «in 20 minuti, con cibo per otto giorni di viaggio», 59 anni fa partirono più di mille persone; ne tornarono 15 in tutto.

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