Conferenza delle Chiese episcopali europee (CCEE)
Consiglio delle Conferenze Europee (KEK)

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Pubblichiamo, per completezza di informazione, l'intero documento; tuttavia - per facilitare la consultazione in base all'interesse precipuo dei nostri visitatori - vi rimandiamo al link del capitolo Rapporti con l'ebraismo
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Seconda Assemblea Ecumenica Europea (AEE2)
Graz, Austria, 23-29 giugno 1997

Documento finale 3 (originale in tedesco)*

RACCOMANDAZIONI OPERATIVE

 

La ricerca dell'unità visibile tra le chiese

1.1 Raccomandiamo alle chiese di fare dell'anno 2000 un'occasione per rendere visibile la loro comunione attraverso azioni e iniziative simboliche, liturgiche e pastorali preparate insieme. Esse dovrebbero soprattutto far sì che a partire dall'inizio del millennio la festa di Pasqua possa essere celebrata nello stesso giorno, nonché perseguire un riconoscimento ufficiale e solenne del battesimo fra tutte le chiese cristiane.

Motivazione: In alcune chiese sono già in corso i preparativi per la celebrazione del millennio. Riteniamo auspicabile un coordinamento di queste iniziative. Sarebbe buona cosa che le chiese approfittassero dell'attenzione che l'anno 2000 suscita nell'opinione pubblica ai fini della credibilità ecumenica e come occasione per rendere una testimonianza comune. A tale scopo si dispone già di modelli, come ad esempio la giornata mondiale di preghiera delle donne, ma ovviamente - con un po' di immaginazione creativa - si possono sviluppare anche nuove iniziative.

1.2 Raccomandiamo alle chiese di redigere un documento comune che contenga i diritti e i doveri ecumenici fondamentali e di dedurne una serie di direttive, regole e criteri che possano aiutare le chiese, i loro responsabili e tutti i loro membri a distinguere fra proselitismo e testimonianza cristiana, nonché fra fondamentalismo e autentica fedeltà alla fede e a configurare, infine, in spirito ecumenico le relazioni fra le chiese maggioritarie e le chiese minoritarie.

Motivazione: La difficile situazione in cui versa attualmente per varie ragioni la comunione ecumenica richiede che si prendano consapevolmente delle contromisure. Sembra necessario coltivare una cultura ecumenica del vivere e lavorare insieme e stabilire a tale scopo un fondamento vincolante.

1.3 Raccomandiamo alle chiese di avviare o promuovere con decisione la formazione, la formazione permanente e l'educazione in campo ecumenico. Esse dovrebbero organizzare soprattutto lo studio comune della Bibbia, preoccuparsi di acquisire una visione comune della loro storia e approfittare di ogni occasione per conoscersi meglio reciprocamente e accumulare esperienze comuni.

Motivazione: Il compito ecumenico delle chiese non deve essere un aspetto marginale della vita della chiesa, ma deve caratterizzare sia la pratica della pietà sia il comportamento sociale o politico delle chiese e dei cristiani. Ciò è possibile solo se esso diventa un principio guida in tutti gli ambiti della vita delle chiese in cui le persone vengono istruite e formate.

 

Il dialogo con le religioni e le culture

2.1 Raccomandiamo alle chiese di contribuire in ogni modo ritenuto opportuno ad assicurare la libertà religiosa e i diritti umani, al fine di preservare la dignità e l'identità di tutti gli esseri umani.

Motivazione: Per la convivenza delle religioni nel mondo moderno il comune rispetto dei diritti umani universali costituisce un fondamento indispensabile. Essi tutelano al tempo stesso la varietà delle convinzioni e degli stili di vita.

2.2 Raccomandiamo alle chiese di sostenere i gruppi che si dedicano al dialogo interreligioso. Esse dovrebbero utilizzare le esperienze e le conoscenze acquisite da questi gruppi soprattutto per trasmettere informazioni oggettive nel campo della formazione e dell'educazione e per eliminare i pregiudizi.

Motivazione: Per la convivenza pacifica di persone e gruppi con una diversa concezione religiosa o filosofica del mondo è della massima importanza il conoscersi reciprocamente, l'imparare a comprendersi e anche ad apprezzarsi. Ma ciò esige un lungo e paziente lavoro e molta esperienza.

2.3 Raccomandiamo alle chiese di seguire l'esempio di alcune chiese in Italia e in Germania e di fissare un giorno dedicato al dialogo con l'ebraismo e all'incontro con la fede ebraica vissuta. Analogamente, si dovrebbero fissare anche dei giorni e delle occasioni per curare e ravvivare le relazioni con le altre religioni.

Motivazione: L'incontro fra gli esseri umani non avviene solo sul piano intellettuale, ma, per essere profondo e fecondo, ha bisogno di una dimensione simbolica e spirituale.

L’impegno per la giustizia sociale, soprattutto per il superamento della povertà, dell'esclusione sociale e di altre forme di discriminazione

3.1 Raccomandiamo alle chiese di avviare sui problemi economici e sociali processi di consultazione, i quali dovrebbero contribuire a far rispettare il diritto umano alla partecipazione alla vita economica.

Motivazione: La ragnatela internazionale e mondiale dei mercati tende a indebolire le tradizioni europee della perequazione sociale. La disoccupazione di massa esistente praticamente in tutti i paesi è una sfida lanciata alle chiese. Esse devono prestare una particolare attenzione ai gruppi umani particolarmente svantaggiati - soprattutto i giovani e le donne - e impegnarsi a favore di giusti sistemi di sicurezza sociale.

3.2 Raccomandiamo alle chiese di impegnarsi a favore di una politica giusta e umana nei riguardi degli emigranti, soprattutto dei rifugiati e di quanti chiedono asilo politico in seguito a conflitti armati. Le direttive umanitarie fissate dal rispetto dei diritti umani devono essere osservate e ulteriormente sviluppate dalle legislazioni nazionali e dagli accordi internazionali.

Motivazione: I paesi dell'Europa occidentale si chiudono sempre più nei confronti delle persone che cercano una nuova patria. Ma tutte le forme di xenofobia e di razzismo contraddicono l'ethos cristiano, poiché i cristiani credono in Gesù Cristo che ha mutato gli stranieri in fratelli e sorelle e superato ogni barriera etnica.

3.3 Raccomandiamo alle chiese di combattere a tutti i livelli e con ogni mezzo la discriminazione delle donne e di trovare delle strade che possano assicurare una maggiore giustizia alle donne, soprattutto attraverso il superamento delle pratiche sessiste nella vita economica e nella vita pubblica.

Motivazione: In molti paesi le donne sono vittime del cambiamento sociale. Esse sono minacciate in vario modo dalla violenza e dallo sfruttamento, soprattutto in campo sessuale. Le nostre chiese sono chiamate a riconoscere queste minacce, a denunciarle e a contribuire al loro superamento. Le Caritas, il lavoro formativo, l'educazione dell'opinione pubblica e concreti programmi di aiuto possono offrire al riguardo un contributo importante.

