Conferenza in occasione della consegna dell'edizione 1999 del 
Premio Internazionale Senatore Giovanni Agnelli
 
per il DIALOGO FRA GLI UNIVERSI CULTURALI
[*]


L'onore che mi fate assegnandomi il Premio Internazionale per il Dialogo fra gli Universi Culturali è racchiuso nella parola "dialogo". Dialogos, termine usato innanzitutto dai filosofi, in primo luogo da Aristotele e da Platone, deriva dal verbo dialeghein, "discutere", e non significa "parlare a due", come spesso si crede, ma partecipare a un colloquio o a una discussione, con due o più persone, allo scopo di procedere insieme verso il logos, dia-logos, verso la verità. Dunque ogni dialogo presuppone un cammino in avanti.

Ciò mi induce a ringraziare voi tutti, ideatori e organizzatori di questo incontro, e voi tutti, amici cari provenienti da ogni orizzonte dello spirito, qui riuniti per l'assegnazione di questo premio, conferito nel 1997 al nostro amico Mohamed Talbi e oggi al sottoscritto.

Tale premio non è dovuto a meriti puramente individuali, bensì giunge a coronamento di un'azione essenzialmente collettiva, suscitata dall'incontro e dal dialogo di tutti gli amici che mi hanno accompagnato lungo il cammino da me percorso, presenti oggi così numerosi intorno a noi.

Tale cammino ebbe per me inizio sulla soglia della casa in cui nacqui, l'11 agosto 1917, ad Ain-Temouchent, nell'Algeria coloniale. All'età di sette anni fui colpito da un attacco di poliomielite, malattia a quell'epoca difficilmente curabile. Immobilizzato, vedevo passare lungo il Viale della Rivoluzione, dove abitavo, ebrei come me, cristiani, che erano i colonizzatori, e musulmani. Questi tre gruppi convivevano ignorandosi totalmente, spesso nutrendo un profondo disprezzo gli uni per gli altri. Chi erano? Perché si ignoravano? Quale era la causa dei loro conflitti e come era possibile sperare di riconciliarli? Tali domande, che da bambino mi ponevo, non hanno mai cessato di animare la mia ricerca di verità, sia durante l'adolescenza sia negli anni della vita adulta.

Gli studi all'Università di Parigi, intrapresi in varie direzioni per approfondire la mia conoscenza del giudaismo, del cristianesimo e dell'islam, furono brutalmente interrotti dal 1939 al 1945, a causa della seconda guerra mondiale. Non mi restava altra scelta che unirmi alle file della Resistenza. Alla macchia nella Francia centrale, eravamo trentatré compagni, uniti da un'azione comune al servizio della Resistenza. Il nostro gruppo crebbe durante quel periodo e nel 1945 giunse a contare circa cinquecento combattenti. Ma dei trentatré compagni iniziali ventinove erano morti, vittime della shoà. Noi, i quattro sopravvissuti, avevamo come primo dovere quello d'impedire che massacri così orrendi potessero ripetersi; essi avevano causato in cinque anni circa cinquanta milioni di vittime, fra le quali sei milioni di ebrei morti nei campi di sterminio.

Quanto a me, pensavo che occorresse riprendere il dialogo a partire dalle sue stesse radici e ciò mi spinse, durante la mia vita, a tradurre e commentare, in uno spirito di pace e di riavvicinamento e non certo di rivalità, la Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano.

Le attuali dimensioni planetarie riacutizzano i problemi relativi al linguaggio e alla comunicazione fra lingue e culture differenti. Ciò concerne non soltanto la problematica e la metodologia della traduzione, ma anche la teoria e la critica letteraria alla pari della storia culturale, soprattutto nel campo della filosofia e della religione. 

I ricercatori dovranno affrontare i problemi di traduzione - e non di interpretazione - tenendo conto del significato essenziale di tale termine. Linguisti e filosofi dovranno risolvere svariati problemi tecnici per fondare una nuova teoria del linguaggio, annunciatrice di una comunicazione umana. Ogni traduttore, invece di essere attento al messaggio che traduce, se ne impadronisce per amalgamarlo al proprio tessuto culturale e ideologico, senza preoccuparsi delle conseguenze di tale egocentrismo linguistico sulla comunicazione degna dell’uomo. 

