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       L'onore che
      mi fate assegnandomi il Premio Internazionale per il Dialogo
      fra gli Universi Culturali è racchiuso nella parola
      "dialogo". Dialogos, termine usato
      innanzitutto dai filosofi, in primo luogo da Aristotele e da Platone,
      deriva dal verbo dialeghein,
      "discutere", e non significa "parlare a due", come
      spesso si crede, ma partecipare a un colloquio o a una discussione, con
      due o più persone, allo scopo di procedere insieme verso il logos,
      dia-logos, verso la verità. Dunque ogni dialogo
      presuppone un cammino in avanti. 
      Ciò mi
      induce a ringraziare voi tutti, ideatori e organizzatori di questo
      incontro, e voi tutti, amici cari provenienti da ogni orizzonte dello
      spirito, qui riuniti per l'assegnazione di questo premio, conferito nel
      1997 al nostro amico Mohamed Talbi e oggi al sottoscritto. 
      Tale premio
      non è dovuto a meriti puramente individuali, bensì giunge a coronamento
      di un'azione essenzialmente collettiva, suscitata dall'incontro e dal
      dialogo di tutti gli amici che mi hanno accompagnato lungo il cammino da
      me percorso, presenti oggi così numerosi intorno a noi. 
      Tale
      cammino ebbe per me inizio sulla soglia della casa in cui nacqui, l'11
      agosto 1917, ad Ain-Temouchent, nell'Algeria coloniale. All'età di sette
      anni fui colpito da un attacco di poliomielite, malattia a quell'epoca
      difficilmente curabile. Immobilizzato, vedevo passare lungo il Viale
      della Rivoluzione, dove abitavo, ebrei come me, cristiani,
      che erano i colonizzatori, e musulmani. Questi tre gruppi convivevano
      ignorandosi totalmente, spesso nutrendo un profondo disprezzo gli uni per
      gli altri. Chi erano? Perché si ignoravano? Quale era la causa dei loro
      conflitti e come era possibile sperare di riconciliarli? Tali domande, che
      da bambino mi ponevo, non hanno mai cessato di animare la mia ricerca di
      verità, sia durante l'adolescenza sia negli anni della vita adulta. 
      Gli studi
      all'Università di Parigi, intrapresi in varie direzioni per approfondire
      la mia conoscenza del giudaismo, del cristianesimo e dell'islam, furono
      brutalmente interrotti dal 1939 al 1945, a causa della seconda guerra
      mondiale. Non mi restava altra scelta che unirmi alle file della
      Resistenza. Alla macchia nella Francia centrale, eravamo trentatré
      compagni, uniti da un'azione comune al servizio della Resistenza. Il
      nostro gruppo crebbe durante quel periodo e nel 1945 giunse a contare
      circa cinquecento combattenti. Ma dei trentatré compagni iniziali
      ventinove erano morti, vittime della shoà. Noi, i
      quattro sopravvissuti, avevamo come primo dovere quello d'impedire che
      massacri così orrendi potessero ripetersi; essi avevano causato in cinque
      anni circa cinquanta milioni di vittime, fra le quali sei milioni di ebrei
      morti nei campi di sterminio. 
      Quanto a
      me, pensavo che occorresse riprendere il dialogo a partire dalle sue
      stesse radici e ciò mi spinse, durante la mia vita, a tradurre e
      commentare, in uno spirito di pace e di riavvicinamento e non certo di
      rivalità, la Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano. 
      Le attuali
      dimensioni planetarie riacutizzano i problemi relativi al linguaggio e
      alla comunicazione fra lingue e culture differenti. Ciò concerne non
      soltanto la problematica e la metodologia della traduzione, ma anche la
      teoria e la critica letteraria alla pari della storia culturale,
      soprattutto nel campo della filosofia e della religione.  
       
      I ricercatori
      dovranno affrontare i problemi di traduzione - e non di interpretazione -
      tenendo conto del significato essenziale di tale termine. Linguisti e
      filosofi dovranno risolvere svariati problemi tecnici per fondare una
      nuova teoria del linguaggio, annunciatrice di una comunicazione umana.
      Ogni traduttore, invece di essere attento al messaggio che traduce, se ne
      impadronisce per amalgamarlo al proprio tessuto culturale e ideologico,
      senza preoccuparsi delle conseguenze di tale egocentrismo linguistico
      sulla comunicazione degna dell’uomo.  
       