3.4 Raccomandiamo alle chiese di intensificare le misure di protezione e promozione delle famiglie e di tener conto soprattutto delle persone giovani e di quelle anziane.

Motivazione: Le famiglie come luogo dell'amore fedele e pronto al perdono sono al servizio del futuro delle nostre società. Lo sviluppo demografico richiede che si presti una particolare attenzione alla situazione delle persone anziane. Attraverso la formazione familiare e la promozione delle famiglie, gli asili, le scuole, le università, gli ospedali e le case di riposo, le chiese possono aiutare le persone giovani e anziane e offrire un chiaro segno di cristiano amor del prossimo.


L’impegno per la riconciliazione in seno e fra i popoli e le nazioni e il rafforzamento delle forme non violente di superamento dei conflitti

4.1 Raccomandiamo alle chiese di partecipare attivamente al dibattito in atto a livello politico europeo sul processo di sviluppo, di darsi a tale scopo gli strumenti che permettano un'azione comune e di rafforzare le istituzioni esistenti.

Motivazione: Le istituzioni europee (OCSE, Parlamento europeo, UE) sono i motori del nuovo ordinamento politico dell'Europa. Se le chiese non vogliono autoescludersi da questo processo, devono assicurare delle iniziative comuni, un continuo scambio di esperienze e una costante analisi dello sviluppo europeo. Ciò riguarda soprattutto tutti gli sforzi per limitare il commercio delle armi (per esempio, attraverso un codice di comportamento a livello europeo) e la protesta contro la fabbricazione, l'esportazione e l'uso delle mine terrestri.

4.2 Vorremmo esortare le chiese ad assumere un ruolo attivo e permanente nella trasformazione dei conflitti (per esempio, Irlanda del Nord, Cipro) in forma pacifica e nei processi di pace e di riconciliazione al termine di conflitti armati (come in Bosnia, Croazia, Serbia, Cecenia).

Motivazione: La missione riconciliatrice delle chiese richiede che esse sostengano tutti gli sforzi atti a prevenire il ricorso alla violenza o a sanarne le ferite. Questo comprende le diverse forme di mediazione in occasione di conflitti come pure l'impegno nella ricostruzione e lo sforzo per permettere ai rifugiati che rientrano in patria di poter ricominciare in condizioni degne di esseri umani.

4.3 Raccomandiamo alla KEK e al CCEE di promuovere presso le loro chiese membri lo scambio di esperienze in merito a iniziative, istituzioni, centri per laici e centri di formazione, comunità impegnate in processi di pace e di riconciliazione.

Motivazione: Lo sviluppo di una cultura della nonviolenza esige dei processi formativi nei quali le esperienze locali e le esperienze internazionali siano strettamente collegate insieme. I rispettivi programmi formativi dovrebbero comprendere in particolare le persone giovani, ma anche i militari e le persone impegnate in politica.

4.4 Raccomandiamo alla KEK e al CCEE di istituire un comitato permanente per l'analisi e la composizione dei conflitti. Esso deve stimolare processi di riconciliazione e sondare le possibilità di istituzionalizzare la formazione di persone specializzate nella composizione civile dei conflitti a livello europeo.

Motivazione: Sia a livello mondiale sia in alcune aree a livello nazionale si stanno discutendo dei progetti finalizzati all'istituzionalizzazione dell'elaborazione e composizione civile dei conflitti. E' molto importante che le chiese europee partecipino attivamente a questa discussione e farebbe certamente crescere la loro credibilità l’offerta di loro propria iniziativa di un chiaro segno al riguardo. Direttive comuni nel campo dei servizi specializzati nel mantenimento della pace concorrerebbero a realizzare l'impegno, assunto dall'Assemblea di Basilea, di creare servizi «shalom».


Una nuova prassi di responsabilità ecologica, ora e in vista delle future generazioni

5.1 Raccomandiamo alle chiese di considerare e promuovere la salvaguardia del creato quale parte integrante della vita della chiesa a tutti i suoi livelli. Ciò potrebbe essere fatto anche attraverso una giornata comune del creato come quella che viene celebrata dal Patriarcato Ecumenico.

Motivazione: Stante il significato della problematica ecologica per il futuro dell'umanità è molto importante che le chiese risveglino e rafforzino la coscienza che l'impegno per la salvaguardia del creato non rappresenta un qualsivoglia campo di azione accanto a molti altri, ma deve costituire una dimensione essenziale della vita della chiesa.

5.2 Raccomandiamo alle chiese di promuovere uno stile di vita orientato ai criteri della sostenibilità e della giustizia sociale e di dare supporto a ogni sforzo mirante a un'economia che risponda agli stessi criteri.

Motivazione: La responsabilità economica deve determinare sia l'azione personale sia l'azione economica e politica. Riguardo al criterio della sostenibilità continua a rivestire una grande importanza il risparmio energetico e la scoperta e utilizzazione di forme di energia rinnovabile. Le cristiane e i cristiani, sostenuti dalla loro comunità e dalla loro chiesa, dovrebbero preoccuparsi di condurre uno stile di vita esemplare, in grado di mostrare chiaramente la possibilità di liberarsi dalle spinte consumistiche e di valorizzare la vera qualità della vita.

5.3 Raccomandiamo alle chiese di associarsi al processo di Agenda 21 e di collegarlo con il processo ecumenico o conciliare di Giustizia, pace e salvaguardia del creato.

Motivazione: L'Agenda 21 offre una base operativa concordata a livello internazionale, che mostra molti importanti tratti comuni con il processo di Giustizia, pace e salvaguardia del creato e può soprattutto stimolare e contribuire a organizzare la collaborazione con le forze sociali e politiche a livello locale e comunitario.

5.4 Raccomandiamo alla KEK e al CCEE di organizzare una rete europea di responsabili dell'ambiente e di riconoscerli come partner nelle loro attività.

Motivazione: Per radicare il tema della salvaguardia del creato nella vita delle chiese e conferirgli rilevanza politica occorre assicurargli una garanzia istituzionale basata sulla competenza scientifica. Perciò le chiese membri della KEK e le conferenze episcopali membri del CCEE dovrebbero nominare propri responsabili per le questioni ambientali e creare una forma organizzativa adatta al loro collegamento, che utilizzerebbero poi come partner nelle loro attività.


Giusta perequazione con le altre regioni del mondo

6.1 Raccomandiamo alle chiese di farsi promotrici, nello spirito dell'anno giubilare, di un movimento volto a ottenere il condono dei debiti dei paesi più poveri e a fissare per questo come data simbolica particolarmente significativa l'inizio del nuovo millennio.

Motivazione: La questione del condono del debito deve assumere un posto di rilievo nell'ordine del giorno dell'incontro dei G7 di Birmingham (giugno 1998) e Berlino (1999). In occasione di questi incontri le chiese dovrebbero intervenire con pubbliche campagne di opinione in difesa degli interessi dei paesi più poveri e influenzare i governi europei affinché facciano quanto è in loro potere, nel quadro del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, per una soluzione permanente del problema del debito.

