VVENIMENTI

 

27 gennaio SHOAH

giorno della memoria




Amos Luzzatto
Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Vi sono due modi per affrontare il problema della unicità (forse meglio della specificità) della Shoà.

Il primo richiede di scegliere tra due diversi obiettivi: o quello di unire la nostra consapevolezza delle persecuzioni e delle stragi subite in quanto ebrei a quella di altri popoli e altre genti che, in parallelo, sono stati perseguitati e massacrati, per essere, noi e loro, solidali nell'opera di prevenzioni di minacce future; oppure quello di insistere su quella che è stata da tempo definita come 'emeq ha-bakhà (la valle del pianto), di mantenerci uniti e isolati nel nostro pianto ebraico, che ci ricorda sofferenze secolari incomparabili con altre, sofferenze che noi soli possiamo capire.

Condizionare la ricerca a uno di questi due obiettivi non aiuta a capire meglio che cosa è stata la Shoà, indica piuttosto come possano svilupparsi i nostri rapporti con gli altri dopo la Shoà. Ma noi non seguiremo questa impostazione.

Infatti il secondo modo di affrontare il problema è quello di provare a studiare quelle che potremmo chiamare le "componenti" della Shoà. È certo che la Shoà, se considerata esclusivamente alla stregua di una strage, non è stata "unica". Esattamente come nel 1492, la cacciata di tutti gli ebrei dalla Spagna, se considerata esclusivamente alla stregua di una espulsione in massa, non è stato unica nella storia. Ma, per restare nel modello delle stragi, è altrettanto certo che esse sono state generalmente caratterizzate (mai "giustificate") da precisi obiettivi contingenti, quali una conquista territoriale o la conquista violenta del potere all'interno di uno Stato o di una struttura secolare propria di una determinata religione.

Ma la Shoà non è stata semplicemente la somma algebrica (nel tempo e nello spazio) di atti di espulsione, schiavizzazione, stragi, nei confronti degli ebrei. Persino così, essa avrebbe acquisito caratteri qualitativi specifici, anche se, presi singolarmente, ciascuno di quegli atti violenti avrebbe potuto essere, quantitativamente, più rilevante nei confronti di altre genti perseguitate.

Nella Shoà, lo strumento perverso "sterminio degli ebrei" era nel contempo anche l'obiettivo cui tendevano i nostri persecutori. A ben vedere, lo stesso termine tedesco di "Endlosung" li riassume in sé entrambi, indicando tanto l'azione quanto il suo risultato. E già questo è un connotato specifico.

Ma ciò che più conta è la impossibilità di separare la Shoà dalla dottrina del razzismo che l'ha preceduta e che purtroppo le sopravvive.

In un certo senso, la stessa parola "razzismo" è falsa e fuorviante, come è altrettanto falsa e fuorviante la dottrina del "darwinismo sociale" che ne è stata la progenitrice, nella "civilissima" Europa di fine ottocento. Questa dottrina non aveva affatto lo scopo di comprendere come si manifestasse, biologicamente, la migliore capacità di garantirsi la continuità (della specie) a fronte delle mutevoli condizioni ambientali, ma semmai quello di giustificare politicamente la soppressione violenta di un gruppo umano (arbitrariamente definito "razza") da parte di quei banditi sanguinari che si erano imposti al potere.

Alla ricerca scientifica che, partendo dalla sopravvivenza di una specie, cercava di risalire alle condizioni ambientali che l'avevano favorita, si sostituiva ora con prepotenza l'identificazione a priori della cosiddetta razza (ovviamente, la propria) che avrebbe "dovuto" prevalere per mettere in atto quindi le misure politiche e sociali, comprese le camere a gas, che avrebbero garantito questo risultato.

Non sappiamo se questo processo (che va dalla dottrina della razza ad Auschwitz) sia unico, perché esso potrebbe ripetersi, ahinoi. Ma certamente è stato specifico. E, ciò che più conta, ha lasciato i suoi frutti.

Di questi ce ne sono di due tipi. C'è da un lato chi invita a dimenticare il passato e, con fare bonario e giulivo, a omologare perseguitati e persecutori e a guardare "al futuro". Già, il futuro: ma quale? Ma ci sono anche coloro i quali non esitano a erigere veri e propri monumenti al passato, che suonano come minacce non solo per noi ebrei ma anche per tutta la società.

Il "giorno della memoria" si ripeterà anche quest'anno il 27 gennaio del 2002 ed è Legge dello Stato, non solo ricordo di lutto per noi ebrei. Certo, ci saremo anche noi. Ci saremo a testimoniare, nel ricordo dei volti cari di coloro che sono stati macellati. E non certo per ignorare o per sottovalutare le sofferenze di tanti popoli oggi, quelle sofferenze che si chiamano fame, AIDS, bambini uccisi o mutilati. AI contrario, perché capire il passato, nella sua specificità e non soltanto in una generica e retorica cerimonia, ci può aiutare nel presente a impedire la continuazione di sofferenze, di lacrime e di sangue, in casa nostra e nella casa del nostro vicino. Forse. Ma dobbiamo e vogliamo tentare.


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