David Bidussa


Non mancano iniziative e appuntamenti in tutte le città e piccoli centri in Italia per celebrare nel modo migliore il Giorno della memoria. Le riflessioni che seguono aiuteranno la nostra comprensione.

Spesso riteniamo che la memoria sia ricostruzione esatta in ogni dettaglio del passato. In questo senso memoria tende ad essere inclusa e descritta come ricostruzione fotografica di ciò che è avvenuto.

Tra storia e memoria, tuttavia non si dà assoluta corrispondenza. Forse chi ha definito in maniera più netta e precisa questa differenza e allo stesso tempo ha delineato l’inquietudine del rapporto tra storia e memoria come due ambiti tra loro non identici pur riferendosi entrambi al passato è stato lo storico Pierre Nora. Dalle sue parole conviene partire

“Memoria e storia: lungi dall’essere sinonime, noi ci rendiamo conto che tutto le oppone. La memoria è la vita, sempre prodotta da gruppi umani e perciò permanentemente in evoluzione, aperta alla dialettica del ricorso e dell’amnesia, inconsapevole delle sue deformazioni successive, soggetta a tutte le utilizzazioni e manipolazioni, suscettibile di lunghe latenze e improvvisi risvegli. La storia è la ricostruzione, sempre problematico e incompleta di ciò che non c’è più. La memoria è un fenomeno sempre attuale. Un legame vissuto nell’eterno presente; la storia una rappresentazione del passato. In quanto carica di sentimenti e di magia, la memoria si concilia con dettagli che la confortano; essa si nutre di ricordi sfumati, specifici o simbolici, sensibile. a tutte le trasformazioni, filtri, censure o proiezioni. La storia in quanto operazione intellettuale e laicizzante, richiede analisi e discorso critico. La memoria colloca il ricordo nell’ambito del sacro, la storia lo stana e lo rende prosaico. La memoria fuoriesce da un gruppo che essa unifica, ciò che equivale a dire che ci sono tante memorie quanti gruppi; che essa è, per sua stessa natura, molteplice e riduttiva, collettiva, plurale e individualizzata. La storia, al contrario, appartiene a tutti e a ciascuno, aspetto che le conferisce una vocazione all’universale. La memoria si radica nel concreto, nello spazio, nel gesto, nell’immagine, in un oggetto. La storia si installa nelle continuità temporali, nelle evoluzioni e nei rapporti tra le cose. La memoria è un assoluto mentre la storia non conosce che il relativo. 
[Pierre Nora, Entre mémoire et histoire. La problématique des lieux, in Les lieux de la mémoire, Gallimard, Paris 1984, I*, p. XIX]”.

La memoria dunque presume un rapporto con il vissuto, ma presume anche una pratica con un luogo o la raffigurazione di un luogo; e include che si abbiano dei gesti, dei modi, dei riti. Tutto questo è importante allorché si definisce la memoria come “vuoto” o come ricordo di un vuoto. Questo aspetto è essenziale allorché  si affronta il contenuto del “giorno della memoria”.

Il “giorno della memoria” è un luogo della riflessione che nasce senza rituali e senza riti pubblici. Ovvero ha un riferimento storico, evoca un evento preciso accaduto, richiama una lunga catena di avvenimenti di storie private, pubbliche e collettive, ma non ha un protocollo definito.

Sarà solo il tempo, la consuetudine, la ripetizione  a riempire di rituale questa scadenza. Ci sarà il tempo per dare modo che si consolidi una ritualità? Oppure la distanza temporale già ora rende difficoltoso questo passaggio? E ancora: Chi deve costruire questa ritualità?

La domanda può apparire banale, ma in breve significa questo: una volta chiarito di che cosa si parla quando si parla del contenuto del “giorno della memoria”, per chi  e a chi parla il “giorno della memoria”?

In breve. In Europa ci sono varie date che legano memoria dello sterminio e riflessione pubblica. Queste date dicono sostanzialmente che quell’evento ha avuto luogo nello specifico dell’area nazionale come atto localizzato in quel territorio, riferito a un evento specifico, per la responsabilità di attori concreti, in forza di decisioni formali che corrispondono a un preciso sistema. Riguardano l’Europa complessivamente ma anche il contesto nazionale specifico. Stanno nella storia nazionale e hanno un valore che va oltre la comunità nazionale.

Il 27 gennaio ha nella storia italiana lo stesso valore?
E se no, non sarebbe il caso allora di riferirlo con degli atti concreti in luoghi concreti che con quella data hanno una relazione? Ovvero di definire un rito? Il rischio altrimenti non è forse quello di costruire una realtà priva di legami con la collettività che lentamente si risolva in una rievocazione senza relazione a una storia nazionale?

Ma, diversamente, si potrebbe anche proporre un altro paradigma.
Perché un evento acquisti il carattere di significato nazionale per una comunità occorre che si costruisca la consapevolezza di un lutto e dunque di un vuoto, ovvero di una cosa che segni pubblicamente un prima e un dopo. In quel vuoto si costruisce una memoria pubblica.

Tutti i monumenti pubblici (cippi, lapidi, monumenti al caduto, ….) sono il risultato non di una raffigurazione astratta, ma di un segno che lega nomi a luoghi. L’unico luogo senza nome fondato su corpi senza nome è la costruzione della statua al “Milite ignoto” che  si fonda proprio sul principio dell’anonimato per parlare a tutti e includere tutti.
Ma questo aspetto rientra ancora nelle memorie nazionali. Il giorno della memoria o i differenti giorni della memoria includono che si costruisca una relazione tra memoria nazionale e memoria transnazionale.

Il giorno della memoria appartiene a un modello di rievocazione che deve andare contemporaneamente oltre lo specifico nazionale e riferirsi alla costruzione di una identità europea democratica.

Resta allora aperto il problema di un giorno europeo della memoria. Ma questo non avviene contro o sovrapponendosi a una delle date scelte. Se così fosse noi avremmo solo lo slittamento di una difficile formazione di una memoria pubblica nazionale dentro un quadro europeo con il risultato di delegare a un ente politico ancora astratto il dovere di riflettere sulle storie nazionali. Sarebbe non solo un errore, ma anche un modo elegante, ma miope, per sottrarsi dal fare i conti con l’inevitabile declino di un giorno senza rituale.


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