6.2 Raccomandiamo alle chiese di ricordare espressamente nei loro paesi la regola dello 0,7 % del prodotto nazionale lordo fissata dalle Nazioni Unite come aiuto allo sviluppo già 25 anni fa e di impegnarsi loro stesse a destinare il 2% delle loro entrate all'aiuto allo sviluppo.

Motivazione: Nonostante il crescente divario fra ricchi e poveri nella società mondiale, negli ultimi anni la percentuale messa a disposizione per l'aiuto allo sviluppo da parte dei principali stati donatori è diminuita continuamente fino a toccare il fondo dello 0,27% nel 1995. Le chiese devono protestare contro questa tendenza e dare con il loro proprio comportamento dei segnali che riportino il tema all'attenzione della coscienza dell'opinione pubblica e dei politici.

6.3 Raccomandiamo alle chiese di sostenere in campo economico iniziative cristiane esemplari e di organizzare delle campagne rivolte in modo particolare contro il lavoro minorile, il turismo sessuale e il commercio delle donne e altre forme di sfruttamento.

Motivazione: Esiste già nelle chiese tutta una serie di iniziative esemplari, come, ad esempio, Fair Trade o la Ecumenical Development Cooperative Society (EDCS), il cui scopo consiste nel dimostrare la realizzabilità di giuste relazioni economiche. Le chiese dovrebbero privilegiare la promozione di questi modelli e concentrarsi nella loro attività pubblica su quelle forme di sfruttamento particolarmente discutibili dal punto di vista morale.

6.4 Raccomandiamo alle chiese di fare della formazione ecumenica nel senso di un apprendimento a livello mondiale un punto focale della loro attività formativa e, al riguardo, di porre in primo piano l'aspetto della condivisione delle ricchezze finanziarie, culturali e spirituali.

Motivazione: La comunione ecumenica come comunione a livello mondiale deve comprendersi sempre più come una comunione di apprendimento, il cui compito riconciliatore richiede di condividere le reciproche esperienze di esclusione, sfruttamento e oppressione, ma anche di condividere i beni di qualsiasi natura, che permettono e arricchiscono la vita comune nell'unico mondo.

 

* Accolto a grande maggioranza, con pochi voti contrari e alcune astensioni.

 

MATERIALE SERVITO DA BASE
ALLE RACCOMANDAZIONI OPERATIVE

 

La ricerca dell’unità visibile tra le chiese

Dono e compito dell’unità

(B1) Ogni riflessione sulla situazione ecumenica deve cominciare dal ricordo del compito, affidatoci dal nostro comune Signore, di mostrare al mondo quella comunione che formano fra loro, secondo la testimonianza della sacra Scrittura e di tutte le confessioni di fede cristiane, Dio Padre, Figlio e Spirito Santo: le tre Persone in un solo Dio. La fede nel Dio uno e trino, che confessiamo nel battesimo, ci lega quale eredità preziosa, al di là di tutte le divisioni, con un saldo vincolo in una comunione vera, anche se, a causa di queste divisioni, imperfetta. Quest'unità già presente noi dobbiamo pubblicamente esprimerla e visibilmente manifestarla. Sulle condizioni e sulla forma dell'unità della chiesa dobbiamo ancora raggiungere una maggiore intesa, ma siamo già d'accordo sulla necessità di un'unità nella diversità, nella quale le molteplici differenze esistenti fra di noi arricchiscono anziché appesantire la nostra comunione. Una simile comunione in sé riconciliata potrebbe servire da modello anche alla configurazione della vita politica in Europa.

 

Onere e compito dell’assemblea

 

(B2) Come donne e uomini delegati delle nostre chiese abbiamo portato a Graz non solo la ricchezza delle nostre esperienze, ma anche il materiale conflittuale che si nasconde nella nostra contrapposizione. Ma concordiamo sul fatto che, alla luce della nostra fede e del compito ecumenico delle chiese, non vi è alcuna ragione che giustifichi l’interruzione del dialogo fra di noi o il rifiuto di accettarne i risultati. Dobbiamo imparare ad ascoltarci fra di noi con attenzione e pazienza, nonché a esprimere le nostre diverse posizioni con franchezza e reciproco rispetto. Ciò comporta anche la disponibilità ad accettare verità dolorose.

 

Permanente necessità della riconciliazione

 

(B3) La nostra assemblea intende attestare in comunione ecumenica la nostra fede nella misericordia di Dio e contribuire, da essa stimolata, alla riconciliazione in Europa. E tuttavia dobbiamo confessare che in passato le chiese hanno spesso reso una cattiva testimonianza al messaggio cristiano della riconciliazione e che anche attualmente la nostra realtà condizionata dal peccato ostacola la credibilità della nostra testimonianza. Per esempio, noi cristiane e cristiani continuiamo a non essere ancora in grado di sederci insieme alla tavola del Signore. Questa situazione scandalosa non deve mai lasciarci indifferenti, poiché contraddice la volontà di Dio e ostacola la credibilità del nostro annuncio. Lo stesso vale, in particolare, anche per le relazioni fra le donne e gli uomini nella chiesa e nella società. Esse, più che riflettere l'intenzione del Creatore e l'azione salvifica di Gesù Cristo, continuano a mostrare l'inclinazione al male del mondo. Senza giustizia nei confronti delle donne e una giusta valorizzazione delle loro capacità e del servizio che esse prestano non si può parlare di una comunità veramente riconciliata.

 

Il dono del movimento ecumenico

 

(B4) La divisione fra le chiese d’Oriente e d’Occidente, da un lato, e le divisioni in seno al cristianesimo occidentale, dall'altro, hanno modellato in modo permanente il volto dell'Europa sul piano culturale, politico ed ecclesiale. Attraverso le missioni i conflitti esistenti in seno al cristianesimo occidentale sono stati esportati in altre parti del mondo e hanno oscurato il mandato missionario della chiesa anche con atteggiamenti mentali concorrenziali e componenti coloniali. Sullo sfondo di questa pagina prevalentemente oscura della storia della chiesa, noi vediamo nel movimento ecumenico, che ha potuto realizzarsi solo nel XX secolo, un'opera e un dono dello Spirito Santo. Le relazioni fra le chiese nello spirito del dialogo hanno condotto a una costruttiva cooperazione. Lo stesso dialogo teologico, che viene intensamente coltivato da diversi decenni, ha prodotto risultati sorprendenti, ma deve essere intensamente proseguito. Infatti le contrapposte convinzioni delle generazioni passate hanno dato luogo in molti casi a reciproci giudizi di condanna o a rifiuti che noi dobbiamo prendere sul serio. La comunione riconciliata presuppone che queste condanne vengano ufficialmente tolte rispetto alle chiese attuali. In questo sta soprattutto il senso dell'intesa teologica e dell'accordo teologico. Per questa via, in alcuni casi si è potuta raggiungere una piena comunione fra chiese e in altri casi sottoscrivere accordi vincolanti, che hanno stabilito fra le chiese contraenti nuove relazioni a tutti i livelli. Alla luce della comunione riconciliata possiamo persino imparare a comprendere in modo nuovo la storia delle nostre divisioni e vedervi una strada sulla quale lo Spirito Santo ci conduce nella prospettiva di rendere più chiaramente testimonianza alla pienezza della verità.