Così il nome di JHVH-Adonai, Elohim, viene reso con decine di soprannomi che non hanno niente a che vedere con il suo autentico significato. Di conseguenza la traduzione, destinata al riavvicinamento delle culture, finisce per erigere fra di esse ostacoli talvolta invalicabili.

Preso fra le esigenze contraddittorie della fedeltà al testo e del desiderio di essere compreso e apprezzato dai suoi lettori, il traduttore si sente lacerato, spesso tentato di "fare meglio" del testo originale, che egli riveste di un'estetica estranea; tutto ciò ha conseguenze incalcolabili quando si tratta dei testi su cui si fondano le grandi religioni.

Le condizioni della sopravvivenza che il mondo ricerca andrebbero innanzitutto rintracciate nella padronanza di un nuovo linguaggio. L'arte di tradurre, nel significato più autentico di tale termine, deve diventare una scienza destinata a rendere più permeabili le frontiere che separano le lingue e le culture, per facilitare una comunicazione fra le discipline e all'interno di esse che sia rispettosa delle peculiarità di ciascuna cultura. Perciò la traduzione deve cessare di essere ciò che attualmente è, vale a dire un campo ancora riservato all'arte o, più spesso, all'artigianato per diventare una scienza viva aperta alle radici delle culture poste a confronto.

Per ciò che concerne la Bibbia, si renderà necessario un nuovo orientamento delle sue traduzioni, in modo tale da restituirla all'Asia, in cui nacque, senza tuttavia strapparla all'Occidente, che essa fecondò dando origine al cristianesimo.

In verità, la Bibbia è stata e rimane l'ambasciatore della saggezza orientale presso le nazioni occidentali. Gli ambasciatori che restano troppo tempo lontani dalla madrepatria rischiano, come è noto, di dimenticarne le sembianze autentiche. Lo stesso è avvenuto con la Bibbia. È possibile riscoprirla nei santuari del Giappone, del Nepal, dell'India, della Thailandia e di altri paesi d'Oriente, come sicuramente in molte sinagoghe, chiese, conventi, moschee e perfino università d'Occidente.

Sarebbe illusorio, e per certi aspetti nefasto, immaginare che una lingua universale possa imporsi a tutti i popoli, tuttavia occorrerebbe che, in ogni lingua esistente, metodi di traduzione nuovi venissero ad arricchire il linguaggio di valori nuovi, armonizzandone i significati globali. In verità, solo il silenzio può forgiare l'unità del linguaggio umano. Solo il silenzio permette di penetrare il mistero della pluralità delle voci interiori dell'umanità. 

Una nuova scienza, fondata su un'analisi della natura del linguaggio, deve superare i problemi sollevati da Babele e riavvicinarci al giorno salvifico in cui l'umanità avrà reintegrato nella propria vita reale la trasparenza che nasce dal silenzio. Una nuova umanità è in procinto di nascere. Se qualche cataclisma, ahimè fin troppo prevedibile, non ne brucerà i germogli, essa cercherà di dare vita all'utopia oggi inconcepibile, laddove, alle sorgenti del silenzio, ogni traduzione si rivelerà inutile, una volta istituite fra gli esseri umani nuove forme di comunicazione.

Ci troviamo a Torino, non lontano dalle rive del Mediterraneo, dove come voi anch'io sono nato. Ho trascorso la mia lunga vita a solcare le acque di questo mare e a viaggiare per i paesi che vi si affacciano, fra i quali la luminosa Italia, i cui tesori spirituali, letterari e artistici non cessano di nutrire i nostri spiriti. Gli universi culturali dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam, nati dalla fecondità della Bibbia, devono perciò aprirsi gli uni agli altri, in uno spirito di riconoscenza e di complementarità.

