Walter Veltroni - Campidoglio, 16 ottobre 2002


Signor Rabbino Capo, Presidente Luzzatto, gentili signore e signori, uno scrittore ungherese, uscito indenne dalla più grande tragedia del Novecento, il nuovo premio Premio Nobel per la Letteratura Imre Kertesz, ci ricorda che "la memoria del passato e del male non può essere evitata, né rimossa. Il motivo - ha detto Kertesz  - è semplice: esiste un trauma europeo al quale nessuno può sfuggire". E ha aggiunto, riflettendo sulla Shoà, sulla sua personale esperienza di ragazzo ebreo deportato e sopravvissuto ad Auschwitz, che "non conta soltanto il che cosa, cioè la nuda successione degli avvenimenti, ma anche il come è potuto succedere".

Vorrei partire da queste parole, nel porgervi il mio saluto e quello della città di Roma, in una giornata per tutti noi così sentita, particolare, intensa. Per la nostra comunità, per l'intera comunità cittadina, questa è la giornata della memoria. Una memoria che, appunto, non può essere evitata o rimossa. E che noi non vogliamo evitare, non vogliamo rimuovere. Perché vogliamo che quel passato, quel male, non tornino. Mai più.

Il 16 ottobre è una data che rievoca uno dei momenti più tristi non solo per i suoi cittadini di fede ebraica, ma per tutta Roma. In quel trauma europeo, la nostra ferita più grande resta questa. Il rastrellamento di quella mattina, le vie del Ghetto attraversate dalle grida e dal dolore di nostri concittadini, i vagoni partiti dalla stazione Tiburtina, restano insieme alle Fosse Ardeatine il nostro trauma più forte, intenso e incancellabile.

Il ricordo di quel giorno, di quella pagina della nostra storia, vivrà oggi attraverso la marcia silenziosa che tra poco unirà, anche simbolicamente, il Campidoglio, cuore di Roma, con il Portico d'Ottavia, cuore della comunità ebraica. Un cammino che unirà l'impegno civile di coloro che al di là di ogni differenza di credo hanno a cuore il rispetto di ogni essere umano, dei suoi diritti fondamentali e della loro inviolabilità. E la necessità, dunque, di non smettere di lottare perché questi diritti e questa dignità non vengano mai calpestati.

Non sono mancati, non mancano, episodi che ci dicono di come tale necessità sia ancora viva, urgente e attuale. L 'antisemitismo ha attraversato il nostro continente, e purtroppo anche l'ltalia. Eppure l'esempio aberrante del nazismo, l'abisso senza pari dei campi di sterminio, e prima ancora i pogrom, i secoli di persecuzioni, non sembrano essere stati sufficienti a cancellare la discriminazione razziale e religiosa, ad eliminare un antisemitismo che alcune minoranze senza cultura e coscienza traducono in odio aperto, e che altri dimostrano con una diffidenza e una intolleranza più sottili, ma comunque pericolose, perché nemiche della pacifica convivenza, del futuro.

La storia dell'Europa è complessa. È una storia che è passata attraverso assolutismi e rivoluzioni, attraverso slanci utopistici e grandi nefandezze. E' una storia che ha voluto dire, solo sessant'anni fa, una guerra distruttiva e lacerante, che ha segnato un ritorno alla barbarie più atroce, all'assassinio dell'uomo sull'uomo.

Da questa regressione, altri uomini, altri europei, sono stati capaci di risalire, proponendo, e lentamente realizzando, un'unione all'inizio economica e ora sempre più sostanziale. E' stata una scelta che ha unito, che ha allargato 1 'orizzonte del nostro vivere e che ha contribuito ad estendere il concetto della pari dignità e dei diritti fondamentali di libertà.

Ma noi sappiamo che anche nel progresso della democrazia, o nell 'idea stessa di "modernità", come in qualche modo ha scritto Amos Luzzatto, possono risiedere paradossalmente i germi della discriminazione e del razzISmo.

Oggi abbiamo sotto gli occhi, reali e vive, le minacce non solo di chi compie atti violenti e persecutori, ma anche di culture, di tendenze politiche di fatto discriminatorie. Credo che a doverci preoccupare, di queste politiche, è il rischio che esse portino alla promulgazione di norme che finiscono per alimentare le paure più istintive delle persone, i sentimenti egoistici più immediati, di contrapposizione, di esclusione.