 

Ecumenismo e guerra fredda

 

(B5) All’epoca della guerra fredda i legami ecumenici in seno e fra le chiese sono stati spesso un ponte importante attraverso il quale si sono potute aiutare in svariati modi, nonostante la cortina di ferro, le chiese che erano costrette a vivere sotto la dominazione comunista. Un frutto di questi sforzi è stata, ad esempio, la creazione della Conferenza delle chiese europee (KEK), che, assieme al Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) ci ha invitati a quest'assemblea. La pressione esercitata dagli stati socialisti sulle chiese dell'Europa orientale e meridionale ha talvolta stimolato o rafforzato la solidarietà ecumenica, ma in altri casi ha ostacolato la cooperazione ecumenica e ha seminato la diffidenza fra le chiese, tanto più che gli stati comunisti si sforzarono continuamente di indebolirle. Conosciamo, inoltre, il ruolo contraddittorio giocato, volontariamente o contro la loro volontà, dalle istituzioni ecumeniche e dalle persone incaricate di mantenere i contatti. Confessiamo che nelle chiese dell’Occidente è spesso mancato l'interesse per la vita e il martirio delle sorelle e dei fratelli cristiani dei paesi del cosiddetto socialismo reale e che la solidarietà nei loro confronti ha lasciato non di rado a desiderare.

 

Ambivalenza della nuova situazione

 

(B6) La fine del conflitto Est-Ovest ha ampliato le possibilità pastorali e politiche di tutte le chiese e posto su una nuova base anche le relazioni ecumeniche. Si sono intensificati gli antichi legami, se ne sono allacciati di nuovi, è stato riorganizzato, e avviato in molti luoghi in modo promettente, l’aiuto interecclesiale. Ma la nuova situazione ha anche generato insicurezza, risvegliato antiche paure e ulteriori timori. La comunione ecumenica resta sottoposta a dure prove e in diversi luoghi le chiese minacciano persino di disintegrarsi. Sotto l'impressione prodotta dalla loro difficile situazione la maggior parte delle chiese deve concentrarsi maggiormente sui propri problemi interni, per cui le relazioni interecclesiali perdono per esse di importanza. Per lo più le loro difficoltà dipendono dal peso dei conflitti storici, che vengono interpretati e valutati in modo molto diverso. E questi conflitti sono spesso legati a loro volta al conflitto di fondo fra maggioranze e minoranze in una determinata nazione o regione e sono percepibili anche nell’Europa occidentale, meridionale e settentrionale. Spesso in casi del genere, nonostante la buona volontà, è difficile trovare una giusta soluzione, ma tutte le chiese e i cristiani coinvolti devono sempre essere consapevoli del fatto che il nostro primo e supremo dovere di lealtà spetta solo a Dio, che ha fatto di noi attraverso lo Spirito Santo l’unico corpo di Cristo. Sottolineiamo quindi con l'assemblea di Basilea: «Tutte le altre forme di lealtà (nazionali, culturali, sociali, ecc...)sono di secondaria importanza» (n. 77).

 

Proselitismo

 

(B7) La verità richiede che affrontiamo anche un problema che appesantisce in modo particolare le relazioni ecumeniche in Europa orientale, cioè il problema del proselitismo. Qui più che altrove è molto difficile e doloroso già il semplice accordarsi sulla natura del problema e sull'ampio ventaglio di esperienze. Vorremmo quindi richiamare alcuni importanti principi e costatare anzitutto quanto segue. Lo spirito di una comunione ecumenica rispettosa e fiduciosa vieta qualsiasi forma di proselitismo. Perciò questo divieto costituisce giustamente fin dall’inizio una delle regole centrali della convivenza ecumenica. Nessuna chiesa, comunità ecclesiale o movimento ecclesiale può invocare il mandato missionario cristiano quando cerca di conquistare con mezzi finanziari o propagandistici membri di un’altra confessione. Noi rispettiamo il diritto di tutte le cristiane e di tutti i cristiani di convertirsi a un'altra confessione, ma ciò non può essere mai prodotto mediante pressioni o manipolazioni. Per evitare malintesi, consideriamo particolarmente importante la reciproca informazione delle chiese interessate nel caso di conversioni di ministri e ministre. Riteniamo che si debba quanto prima chiarire la relazione esistente fra il concetto ecclesiale di territorio canonico e il diritto umano alla libertà religiosa ed elaborare una comune concezione del mandato missionario della chiesa. Accogliamo quindi con profonda convinzione il documento del Gruppo misto di lavoro del Consiglio ecumenico delle chiese e della Chiesa cattolica romana intitolato La sfida del proselitismo e l'appello alla testimonianza comune, le cui indicazioni potrebbero essere utili per il dialogo futuro. In ogni caso, la prudenza e il rispetto nelle nostre reciproche relazioni sono i presupposti che ci consentiranno di poter assolvere insieme, e non in reciproca concorrenza, il mandato missionario cristiano in Europa.

 

Consigli e associazioni di natura ecumenica

 

(B8) Con lo sguardo rivolto al futuro, vorremmo comunque sottolineare non tanto i conflitti che esistono fra di noi quanto piuttosto i segni di speranza che esistono già in abbondanza. Riteniamo che i consigli delle chiese e dei cristiani, che sono stati creati in numerosi paesi europei, siano uno degli elementi più importanti del progresso ecumenico. In essi si incontrano regolarmente rappresentanti ufficiali - uomini e donne - delle chiese membri per coordinare o compiere insieme delle attività, elaborare materiali destinati all’informazione o alla prassi ecumenica o discutere insieme di questioni controverse. Questi insostituibili strumenti di vita comune e di cooperazione dovrebbero costituire ovunque un saldo elemento delle relazioni interecclesiali. In vari paesi esistono, inoltre, associazioni locali fra comunità confessionali diverse, che condividono gli edifici, celebrano insieme il culto, pregano insieme o cercano insieme come strutturare in modo più attraente la proclamazione e la testimonianza della fede.