 Così il nome di JHVH-Adonai,
      Elohim, viene reso con decine di soprannomi che non hanno niente a che
      vedere con il suo autentico significato. Di conseguenza la traduzione,
      destinata al riavvicinamento delle culture, finisce per erigere fra di
      esse ostacoli talvolta invalicabili. 
      Preso fra
      le esigenze contraddittorie della fedeltà al testo e del desiderio di
      essere compreso e apprezzato dai suoi lettori, il traduttore si sente
      lacerato, spesso tentato di "fare meglio" del testo originale,
      che egli riveste di un'estetica estranea; tutto ciò ha conseguenze
      incalcolabili quando si tratta dei testi su cui si fondano le grandi
      religioni. 
      Le
      condizioni della sopravvivenza che il mondo ricerca andrebbero
      innanzitutto rintracciate nella padronanza di un nuovo linguaggio. L'arte
      di tradurre, nel significato più autentico di tale termine, deve
      diventare una scienza destinata a rendere più permeabili le frontiere che
      separano le lingue e le culture, per facilitare una comunicazione fra le
      discipline e all'interno di esse che sia rispettosa delle peculiarità di
      ciascuna cultura. Perciò la traduzione deve cessare di essere ciò che
      attualmente è, vale a dire un campo ancora riservato all'arte o, più
      spesso, all'artigianato per diventare una scienza viva aperta alle radici
      delle culture poste a confronto. 
      Per ciò
      che concerne la Bibbia, si renderà necessario un nuovo orientamento delle
      sue traduzioni, in modo tale da restituirla all'Asia, in cui nacque, senza
      tuttavia strapparla all'Occidente, che essa fecondò dando origine al
      cristianesimo. 
      In verità,
      la Bibbia è stata e rimane l'ambasciatore della saggezza orientale presso
      le nazioni occidentali. Gli ambasciatori che restano troppo tempo lontani
      dalla madrepatria rischiano, come è noto, di dimenticarne le sembianze
      autentiche. Lo stesso è avvenuto con la Bibbia. È possibile riscoprirla
      nei santuari del Giappone, del Nepal, dell'India, della Thailandia e di
      altri paesi d'Oriente, come sicuramente in molte sinagoghe, chiese,
      conventi, moschee e perfino università d'Occidente. 
      Sarebbe
      illusorio, e per certi aspetti nefasto, immaginare che una lingua
      universale possa imporsi a tutti i popoli, tuttavia occorrerebbe che, in
      ogni lingua esistente, metodi di traduzione nuovi venissero ad arricchire
      il linguaggio di valori nuovi, armonizzandone i significati globali. In
      verità, solo il silenzio può forgiare l'unità del linguaggio umano.
      Solo il silenzio permette di penetrare il mistero della pluralità delle
      voci interiori dell'umanità.  
       
 Una nuova scienza, fondata su un'analisi
      della natura del linguaggio, deve superare i problemi sollevati da Babele
      e riavvicinarci al giorno salvifico in cui l'umanità avrà reintegrato
      nella propria vita reale la trasparenza che nasce dal silenzio. Una nuova
      umanità è in procinto di nascere. Se qualche cataclisma, ahimè fin
      troppo prevedibile, non ne brucerà i germogli, essa cercherà di dare
      vita all'utopia oggi inconcepibile, laddove, alle sorgenti del silenzio,
      ogni traduzione si rivelerà inutile, una volta istituite fra gli esseri
      umani nuove forme di comunicazione. 
      Ci troviamo
      a Torino, non lontano dalle rive del Mediterraneo, dove come voi anch'io
      sono nato. Ho trascorso la mia lunga vita a solcare le acque di questo
      mare e a viaggiare per i paesi che vi si affacciano, fra i quali la
      luminosa Italia, i cui tesori spirituali, letterari e artistici non
      cessano di nutrire i nostri spiriti. Gli universi culturali dell'ebraismo,
      del cristianesimo e dell'islam, nati dalla fecondità della Bibbia, devono
      perciò aprirsi gli uni agli altri, in uno spirito di riconoscenza e di
      complementarità. 
      Da quel
      giorno di ottobre, del 1934, in cui, per la prima volta, attraversai
      questo mare per scoprire in Europa gli splendori delle culture che in essa
      videro la luce, il mondo è cambiato: lo spazio e il tempo hanno assunto
      direzioni e dimensioni che erano sconosciute all'epoca in cui nacqui. 
      Noi
      dobbiamo pensare al Mediterraneo e al mondo con urgenza tanto maggiore
      quanto più tutto si trasforma continuamente. L’esigenza di un approccio
      globale ai problemi è ormai una questione di sopravvivenza per tutti ed
      è inevitabile che i popoli affacciati alle coste del Mediterraneo si
      avvicinino gli uni agli altri, dal momento che la terra è diventata un
      villaggio globale e altresì si trasforma la natura dello spazio e del
      tempo. 
      I popoli
      costieri del Mediterraneo, legati dall'impero romano per circa
      quattrocento anni, hanno in seguito conosciuto innumerevoli conflitti di
      carattere religioso e nazionale, dai quali sono stati condotti
      sistematicamente alla rovina. È così che prende forma l'iniziativa degli
      spagnoli e degli italiani, i quali, a partire dagli anni novanta,
      inaugurano un nuovo capitolo di storia mediterranea: il partenariato
      euro-mediterraneo ha sostituito i rapporti di forza del passato, trovando
      conferma nella conferenza di Cannes (giugno 1995).  
       