Da quel giorno di ottobre, del 1934, in cui, per la prima volta, attraversai questo mare per scoprire in Europa gli splendori delle culture che in essa videro la luce, il mondo è cambiato: lo spazio e il tempo hanno assunto direzioni e dimensioni che erano sconosciute all'epoca in cui nacqui.

Noi dobbiamo pensare al Mediterraneo e al mondo con urgenza tanto maggiore quanto più tutto si trasforma continuamente. L’esigenza di un approccio globale ai problemi è ormai una questione di sopravvivenza per tutti ed è inevitabile che i popoli affacciati alle coste del Mediterraneo si avvicinino gli uni agli altri, dal momento che la terra è diventata un villaggio globale e altresì si trasforma la natura dello spazio e del tempo.

I popoli costieri del Mediterraneo, legati dall'impero romano per circa quattrocento anni, hanno in seguito conosciuto innumerevoli conflitti di carattere religioso e nazionale, dai quali sono stati condotti sistematicamente alla rovina. È così che prende forma l'iniziativa degli spagnoli e degli italiani, i quali, a partire dagli anni novanta, inaugurano un nuovo capitolo di storia mediterranea: il partenariato euro-mediterraneo ha sostituito i rapporti di forza del passato, trovando conferma nella conferenza di Cannes (giugno 1995). 

Il 18 novembre dello stesso anno, la conferenza euro-mediterranea di Barcellona riuniva per la prima volta i ministri degli Affari esteri di ventisette paesi europei, nordafricani e mediorientali. La dichiarazione cosiddetta di Barcellona completava i numerosi accordi bilaterali già esistenti, attraverso convenzioni multilaterali che schiudevano le porte di un nuovo avvenire alle risorse umane e agli scambi fra i popoli e le culture del Mediterraneo.

Un nuovo modo di pensare si sostituiva ormai al passato conflittuale delle economie e delle religioni mediterranee, consentendo la mobilizzazione non solo delle autorità ma anche dei popoli prima contrapposti. Era necessario offrire un’opportunità all'unificazione auspicata dai pionieri di tale riconciliazione. La conferenza di Malta, il 16 maggio 1997, ha confermato l'autorevolezza della dichiarazione di Barcellona. Essa ha preso atto dei rapidi progressi attuati dopo il 1995, creando il clima di fiducia necessario per aprire il Mediterraneo alla sua nuova riunificazione.

Nel 1998, il Multaqha [incontro, NdT] di Agrigento promosso dall'UNESCO ha rappresentato il punto d'arrivo delle tendenze di cui si è parlato, giacché vide riunirsi una rappresentanza significativa di tutti i popoli del Mediterraneo. Barcellona aveva affermato la volontà dei governanti di cambiare il corso della storia. Il Multaqha di Agrigento confermava tale nuovo orientamento attraverso la massiccia adesione delle associazioni della società civile che, sotto l'egida dell'UNESCO, erano state create dopo Barcellona. Un'identica volontà si manifestava, con lo scopo di realizzare un partenariato fra i quindici governi dell'Unione Europea e i tredici paesi mediterranei invitati a riunirsi.

È sufficiente aprire gli occhi per rilevare che, su tutte le rive del Mediterraneo, prevale lo stesso ambiente geografico e umano, all'ombra degli ulivi e sotto la luce abbagliante e l'azzurro di questo mare. Il suo sviluppo economico a livello regionale non potrà non fondarsi sulla cooperazione, il partenariato e l'integrazione dei popoli e delle loro culture. La soluzione dei conflitti che insanguinano ancora il Mediterraneo nei Balcani, alle frontiere turche o in Medio Oriente offrirà, alle soglie del terzo millennio, nuove opportunità al sogno profetico della nascita di una terra nuova e di un uomo nuovo, sotto il suo cielo azzurro.

Era per me assolutamente evidente che il dialogo fra gli universi culturali doveva passare attraverso il dialogo fra l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam, sempre alimentato e mai interrotto. Il sangue delle vittime della guerra doveva fecondare la nascita dei primi movimenti d'Amicizia Ebraico-Cristiana e, in Algeria, delle associazioni d'amicizia fra religioni monoteiste. Occorre ricordare i nomi di pionieri quali furono Jules Isaac, i padri Riquet e Daniélou, Edmond Fleg, il gran rabbino Jacob Kaplan, lo Cheikh Hamza Boubakeur e numerosi altri. Il sogno, comune a molti di noi, di un riavvicinamento a partire dalle fonti scritturali non tardò a far sentire i suoi effetti. 