 

Iniziative ecumeniche

 

(B9) Accanto a queste strutture formali dell’ecumenismo esiste un campo straordinariamente vasto di iniziative ecumeniche, che è impossibile elencare anche solo in parte. Per esempio, migliaia di giovani provenienti dal Nord, dal Sud, dall'Ovest e dall'Est dell'Europa si incontrano a Taizé e in molti altri centri per cantare, meditare, pregare e discutere insieme. Ma riguardo al tema della nostra assemblea meritano comunque una particolare attenzione quelle azioni e iniziative che servono alla comprensione reciproca in situazioni di conflitti violenti o alla riconciliazione al termine delle ostilità. Il loro orizzonte spazia dall’aiuto comune in situazioni di necessità e di ricostruzione ai centri di vita comunitaria, passando per l’organizzazione di incontri fra i membri delle opposte fazioni. Le chiese dovrebbero sostenere sempre apertamente questi storzi e promuoverli anche finanziariamente secondo le loro possibilità. L’educazione, la formazione e la formazione permanente in campo ecumenico sono importanti per appianare i conflitti e tali sono anche tutti mezzi e le strade che servono alla formazione di una spiritualità comune. Fra questi mezzi vi sono soprattutto le traduzioni comuni della Bibbia, i libri ecumenici di canti e preghiere e, non da ultimo, le giornate di preghiera comuni, come la giornata di preghiera mondiale delle donne e la settimana di preghiere per l’unità dei cristiani. Non basta infatti limitarsi a trasmettere il sapere, ma occorrono comuni esperienze spirituali e l’apprendimento di un atteggiamento spirituale di fondo che colleghi strettamente insieme l’incondizionato rispetto della libertà di coscienza e la gioia per la ricchezza della fede cristiana.

 

Limiti della nostra comunione
e del nostro impegno ecumenico

 

(B10) Non può esservi fra di noi alcuna forma di unità che sia acquistata con la rinuncia alla verità che ci è stata affidata da Dio. Non abbiamo alcun diritto di sospettare le nostre madri e i nostri padri nella fede di aver perseguito o accettato la divisione delle chiese solo per motivi ignobili e riprovevoli. Allo stesso modo, dobbiamo rispettare tutti coloro che si sentono vincolati, per amore della verità, a mantenere certe convinzioni e decisioni, anche quando questo limita la nostra comunione. Sarebbe sleale tacere su tali limiti e falso oltrepassarli sic et simpliciter. Tuttavia dobbiamo continuamente valutare in tutta onestà se facciamo realmente nella comunione ecumenica tutto ciò che è possibile qui e ora, senza ferire alcuna coscienza. Alla luce della nostra fede e alla sfida posta al compito ecumenico della chiesa dobbiamo proseguire il dialogo preoccupandoci dell'unità. Nessuno di noi dovrebbe osare disprezzare la preghiera di nostro Signore Gesù Cristo o non prestare attenzione al comando di Paolo, che sempre risuona nelle nostre menti, di essere messaggeri della riconciliazione. Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione (cf. 2Cor 5,18). In ultima analisi, non possiamo produrre da noi stessi la comunione che Dio ci ha offerto, ma possiamo solo riceverla come un dono di Dio, condividendo e vivendo insieme il Vangelo sulla strada della riconciliazione. Qui si trova un dovere, ma soprattutto un incoraggiamento e una speranza, che additano il futuro.

 

Il dialogo con le religioni e le culture

Rivelazione universale di Dio e dialogo

(B11) Noi cristiani crediamo in un Dio che vuole rivelarsi a tutti gli esseri umani. Confessiamo che Dio ha manifestato il suo amore in perfetta purezza e chiarezza in Gesù Cristo, ma che è presente in modo misterioso anche nell’intera creazione e parla a tutte le persone che vogliono ascoltarlo, soprattutto attraverso la voce della coscienza. Perciò nelle altre persone, nelle loro culture e religioni, noi cristiani incontriamo sempre anche lo stesso Dio. Benché crediamo di aver ricevuto l’ineguagliabile automanifestazione di Dio in Gesù Cristo, il dialogo con loro può arricchirci, poiché impariamo a riconoscere in esso un nuovo aspetto dell’insondabile pienezza di Dio.

 

Varietà come retaggio e tratto permanente dell’Europa

 

(B12) Ma vi sono anche altri motivi per cercare il dialogo con le altre culture e religioni. L’Assemblea ecumenica di Basilea ne ha parlato in relazione con la costruzione della casa Europa, che deve essere vista «come parte della costruzione dell’intero ”villaggio globale”» (cf. n. 89), e di lì ha dedotto la necessità del dialogo «con le altre religioni, culture e visioni del mondo» (cf. n. 90). Aggiungiamo che la stessa Europa è sempre stata un luogo di relazioni cangianti, tese e anche conflittuali fra diversi popoli e religioni e oggi mostra, nel segno del pluralismo, una varietà ancora maggiore di culture, religioni e convinzioni diverse. Per poter sopravvivere società così pluraliste richiedono il rispetto reciproco, la fiducia reciproca e la comprensione reciproca. Il rispetto e la fiducia contribuiscono a far sì che i dialoghi conducano alla comprensione e all’intesa. Proprio il lato oscuro della storia europea insegna a quali terribili errori si possa giungere quando vien meno il rispetto, la fiducia e la comprensione. In questi dialoghi noi entriamo quindi raramente senza gravami; a volte ci portiamo dietro esperienze traumatiche che possono condizionarci anche quando sembrano dimenticate da tempo. Allora bastano a volte dei nonnulla per risvegliare antiche paure e ravvivare inveterati pregiudizi. Tanto più gravi eventi possono contribuire a risvegliare i fantasmi del passato, che disturbano o addirittura distruggono il vivere insieme. Quando i ricordi dividono persone e popoli non basta la semplice capacità di immedesimazione e il tatto. In casi del genere si richiede non di rado una forza quasi sovrumana di auto-abnegazione per riannodare i fili spezzati del dialogo. Noi cristiani dobbiamo perciò guardare continuamente al fratello Gesù Cristo e pregare che lo Spirito di Dio ci risollevi, consoli e fortifichi.

 

Rapporti con l'ebraismo

 

(B13) Gesù di Nazaret, che noi confessiamo come il Cristo, nacque ebreo e visse come uomo nella sua fede ebraica. Come Cristo ci ha rivelato il Dio di Israele, il quale non ha mai disdetto la fedeltà all'alleanza stipulata con il suo popolo. Noi partecipiamo alla stessa parola di Dio nel primo Testamento, alla fede nel Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza e liberati dalla schiavitù e dell'oppressione. La comune preghiera dei salmi e le parole dei profeti ci hanno modellato spiritualmente come cristiani. Tutto ciò mostra che il cristianesimo è radicato nell’ebraismo (cf. Rm 11,17s). Rispetto alla relazione con le altre tradizioni religiose la nostra relazione con l'ebraismo è immutabile. La cultura europea è debitrice all'eredità ebraica di un contributo fondamentale in campi talmente numerosi da non poter essere qui citati in dettaglio. Il crimine dell’uccisione e dell’espulsione della maggior parte delle ebree e degli ebrei europei è una perdita che la cultura europea non potrà mai colmare. La colpa di tutto questo ricade in modo particolare sul regime nazionalsocialista - un regime che è stato animato da un grande disprezzo nei riguardi dell'essere umano e che ha tentato di annientare tutto ciò che vi era di ebraico in Europa - e ricade anche sui tedeschi, sugli austriaci e su altri ancora, nella misura in cui hanno contribuito a sostenere questo regime e non vi hanno opposto una sufficiente resistenza. Anche alcune chiese hanno mancato. Dobbiamo confessare con vergogna che l'ostilità verso gli ebrei era diffusa in tutta Europa e che essa esplode continuamente. Inoltre, l’antisemitismo razzista e socialdarwinista, che dal XIX secolo in poi si è persino spacciato come scienza illuminata, ha potuto richiamarsi a una lunga tradizione anti-ebraica in seno al cristianesimo, risalente fino alle sue origini. Ma essa non ha caratterizzato né tutti i cristiani né tutte le fasi della loro storia. Vi sono stati, e vi sono, esempi di un diverso rapporto con l’ebraismo. Comunque la colpa resta enorme. Siamo lieti di poter constatare che il dialogo dei cristiani e delle chiese con l'ebraismo si è rafforzato e che esso comincia a produrre un nuovo orientamento a livello di dottrina teologica e di prassi ecclesiale. Lo attesta una grande varietà di documenti prodotti recentemente dalle chiese. Siamo pure lieti di constatare che il numero delle comunità ebraiche in molti paesi dell'Europa sta crescendo e che i cristiani hanno nuovamente la possibilità di vivere insieme con gli ebrei e di scoprire e comprendere la loro comune eredità.