Difficile dimenticare, soprattutto in un giomo come questo -a proposito di "come è potuto succedere" -le parole di Adolf Eichmann, che per spiegare le nefandezze commesse, per raccontare I 'aberrante "logica" delle deportazioni e delle camere a gas rispondeva tranquillamente, "banalmente", di aver solo ottemperato alle leggi.

Nulla è paragonabile ad allora, a quel crimine. Ma è proprio questa de- responsabilizzazione che ci deve preoccupare. E' la tendenza a delegare la propria responsabilità individuale che spesso finisce per essere una delle cause più pericolose dell'allargarsi delle discriminazioni.

Un grande filosofo contemporaneo, Ernst Jonas, con il "concetto di responsabilità" ha affermato la totale inscindibilità dell'agire dell'uomo dalle conseguenze delle sue azioni. Ecco, io ritengo che questo, oggi più che mai, sia un concetto fondamentale, e che fondamentale sia ricordare come il silenzio o la delega silenziosa siano comunque un'azione.

Tenere bene presente la responsabilità che ogni persona ha, vuoI dire non dimenticare che oggi, 16 ottobre 2002, siamo in grado di conoscere, di sapere, quanto accade attorno a noi.

Abbiamo compiuto un lungo cammino, sappiamo quali sono i diritti di ogni essere umano, sappiamo a cosa porta l'odio e la discriminazione, sappiamo a cosa porta impedire alle persone di esprimere la propria identità attraverso le proprie idee politiche e religiose. E sappiamo quali sono le conseguenze di dividere ed escludere le persone per gli stessi motivi. Noi sappiamo. Dunque sta anche a noi.

Come Sindaco di una delle capitali del continente in cui gran parte di questo cammino dell'uomo si è svolto, io sento allora di avere, di condividere, la responsabilità di lavorare quotidianamente perche in questa città crescano, attraverso il dialogo e la conoscenza reciproca, il rispetto, la tolleranza, il senso di una comune appartenenza.

Non c'è un'alternativa positiva. Contrapporre, alimentare le divisioni, scavare un fossato fatto di differenze e di pretese superiorità, significa avvicinare il nostro futuro a una situazione di conflitto totale. Occorre invece coraggio, è indispensabile sforzarsi di adottare un 'opzione forse più complessa, ma sicuramente più responsabile. Responsabile del fatto che nel mondo attuale il progresso di ognuno è indissolubilmente legato a quello dell'altro, che abbiamo tutti una comunità di destino.

Roma sta cercando di fare questo, tenendo fede alla sua tradizione, al suo ruolo di grande capitale e alla sua stessa identità di "città aperta", di luogo di incontro, di accoglienza e di scambio tra popoli, culture e religioni diverse.

È con questa idea, ad esempio, che un anno fa, poco dopo 1'11 settembre, nel momento in cui il mondo intero rischiava di dividersi in una reale guerra di civiltà, noi abbiamo voluto che proprio qui in Campidoglio fosse ospitato un incontro tra tutte le differenti comunità religiose della città.

Ed è sempre per questo che abbiamo voluto proporre Roma come punto di incontro, di dialogo, anche e soprattutto nei momenti più difficili, fra i rappresentanti del popolo israeliano e di quello palestinese. Penso ai negoziati che qui si sono svolti. Alla fiaccolata conclusasi al Colosseo. Al concerto per la pace in Medio Oriente e alla stretta di mano, all'interno sempre del Colosseo, tra Shimon Peres e uno dei principali consiglieri di Arafat.

C'è un lavoro quotidiano e continuo da fare, e gli esponenti della Comunità ebraica così come anche gli amici di S. Egidio sanno bene quali sono lo spirito e il desiderio che ci animano e che ci hanno guidato in questi mesi. lo credo che insieme possiamo gettare i semi che ci permetteranno di raccogliere il raccolto voluto, fatto di dignità e diritti per ogni individuo, di tolleranza, di convivenza pacifica tra popoli diversi e tra persone di differenti culture e fedi.

Allora sì, continueremo a ricordare, perché ha ragione ancora Imre Kertesz adire che "Auschwitz è stato un evento fondamentale della nostra cultura", e che "se c'è ancora una cultura europea, allora deve costruirsi su questo", Ma insieme, avendo memoria, proseguendo sulla strada del dialogo e della pace, potremo anche ragionevolmente credere che quanto accaduto allora non accadrà più. Mai più.

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