 Il 18 novembre dello
      stesso anno, la conferenza euro-mediterranea di Barcellona riuniva per la
      prima volta i ministri degli Affari esteri di ventisette paesi europei,
      nordafricani e mediorientali. La dichiarazione cosiddetta di Barcellona
      completava i numerosi accordi bilaterali già esistenti, attraverso
      convenzioni multilaterali che schiudevano le porte di un nuovo avvenire
      alle risorse umane e agli scambi fra i popoli e le culture del
      Mediterraneo. 
      Un nuovo
      modo di pensare si sostituiva ormai al passato conflittuale delle economie
      e delle religioni mediterranee, consentendo la mobilizzazione non solo
      delle autorità ma anche dei popoli prima contrapposti. Era necessario
      offrire un’opportunità all'unificazione auspicata dai pionieri di tale
      riconciliazione. La conferenza di Malta, il 16 maggio 1997, ha confermato
      l'autorevolezza della dichiarazione di Barcellona. Essa ha preso atto dei
      rapidi progressi attuati dopo il 1995, creando il clima di fiducia
      necessario per aprire il Mediterraneo alla sua nuova riunificazione. 
      Nel 1998,
      il Multaqha [incontro, NdT] di Agrigento promosso
      dall'UNESCO ha rappresentato il punto d'arrivo delle tendenze di cui si è
      parlato, giacché vide riunirsi una rappresentanza significativa di tutti
      i popoli del Mediterraneo. Barcellona aveva affermato la volontà dei
      governanti di cambiare il corso della storia. Il Multaqha
      di Agrigento confermava tale nuovo orientamento attraverso la massiccia
      adesione delle associazioni della società civile che, sotto l'egida
      dell'UNESCO, erano state create dopo Barcellona. Un'identica volontà si
      manifestava, con lo scopo di realizzare un partenariato fra i quindici
      governi dell'Unione Europea e i tredici paesi mediterranei invitati a
      riunirsi. 
      È
      sufficiente aprire gli occhi per rilevare che, su tutte le rive del
      Mediterraneo, prevale lo stesso ambiente geografico e umano, all'ombra
      degli ulivi e sotto la luce abbagliante e l'azzurro di questo mare. Il suo
      sviluppo economico a livello regionale non potrà non fondarsi sulla
      cooperazione, il partenariato e l'integrazione dei popoli e delle loro
      culture. La soluzione dei conflitti che insanguinano ancora il
      Mediterraneo nei Balcani, alle frontiere turche o in Medio Oriente offrirà,
      alle soglie del terzo millennio, nuove opportunità al sogno profetico
      della nascita di una terra nuova e di un uomo nuovo, sotto il suo cielo
      azzurro. 
      Era per me
      assolutamente evidente che il dialogo fra gli universi culturali doveva
      passare attraverso il dialogo fra l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam,
      sempre alimentato e mai interrotto. Il sangue delle vittime della guerra
      doveva fecondare la nascita dei primi movimenti d'Amicizia
      Ebraico-Cristiana e, in Algeria, delle associazioni d'amicizia fra
      religioni monoteiste. Occorre ricordare i nomi di pionieri quali furono
      Jules Isaac, i padri Riquet e Daniélou, Edmond Fleg, il gran rabbino
      Jacob Kaplan, lo Cheikh Hamza Boubakeur e numerosi altri. Il sogno, comune
      a molti di noi, di un riavvicinamento a partire dalle fonti scritturali
      non tardò a far sentire i suoi effetti.  
       