Il conflitto bimillenario che contrapponeva cristianità ed ebraicità ebbe una svolta grazie all'umile operato di quelle associazioni d'Amicizia Ebraico-Cristiana. Alcune riforme concernenti la liturgia e la catechesi permisero d'intraprendere l'opera di riconciliazione che auspicavamo. Tale riconciliazione, avviata nel primo dopoguerra, proseguì sotto il pontificato di Giovanni XXIII e ricevette una ratifica storica durante il Concilio Vaticano II e nei documenti da esso promulgati, in modo particolare nella dichiarazione Nostra Aetate e nelle varie iniziative che a essa si ispirarono. Questo stesso movimento condusse, in seguito, a un avvicinamento fra la Santa Sede e lo stato d'Israele e infine a un riconoscimento reciproco, il 30 dicembre 1993.

La creazione dello stato d'Israele l'indomani della shoà aveva suscitato autentica commozione in tutto il mondo. Dopo il 15 maggio 1948 gli ebrei si avviarono numerosi verso il loro antico e insieme nuovo paese, in cui assistettero e contribuirono alla risurrezione del loro popolo, del loro stato, dello loro lingua e della loro cultura.

Entro i confini dell'antico regno di Davide essi presero coscienza dell'universalità del loro popolo, Israele, impresso nell’essere dell'intera umanità. Grande fu la nostra sorpresa nel constatare che provenivamo da ben centodue paesi e che parlavamo novantanove lingue differenti, per rinascere nella lingua della Bibbia, l'ebraico, anch'essa risuscitata. La commozione non fu minore fra gli arabi.

Gerusalemme rappresenta uno dei crocevia più importanti di quell'incontro fra l'Asia e il Mediterraneo da cui sono nati la Bibbia e il Corano, e un punto d'incontro d'importanza storica fra nord e sud, fra paesi ricchi e paesi poveri. Essa è anche il luogo in cui si sono formati la Toràh, il Nuovo Testamento e il Corano, che pure ha qui le sue radici.

Alle soglie del terzo millennio la città, per la sua posizione geografica e storica, è l'epicentro di un confronto e di un conflitto permanente fra i popoli e le religioni che a essa si richiamano. Gerusalemme può e deve, invece, diventare il centro della loro riconciliazione esemplare, dove si incontrano l'Asia, l'Africa e il Mediterraneo.

Capitale nazionale d'Israele, capitale religiosa dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam, Gerusalemme avrà dunque il compito di realizzare le speranze nutrite dai suoi fondatori e, lungo i secoli, dai suoi abitanti ebrei, cristiani e musulmani, i quali hanno tutti cullato la visione di un'alleanza universale di pace. La riconciliazione dei suoi abitanti – ebrei provenienti da tutti i paesi del mondo, musulmani appartenenti a tutti i gruppi etnici e a tutti i riti dell'islam e cristiani che, con le loro trentacinque differenti confessioni, rappresentano in modo perfetto l'ecumenicità della Chiesa – costituisce il vero volto della nostra città, a immagine del "villaggio globale" del mondo. 

Una Gerusalemme realmente pacificata in tutti i suoi abitanti potrebbe diventare uno dei luoghi privilegiati dell'incontro fra il Creatore e le Sue creature, fra Dio e gli uomini. Sarà sufficiente riconoscere in ognuna delle creature il suo rapporto di filiazione con il Creatore dei cieli e della terra: ebrei, cristiani e musulmani, uomini di ogni razza e provenienza, siamo tutti figli Suoi, figli dell'Alleanza originale su cui si fondano le nostre tre religioni abramitiche, che contano oltre due miliardi di fedeli, ebrei, cristiani e musulmani, uomini che dovrebbero riconoscersi fratelli e assomigliare all'uomo nuovo annunciato già dai nostri profeti. 