 

Attuale configurazione del pluralismo europeo

 

(B14) Da secoli ebrei e musulmani sono vissuti sul suolo europeo e hanno costituito in diversi paesi forti minoranze. Sulla scia dell’illuminismo e della secolarizzazione è poi andato continuamente crescendo il numero di coloro che rifiutano la fede cristiana, si mostrano indifferenti a suo riguardo o seguono altre visioni del mondo. Nell’ambito della dominazione comunista, nonostante l'esistenza di una formale libertà religiosa, la religione è stata oppressa a favore dell’ideologia atea del marxismo-leninismo. I credenti sono stati spesso brutalmente perseguitati. Oggi in quei paesi sorgono molti gruppi diversi, i quali cercano di espandersi non di rado con metodi discutibili. Nell’Europa occidentale e settentrionale le migrazioni per motivi di lavoro, le correnti dei rifugiati, gli insediamenti degli stranieri o semplicemente la maggiore mobilità hanno contribuito a rafforzare non solo la varietà delle confessioni cristiane, ma anche la presenza delle religioni mondiali non cristiane. Ciò riguarda soprattutto l’islam, che mostra un forte dinamismo e una grande espansione, ma bisogna tener conto anche delle religioni asiatiche-orientali.

 

Apertura religiosa

 

(B15) Sembra, infine, che il cosiddetto post-moderno sia caratterizzato da una nuova brama di sperimentazione, che coinvolge anche la dimensione religiosa della vita. Osserviamo a volte addirittura una vera sete di esperienze religiose o spirituali. Molti ”profeti”, che non sempre perseguono degli scopi religiosi, offrono le loro risposte. Si ravvivano antiche tradizioni religiose, attecchiscono in Europa religioni molto lontane. Anche in seno alle chiese cristiane cresce l’interesse per le tradizioni religiose non cristiane, le quali presentano a volte anche una notevole forza di attrazione. Abbiamo bisogno di metterci d'accordo sui criteri in base ai quali distinguere gli spiriti. Si potrebbe dire che finora non ha trovato conferma né in Europa né in altre parti del mondo la prognosi di una progressiva secolarizzazione che ci avrebbe condotto a un’epoca più o meno areligiosa. Le situazioni di fatto mostrano un quadro molto più complesso e consentono, in definitiva, una sola conclusione: la pluralità delle convinzioni e degli stili di vita resterà un tratto permanente della cultura dell’Europa. Tutte le riflessioni sul cammino del cristianesimo nel prossimo millennio devono partire da questo dato fondamentale.

 

Tolleranza e riconciliazione

 

(B16) Riteniamo importante renderci conto insieme che questa situazione richiede la tolleranza da parte di tutte le abitanti e di tutti gli abitanti della casa Europa. La tolleranza rappresenta la condizione minima per una convivenza pacifica. Ma come la pace significa ben più della semplice assenza di guerra, così una fruttuosa convivenza non richiede solo di sopportare la diversità degli altri esseri umani. Se si vuole che la diversità diventi una fonte di ricchezza a vantaggio di tutti, occorre che le opposizioni che essa nasconde o mostra apertamente siano riconciliate. Ciò vale soprattutto nel caso in cui queste opposizioni abbiano assunto in passato forme violente o prolunghino la loro asprezza offensiva fino ai nostri giorni. Le opposizioni irriconciliate dividono la comunità e il ricordo dell’ingiustizia e della sofferenza passata avvelena i rapporti umani se non viene sanato. Il tempo non guarisce le ferite, nel migliore dei casi le cicatrizza, per cui in presenza di nuove esperienze negative tornano rapidamente a far male. Il processo della riconciliazione assomiglia a una cura disintossicante; esso conduce attraverso momenti di spogliazione nei quali riaffiora il dolore della vergogna e dell’umiliazione. Ma si tratta di un dolore che guarisce; infatti, per espellere dal mondo l’ingiustizia e la sofferenza passata, bisogna chiamare con il loro nome e ammettere apertamente sia la colpa sia l'umiliazione. Solo allora è possibile il perdono. Infatti, non esiste riconciliazione senza verità e giustizia. Sebbene ogni violenza che gli esseri umani infliggono e patiscono sia per tutti un tragico destino, mai si può e si deve eliminare la differenza che esiste fra i carnefici e le vittime.

 

Rapporti con l’islam

 

(B17) Il cristianesimo e l’Europa cristiana hanno alle spalle anche una lunga storia di relazioni con l’islam, che dal punto di vista quantitativo rappresenta oggi sul nostro continente la maggiore religione non cristiana. Nell'Europa centrale e settentrionale si ha poca coscienza dell'influenza storica dell'islam sulla cultura europea. Si dimentica in gran parte che in altre parti dell'Europa fedeli cristiani, ebrei e musulmani sono vissuti in condizioni di buon vicinato. Un'attenta considerazione ci mostra che le relazioni sono state piuttosto variegate e che anche l’epoca della dominazione osmanica nell’Europa meridionale non può essere liquidata con un giudizio sommario. E tuttavia, nel corso della storia, i pregiudizi sia da parte cristiana sia da parte musulmana hanno giocato un ruolo enorme, spesso fatale. Si basavano da entrambe le parti su esperienze dolorose, che si erano profondamente impresse nella memoria dei rispettivi popoli e si riferivano per lo più ad esperienze comuni a entrambe le parti. Così si instaurò, da parte cristiana in relazione alle conquiste arabe, tartare e turche e da parte musulmana in relazione alle crociate e al colonialismo, un’abissale diffidenza che ogni ulteriore conflitto contribuì ad alimentare. I musulmani del mondo intero, ad esempio, hanno letto la recentissima guerra in Bosnia alla luce di questa storia e vi hanno visto una nuova prova dell’ostilità dell’Occidente nei confronti dell’islam. Da parte cristiana ed europea, il destino delle minoranze cristiane in alcuni stati musulmani e la violazione dei diritti umani ha rafforzato in molti il timore e la convinzione che l’islam non permette fondamentalmente alcuna convivenza su un piede di parità. I gruppi fondamentalisti con le loro azioni terroristiche sembrano confermare a loro volta in modo brutale un tale giudizio. Non è nostro compito esprimere un’opinione definitiva sulle difficili questioni storiche, morali e giuridiche che vanno discusse nel dialogo islamo-cristiano. Vogliamo solo sottolineare la necessità di questo dialogo, che in diversi luoghi è del resto già iniziato. In esso la concezione dei diritti umani deve assumere, a nostro avviso, un ruolo decisivo. Come cristiane e cristiani ci sentiamo solidali con le nostre sorelle e i nostri fratelli cristiani che hanno sofferto, e soffrono, sotto la dominazione islamica. Ma vogliamo guardarci dall’applicare due pesi e due misure nel giudizio sull’ingiustizia passata e presente.