 Il conflitto bimillenario che
      contrapponeva cristianità ed ebraicità ebbe una svolta grazie all'umile
      operato di quelle associazioni d'Amicizia
      Ebraico-Cristiana. Alcune riforme concernenti la liturgia e la
      catechesi permisero d'intraprendere l'opera di riconciliazione che
      auspicavamo. Tale riconciliazione, avviata nel primo dopoguerra, proseguì
      sotto il pontificato di Giovanni XXIII e ricevette una ratifica storica
      durante il Concilio Vaticano II e nei documenti da esso promulgati, in
      modo particolare nella dichiarazione Nostra
      Aetate e nelle varie iniziative che a essa si ispirarono. Questo
      stesso movimento condusse, in seguito, a un avvicinamento fra la Santa
      Sede e lo stato d'Israele e infine a un riconoscimento reciproco, il 30
      dicembre 1993. 
      La
      creazione dello stato d'Israele l'indomani della shoà aveva
      suscitato autentica commozione in tutto il mondo. Dopo il 15 maggio 1948
      gli ebrei si avviarono numerosi verso il loro antico e insieme nuovo
      paese, in cui assistettero e contribuirono alla risurrezione del loro
      popolo, del loro stato, dello loro lingua e della loro cultura. 
      Entro i
      confini dell'antico regno di Davide essi presero coscienza
      dell'universalità del loro popolo, Israele, impresso nell’essere
      dell'intera umanità. Grande fu la nostra sorpresa nel constatare che
      provenivamo da ben centodue paesi e che parlavamo novantanove lingue
      differenti, per rinascere nella lingua della Bibbia, l'ebraico, anch'essa
      risuscitata. La commozione non fu minore fra gli arabi. 
      Gerusalemme
      rappresenta uno dei crocevia più importanti di quell'incontro fra l'Asia
      e il Mediterraneo da cui sono nati la Bibbia e il Corano, e un punto
      d'incontro d'importanza storica fra nord e sud, fra paesi ricchi e paesi
      poveri. Essa è anche il luogo in cui si sono formati la Toràh, il Nuovo
      Testamento e il Corano, che pure ha qui le sue radici. 
      Alle soglie
      del terzo millennio la città, per la sua posizione geografica e storica,
      è l'epicentro di un confronto e di un conflitto permanente fra i popoli e
      le religioni che a essa si richiamano. Gerusalemme può e deve, invece,
      diventare il centro della loro riconciliazione esemplare, dove si
      incontrano l'Asia, l'Africa e il Mediterraneo. 
      Capitale
      nazionale d'Israele, capitale religiosa dell'ebraismo, del cristianesimo e
      dell'islam, Gerusalemme avrà dunque il compito di realizzare le speranze
      nutrite dai suoi fondatori e, lungo i secoli, dai suoi abitanti ebrei,
      cristiani e musulmani, i quali hanno tutti cullato la visione di
      un'alleanza universale di pace. La riconciliazione dei suoi abitanti –
      ebrei provenienti da tutti i paesi del mondo, musulmani appartenenti a
      tutti i gruppi etnici e a tutti i riti dell'islam e cristiani che, con le
      loro trentacinque differenti confessioni, rappresentano in modo perfetto
      l'ecumenicità della Chiesa – costituisce il vero volto della nostra
      città, a immagine del "villaggio globale" del mondo.  
       
 Una
      Gerusalemme realmente pacificata in tutti i suoi abitanti potrebbe
      diventare uno dei luoghi privilegiati dell'incontro fra il Creatore e le
      Sue creature, fra Dio e gli uomini. Sarà sufficiente riconoscere in
      ognuna delle creature il suo rapporto di filiazione con il Creatore dei
      cieli e della terra: ebrei, cristiani e musulmani, uomini di ogni razza e
      provenienza, siamo tutti figli Suoi, figli dell'Alleanza originale su cui
      si fondano le nostre tre religioni abramitiche, che contano oltre due
      miliardi di fedeli, ebrei, cristiani e musulmani, uomini che dovrebbero
      riconoscersi fratelli e assomigliare all'uomo nuovo annunciato già dai
      nostri profeti.  
       