Al termine di tante migliaia di anni da Abramo, da Mosè e al termine del secondo millennio da Gesù, è infine tempo che il popolo dell'Alleanza tenga fede alle promesse fatte, giacché tale popolo esiste: esso non annovera solamente circoncisi e battezzati, ma ogni uomo vivente, costruttore di pace, sorgente di vita. Quanto al paese dell'Alleanza, solo la terra intera oggi potrebbe esserlo, definitivamente votata alla luce dell'amore.

Ecco dunque che la risurrezione si accompagna a un lungo e difficile cammino, quello dell'intera umanità in cerca della propria pacificazione e della propria unificazione. Il mondo nuovo che sta per nascere tende a comporre le fratture provocate dal conflitto fra le nazioni e le religioni.

Attraverso gli universi culturali, la cui ricchezza è altrettanto varia quanto gli innumerevoli fiori della primavera piemontese, celebriamo qui il dialogo e l'incontro dell'uomo con l'Uomo. Noi siamo i figli di una generazione che si è mostrata capace dei più grandi crimini perpetrati nella storia, le cui vittime si contano in decine di milioni. Questa stessa generazione ha inoltre disvelato con il suo genio i segreti più riposti sia dell'infinitamente piccolo sia dell'infinitamente grande, e oggi si eleva nella stratosfera per contemplare direttamente Giove o Venere. Saprà scoprire il Volto del Creatore dei cieli e della terra?

Sulla terra, questa stessa generazione ha riconciliato ebrei e cristiani, i figli di Cristo e quelli d'Israele, grazie al genio dei grandi papi della seconda metà del secolo attuale, cioè Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ci auguriamo che, alla vigilia dell'anno giubilare, la riconciliazione dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam inauguri la via regale dell'autentico dialogo fra tutti gli universi culturali, sia quelli nati sulle rive del Mediterraneo sia quelli sorti in Asia, in Africa e nelle Americhe. Rabbini, preti e imham dovranno privilegiare, aldilà delle loro divergenze teologiche, l'ideale dell'Alleanza, cioè del dialogo fra gli universi culturali. Sottolineamolo con forza: la Toràh è il libro dell'Alleanza, Berith, il Nuovo Testamento è il libro della Nuova Alleanza così come il Corano impone ai suoi figli il compito di realizzare le alleanze di Abramo, di Mosè e di Gesù.

Nella Bibbia la piramide dell'Alleanza ha inizio con l'atto creatore dei cieli e della terra: "Bere'/shi/t bara' Elohim 'et ha-/samayim ve-'et ha-ere#s", "In principio Dio [Elohim] creò i cieli e la terra". Tale atto creatore fonda l'alleanza fondamentale di Elohim con tutte le creature delle quali Egli è Padre. Noè e Abramo confermano tale alleanza, estesa a tutti i popoli della terra, mentre Mosè stipula, nella cornice drammatica del Sinai, l'alleanza di Elohim con il popolo d'Israele. Gesù e i Suoi apostoli rinnovano la validità dell’alleanza nel Nuovo Testamento. Altrettanto avviene, a questo riguardo, nell’islam: Mu#hammad, ispirato da Dio, intende realizzare l'ideale di Mosè e di Gesù, la cui autenticità è riconosciuta e confermata dal Corano in cinquecentodue versetti.

L’inveramento di tale visione, che è al primo posto sia nell'ebraismo sia nel cristianesimo e nell'islam, potrebbe salvare il mondo dalle conflagrazioni sin troppo prevedibili e dai pericoli mortali che lo minacciano.

La mia Lettre à un ami arabe, pubblicata in francese nel 1968 e tradotta in inglese e in arabo, prefigurava una soluzione durevole al conflitto fra israeliani e palestinesi, con la proposta di una confederazione che riunisse entrambi i popoli. A quell'epoca, tale soluzione sembrava una chimera. "È un'utopia", dicevano i critici. Poi, con il trascorrere del tempo, la Giordania ha firmato un trattato di pace con Israele, mentre l'entità palestinese e lo stato d'Israele sono arrivati al riconoscimento reciproco il 13 settembre 1993. Anche il Marocco e la Tunisia hanno instaurato nuove relazioni con Israele.