 

Missione e dialogo in Europa

 

(B18) In molte chiese è iniziata un'approfondita riflessione sul modo in cui poter rinnovare la vita cristiana e sul modo in cui poter rendere più viva e credibile la testimonianza delle cristiane e dei cristiani in Europa. Questo spirito missionario non contraddice il dialogo con coloro che appartengono ad altre religioni. E' lo stesso Spirito che vuole proclamare al mondo intero la buona novella dell'amore di Dio, che ci è stato rivelato in Cristo e che ci permette di riconoscere i segni della presenza di Dio in tutti gli esseri umani giusti e santi. Lo Spirito incoraggia tutti a purificarsi e a collaborare a promuovere la vita, la giustizia e la pace in tutte le società.

 

Chiesa e società

 

(B19) Cristo, che ci ha liberati, vuole che il consenso al suo Vangelo avvenga in piena libertà e che noi rispettiamo la coscienza di ogni essere umano, nonché l'azione invisibile dello Spirito di Dio nel cuore degli uomini e delle donne di buona volontà. Anche riguardo alle relazioni istituzionali fra le religioni in seno a una determinata società i cristiani devono preoccuparsi del rispetto della dignità umana e di tutte le forme della libertà religiosa, sia individuale sia associata. Esse devono essere garantite dalla legislazione statale.

 

L’impegno per la giustizia sociale, soprattutto per il superamento della povertà,
dell'esclusione sociale e di altre forme di discriminazione

 

Giustizia come motivo di fondo della tradizione ebraico-cristiana

 

(B20) La scelta del motto Pace nella giustizia per l’Assemblea ecumenica di Basilea non è stata certamente casuale. E’ infatti difficile trovare un altro motivo che sia più saldamente ancorato nella tradizione biblica del legame fra la fede nel Dio di Israele e Padre di Gesù Cristo e l’ardente desiderio umano di un mondo giusto. In linea con il messaggio dei profeti e l’annuncio di Gesù, a Basilea si è approfondito e chiarito il carattere globale della nostra conversione a Dio (metanoia), mostrando come essa ci obblighi a cercare delle strade per realizzare «una società in cui le persone abbiano uguali diritti e vivono insieme in solidarietà» (n. 45). Allora con rigore profetico si mise in guardia dall’«arrendersi all’ingiustizia e dallo scendere a compromessi con essa» e dal lasciarci andare a una passività che è, in ultima analisi, viltà e complicità o serve alla conservazione della nostra «pace a spese degli altri», soprattutto a spese «dei deboli, che non hanno voce e potere per difendere la loro dignità e i loro diritti» (n. 32).

 

La nostra confessione del Dio della giustizia

 

(B21) Nelle mutate condizioni in Europa sottolineiamo e rinnoviamo perciò la nostra confessione di fede secondo cui il Dio Creatore e il Dio Liberatore è al tempo stesso il Dio della giustizia che ci chiama a lottare ovunque contro le ingiustizie nelle strutture sociali e nei comportamenti. Ci richiamiamo allo stesso Gesù e al modo in cui intese la sua missione, modo che troviamo attestato nella sacra Scrittura: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare il Vangelo ai poveri, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).

 

Competenza delle chiese

 

(B22) La volontà delle chiese di impegnarsi per una maggiore giustizia nel mondo le porta inevitabilmente a un’ingerenza nelle faccende politiche ed economiche. Così facendo, esse vengono spesso sospettate o rimproverate di falsificare il loro tipico messaggio e di tradire il loro compito specifico. Ma per noi il compito della testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo include inevitabilmente il dovere dell’impegno politico e sociale, e questo sia per i singoli cristiani sia per le chiese in quanto tali. Ci rifiutiamo anche di restringere l’impegno delle chiese e dei fedeli all’ambito diaconale e caritativo o di lasciare che se ne abusi come surrogato di una politica sociale giusta. L’alta considerazione di cui gode abitualmente questo servizio disinteressato di molte chiese, organizzazioni cristiane e numerose donne e uomini in ambito politico e sociale è per noi motivo di gioia. Infatti, benché l’annuncio cristiano si rivolga a tutti gli esseri umani, il luogo privilegiato della chiesa deve essere al fianco dei poveri, dei malati e dei deboli. L'ambito dell'etica sessuale, ivi compreso il problema della discriminazione delle persone omosessuali, continua a costituire una sfida che richiede da parte delle chiese ulteriori analisi e decisioni. La chiesa appartiene a tutte le persone che vengono discriminate o sono costrette a vivere ai margini della società. Noi sentiamo che è lì il nostro posto d’onore, poiché sappiamo che è lì che si trova anche quel Dio in cui crediamo. Perciò, nel processo ecumenico per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, le chiese hanno a più riprese riconosciuto l’«opzione preferenziale per i poveri» e si sono impegnate in tal senso.

 

Situazione particolare delle chiese dell’Europa centrale e orientale

 

(B23) In passato, nelle condizioni politiche esistenti, le chiese dell'Europa centrale e orientale hanno sempre cercato di influenzare la vita sociale mediante la testimonianza della fede vissuta dei singoli o dei piccoli gruppi. Esse hanno dato il loro contributo anche per la pacifica trasformazione del 1989. La nuova situazione estende le loro possibilità precedentemente molto limitate, ma al tempo stesso l'opzione per i poveri continua ancora a presentare per queste chiese una particolare difficoltà. Per poter prendere apertamente posizione nelle questioni di etica sociale e avanzare istanze politiche si richiedono adeguate conoscenze di cui le chiese in quanto tali non necessariamente dispongono. Nell’Europa occidentale esse hanno potuto creare strumenti adatti a tale scopo per lo più sotto forma di istituti, commissioni e cattedre di etica sociale. In passato, alle chiese dell’ex blocco orientale era vietato di occuparsi di problemi politici e sociali e di elaborare prese di posizione pubbliche, eccetto forse al fine di approvare la politica statale. Per questo esse mancano oggi in gran parte di una dottrina sociale elaborata e adeguata alla loro situazione, di esperti formati, di istituti di ricerca e di altri mezzi che sarebbero necessari per poter assolvere al meglio il loro compito.