 Al termine di tante migliaia di anni da Abramo, da
      Mosè e al termine del secondo millennio da Gesù, è infine tempo che il
      popolo dell'Alleanza tenga fede alle promesse fatte, giacché tale popolo
      esiste: esso non annovera solamente circoncisi e battezzati, ma ogni uomo
      vivente, costruttore di pace, sorgente di vita. Quanto al paese
      dell'Alleanza, solo la terra intera oggi potrebbe esserlo, definitivamente
      votata alla luce dell'amore. 
      Ecco dunque
      che la risurrezione si accompagna a un lungo e difficile cammino, quello
      dell'intera umanità in cerca della propria pacificazione e della propria
      unificazione. Il mondo nuovo che sta per nascere tende a comporre le
      fratture provocate dal conflitto fra le nazioni e le religioni. 
      Attraverso
      gli universi culturali, la cui ricchezza è altrettanto varia quanto gli
      innumerevoli fiori della primavera piemontese, celebriamo qui il dialogo e
      l'incontro dell'uomo con l'Uomo. Noi siamo i figli di una generazione che
      si è mostrata capace dei più grandi crimini perpetrati nella storia, le
      cui vittime si contano in decine di milioni. Questa stessa generazione ha
      inoltre disvelato con il suo genio i segreti più riposti sia
      dell'infinitamente piccolo sia dell'infinitamente grande, e oggi si eleva
      nella stratosfera per contemplare direttamente Giove o Venere. Saprà
      scoprire il Volto del Creatore dei cieli e della terra? 
      Sulla
      terra, questa stessa generazione ha riconciliato ebrei e cristiani, i
      figli di Cristo e quelli d'Israele, grazie al genio dei grandi papi della
      seconda metà del secolo attuale, cioè Giovanni XXIII, Paolo VI e
      Giovanni Paolo II. Ci auguriamo che, alla vigilia dell'anno giubilare, la
      riconciliazione dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam inauguri la
      via regale dell'autentico dialogo fra tutti gli universi culturali, sia
      quelli nati sulle rive del Mediterraneo sia quelli sorti in Asia, in
      Africa e nelle Americhe. Rabbini, preti e imham dovranno
      privilegiare, aldilà delle loro divergenze teologiche, l'ideale
      dell'Alleanza, cioè del dialogo fra gli universi culturali.
      Sottolineamolo con forza: la Toràh è il libro
      dell'Alleanza, Berith, il Nuovo Testamento è il
      libro della Nuova Alleanza così come il Corano impone ai suoi figli il
      compito di realizzare le alleanze di Abramo, di Mosè e di Gesù. 
      Nella
      Bibbia la piramide dell'Alleanza ha inizio con l'atto creatore dei cieli e
      della terra: "Bere'/shi/t bara' Elohim 'et ha-/samayim ve-'et
      ha-ere#s", "In principio Dio [Elohim] creò i cieli e la
      terra". Tale atto creatore fonda l'alleanza fondamentale di Elohim
      con tutte le creature delle quali Egli è Padre. Noè e Abramo confermano
      tale alleanza, estesa a tutti i popoli della terra, mentre Mosè stipula,
      nella cornice drammatica del Sinai, l'alleanza di Elohim con il popolo
      d'Israele. Gesù e i Suoi apostoli rinnovano la validità dell’alleanza
      nel Nuovo Testamento. Altrettanto avviene, a questo riguardo,
      nell’islam: Mu#hammad, ispirato da Dio, intende realizzare l'ideale di
      Mosè e di Gesù, la cui autenticità è riconosciuta e confermata dal
      Corano in cinquecentodue versetti. 
      L’inveramento
      di tale visione, che è al primo posto sia nell'ebraismo sia nel
      cristianesimo e nell'islam, potrebbe salvare il mondo dalle conflagrazioni
      sin troppo prevedibili e dai pericoli mortali che lo minacciano. 
      La mia Lettre
      à un ami arabe, pubblicata in francese nel 1968 e tradotta
      in inglese e in arabo, prefigurava una soluzione durevole al conflitto fra
      israeliani e palestinesi, con la proposta di una confederazione che
      riunisse entrambi i popoli. A quell'epoca, tale soluzione sembrava una
      chimera. "È un'utopia", dicevano i critici. Poi, con il
      trascorrere del tempo, la Giordania ha firmato un trattato di pace con
      Israele, mentre l'entità palestinese e lo stato d'Israele sono arrivati
      al riconoscimento reciproco il 13 settembre 1993. Anche il Marocco e la
      Tunisia hanno instaurato nuove relazioni con Israele. 
      Il fuoco
      della guerra continua a mietere vittime in attentati nella maggior parte
      dei casi provocati da forze estranee al paese, terroristi istigati e
      prezzolati da estremisti quali gli Hezbollah. Tuttavia, la pace non è
      certamente più considerata impossibile dai due popoli, che fanno le spese
      della guerra. Nel profondo, i nostri due popoli aspirano a una
      riconciliazione reale, che apra le porte a un avvenire degno della loro
      trascorsa grandezza.  
       