Il fuoco della guerra continua a mietere vittime in attentati nella maggior parte dei casi provocati da forze estranee al paese, terroristi istigati e prezzolati da estremisti quali gli Hezbollah. Tuttavia, la pace non è certamente più considerata impossibile dai due popoli, che fanno le spese della guerra. Nel profondo, i nostri due popoli aspirano a una riconciliazione reale, che apra le porte a un avvenire degno della loro trascorsa grandezza. 

È così che le idee seminate da tutti coloro che sono animati dall'ideale di riconciliazione si sono fatte strada: fin dal 1988 il nostro Movimento per la Confederazione si è preoccupato di assicurare solidi fondamenti giuridici alla pace, nel quadro di una confederazione di due stati associati sotto il controllo di una Corte di giustizia che tuteli i diritti e la sicurezza di tutti gli abitanti. Infatti, sarebbe un errore cercare la pace in un luogo che non sia il cuore dei nostri popoli. La soluzione di tale conflitto non verrà mai da una mera spartizione territoriale, qualunque essa sia. 

Lo stato di tipo hegeliano, napoleonico o prussiano è ormai anacronistico e in Medio Oriente costituirebbe un'assurdità ancora più grave, laddove le nazionalità, le etnie e le religioni sono strettamente intrecciate le une alle altre. Occorre abbandonare in modo risoluto lo jus soli per adottare il principio dello jus personae, anteponendo il diritto personale al diritto del suolo su cui avviene la convivenza. Invece di dividerlo, è dunque necessario unificare il paese, separando le competenze amministrative in modo tale da garantire i diritti legittimi di ciascuno.

Solo una trattativa diretta fra israeliani e palestinesi potrà permettere l'edificazione di tale confederazione mediorientale, bicefala (Israele e Palestina) o tricefala (Israele, Giordania e Palestina) che sia. Gerusalemme, capitale d'Israele, svilupperà la vocazione di capitale della confederazione, come già lo è dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam. Il suo compito sarà quello di unificare i popoli e le religioni, salvaguardando la specificità di ciascuno nell'unità territoriale del paese grazie a un'equa ripartizione delle competenze.

I popoli della regione, malgrado le bramosie e le bravate dei loro dirigenti e dei loro politici, sono sfiniti e chiedono grazia, come chiede grazia la terra lacerata dal conflitto. Ora più che mai è il momento di resistere ai ciechi estremismi di ogni frangia. Questa pace, così difficile da realizzare, finirà per vincere sia le pesantezze e le lacerazioni della storia sia i potenti interessi di coloro che di tale conflitto ancora vivono.

Riconciliatevi, ebrei, cristiani e musulmani, a Gerusalemme e in tutto il Medio Oriente, e creerete, alle soglie del terzo millennio, una comunità unificata da una fede comune, dal medesimo dialogo e dalla stessa speranza, quella dell'Alleanza predicata da Mosè e da Gesù e promessa da Mu#hammad. Intorno al centro gerosolimitano di tale confederazione, si riuniranno a far parte tutti coloro che si sentono legati alla sua storia o ai suoi ideali di giustizia e di pace. Sarà necessaria tutta questa potenza spirituale, viva e unica, per vincere i pericoli mortali, ahimé molto concreti, che minacciano la terra, nostra madre. In tal modo, la tecnica giuridica moderna servirà a che si compia l'antica profezia di Isaia, che previde, più di duemila anni fa, la gloria di Gerusalemme, luogo di riconciliazione dell'Oriente e dell'Occidente, del Nord e del Sud: 


Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa quanti la amate.
Sfavillate di gioia con essa
voi tutti che avete partecipato al suo lutto. 

"Ecco io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità;
come un torrente in piena
la ricchezza dei popoli" 

(Isaia 66, 10, 12 e segg.).


[*] Fonte: Fondazione Giovanni Agnelli, http://www.fga.it/