 È così che le idee seminate da tutti coloro che
      sono animati dall'ideale di riconciliazione si sono fatte strada: fin dal
      1988 il nostro Movimento per la Confederazione si è preoccupato di
      assicurare solidi fondamenti giuridici alla pace, nel quadro di una
      confederazione di due stati associati sotto il controllo di una Corte di
      giustizia che tuteli i diritti e la sicurezza di tutti gli abitanti.
      Infatti, sarebbe un errore cercare la pace in un luogo che non sia il
      cuore dei nostri popoli. La soluzione di tale conflitto non verrà mai da
      una mera spartizione territoriale, qualunque essa sia.  
       
 Lo stato di tipo
      hegeliano, napoleonico o prussiano è ormai anacronistico e in Medio
      Oriente costituirebbe un'assurdità ancora più grave, laddove le
      nazionalità, le etnie e le religioni sono strettamente intrecciate le une
      alle altre. Occorre abbandonare in modo risoluto lo jus soli
      per adottare il principio dello jus personae,
      anteponendo il diritto personale al diritto del suolo su cui avviene la
      convivenza. Invece di dividerlo, è dunque necessario unificare il paese,
      separando le competenze amministrative in modo tale da garantire i diritti
      legittimi di ciascuno. 
      Solo una
      trattativa diretta fra israeliani e palestinesi potrà permettere
      l'edificazione di tale confederazione mediorientale, bicefala (Israele e
      Palestina) o tricefala (Israele, Giordania e Palestina) che sia.
      Gerusalemme, capitale d'Israele, svilupperà la vocazione di capitale
      della confederazione, come già lo è dell'ebraismo, del cristianesimo e
      dell'islam. Il suo compito sarà quello di unificare i popoli e le
      religioni, salvaguardando la specificità di ciascuno nell'unità
      territoriale del paese grazie a un'equa ripartizione delle competenze. 
      I popoli
      della regione, malgrado le bramosie e le bravate dei loro dirigenti e dei
      loro politici, sono sfiniti e chiedono grazia, come chiede grazia la terra
      lacerata dal conflitto. Ora più che mai è il momento di resistere ai
      ciechi estremismi di ogni frangia. Questa pace, così difficile da
      realizzare, finirà per vincere sia le pesantezze e le lacerazioni della
      storia sia i potenti interessi di coloro che di tale conflitto ancora
      vivono. 
      Riconciliatevi,
      ebrei, cristiani e musulmani, a Gerusalemme e in tutto il Medio Oriente, e
      creerete, alle soglie del terzo millennio, una comunità unificata da una
      fede comune, dal medesimo dialogo e dalla stessa speranza, quella
      dell'Alleanza predicata da Mosè e da Gesù e promessa da Mu#hammad.
      Intorno al centro gerosolimitano di tale confederazione, si riuniranno a
      far parte tutti coloro che si sentono legati alla sua storia o ai suoi
      ideali di giustizia e di pace. Sarà necessaria tutta questa potenza
      spirituale, viva e unica, per vincere i pericoli mortali, ahimé molto
      concreti, che minacciano la terra, nostra madre. In tal modo, la tecnica
      giuridica moderna servirà a che si compia l'antica profezia di Isaia, che
      previde, più di duemila anni fa, la gloria di Gerusalemme, luogo di
      riconciliazione dell'Oriente e dell'Occidente, del Nord e del Sud:  
       
      
      Rallegratevi
      con Gerusalemme, 
      esultate per essa quanti la amate. 
      Sfavillate di gioia con essa 
      voi tutti che avete partecipato al suo lutto.  
      "Ecco
      io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità; 
      come un torrente in piena 
      la ricchezza dei popoli"  
      (Isaia 66,
      10, 12 e segg.). 
       
       
          [*]
          Fonte: Fondazione Giovanni Agnelli, http://www.fga.it/  
  
       
           
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