 

Aiuto ecumenico e scambio di esperienze

 

(B24) Le chiese delle nazioni europee più ricche dovrebbero sentire il dovere di condividere le loro esperienze politiche e di sostenere concretamente la creazione di istituzioni del genere là dove non esistono. Ma, oltre a questo, abbiamo bisogno anche di un vero e proprio scambio di esperienze fra Europa occidentale ed Europa orientale. Le esperienze fatte con il socialismo di stato, da un lato, e le esperienze fatte con il relativismo valoriale e l'indifferenza nelle società consumistiche liberali, dall'altro, hanno insegnato alle chiese europee quali distruttive conseguenze comporti l'ignoranza o il disprezzo dei principi morali da parte della politica e dell'economia. Questa visione di fondo dovrebbe affinare il nostro sguardo sul fatto che non esiste alcun ambito della vita umana, sociale e politica in cui si possa sospendere interamente o in parte la validità dei principi e dei valori etici basilari. Anche nelle crisi economiche i vantaggi e gli svantaggi vanno distribuiti in modo equo.

 

Situazione contraddittoria dopo il 1989

 

(B25) Per molte persone che vivevano sotto la passata dominazione del socialismo reale gli sconvolgimenti del 1989 erano strettamente legati alla speranza di una maggiore libertà politica e di un maggiore benessere. Esse pensavano che si sarebbero potute ridurre drasticamente le enormi spese militari e impiegare i mezzi resi disponibili per scopi pacifici. Pensavano, inoltre, che il sistema dell’economia di mercato avrebbe contribuito rapidamente a superare le conseguenze catastrofiche dell’economia pianificata, a liberare forze creative e a diffondere più ampiamente o accrescere la proprietà privata. Ma nel frattempo la realtà si è dimostrata ampiamente contraddittoria. Senza dubbio, le speranze politiche si sono in gran parte realizzate e in linea di principio le opportunità di un benessere generale sono in molti luoghi cresciute, ma al tempo stesso il cambiamento della struttura economica nell’Europa centrale e orientale ha peggiorato la situazione sociale ed economica di ampi strati della polotazione, confinando molte persone, soprattutto donne, nella disoccupazione e dividendo la società in una ristretta classe di nuovi ricchi e un’ampia maggioranza di persone che soffrono di una povertà fino ad allora sconosciuta. Inoltre, i rapporti mafiosi e la corruzione, l’inefficacia delle norme giuridiche e l’efficacia di antichi residui di potere ostacolano e rendono più difficile il progresso economico e sociale.

 

Cambiamento della struttura economica come fonte di pericoli

 

(B26) Anche nel resto dell’Europa è in corso da molto tempo un profondo cambiamento strutturale con drammatiche conseguenze. Esistono certamente grandi differenze da nazione a nazione, sia dal punto di vista della rispettiva situazione sia riguardo alle prospettive di sviluppo futuro, ma si è prodotto in generale un preoccupante alto tasso di disoccupazione. Mentre all’Est i sistemi della sicurezza sociale sono spesso ancora inesistenti e possono essere difficilmente creati nelle attuali condizioni, all’Ovest essi rischiano di crollare sotto il peso delle crescenti difficoltà. Si tratta quindi di una convergenza a un diverso livello, che contribuisce ad accumulare materiale esplosivo in campo sociale e politico. Il processo di globalizzazione dell'economia, che si fonda in gran parte sul modello neo-liberale, non solo investe con le sue conseguenze il mercato del lavoro, ma sposta radicalmente la relazione fra capitale e lavoro, appesantisce il clima sociale complessivo e mina, infine, la disponibilità ad assumere i costi di un’effettiva politica dell'ambiente.

 

Discriminazione delle donne

 

(B27) Le chiese devono considerare il cambiamento strutturale delle società europee con gli occhi di coloro che ne portano le conseguenze. Ci riempie di sdegno il dover constatare come le donne siano ancora variamente svantaggiate, nonostante tutti i successi degli sforzi per il riconoscimento della parità. A parte qualche eccezione, l’accesso alle posizioni di potere sociale continua a essere loro ampiamente precluso, nonostante che nella maggior parte degli stati industrializzati non vi sia praticamente alcuna differenza nella formazione professionale delle donne e degli uomini. Anche là dove le donne hanno conseguito l’equiparazione professionale con gli uomini, devono spesso pagare per questo un alto prezzo e portare in genere maggiori pesi rispetto agli uomini. Nella politica familiare, nell’economia e nell’amministrazione sono estremamente rari i tentativi seri di migliorare le possibilità di una più equa ripartizione dei pesi. La disponibilità degli uomini a mettere seriamente in discussione i comportamenti legati ai ruoli lascia ancora molto a desiderare. E se ciò non bastasse, anche la maggiore concorrenza sul mercato del lavoro peggiora la situazione delle donne. I loro salari, già mediamente più bassi, vengono ulteriormente ridotti; esse vengono licenziate per prime o assunte con maggiori riserve. Il risultato è una femminizzazione della disoccupazione. Noi consideriamo scandaloso il dato di fatto qui appena accennato, soprattutto quando le chiese si rendono colpevoli di pratiche analoghe, nonostante che la vita ecclesiale sia sostenuta ovunque in misura notevole dalle donne.

 

Situazione paradigmatica dei senza patria

 

(B28) Come attraverso una lente ustoria molti problemi dell’Europa convergono nel destino di quanti hanno dovuto lasciare per un grave motivo la loro patria. Il problema dei rifugiati è un tratto tipico del XX secolo e ha tutta l’aria di diventare un problema vitale dell’umanità. Benché la stragrande maggioranza dei rifugiati resti nei paesi dei cosiddetti due terzi del mondo, è dato trovare anche in Europa un numero considerevole di persone in fuga. Solo la guerra nella ex Iugoslavia ha privato della loro patria e disperso ai quattro venti centinaia di migliaia di persone. Oltre alla guerra sono soprattutto la persecuzione e l’oppressione, la povertà e la mancanza di prospettive a costringere o spingere le persone a lasciare la loro terra. Al centro di questo movimento migratorio, alimentato soprattutto dai paesi poveri del versante meridionale del Mediterrano e sempre più anche dall’Europa orientale, si trovano i paesi ricchi dell’Europa occidentale e settentrionale. Nei confronti dei migranti e dei rifugiati essi assumono generalmente un atteggiamento di diffidenza e di rifiuto. Soprattutto l’espressione «rifugiato per motivi di povertà» è diventata in diversi posti quasi un’espressione ingiuriosa. Per molti motivi fallisce a livello nazionale e sovranazionale una politica dell’asilo e dell’immigrazione giusta e degna degli esseri umani, mentre si lavora intensamente a schermare verso l’esterno i singoli stati e la comunità degli stati dell’Europa occidentale. Così, nonostante la loro diversa posizione, i rifugiati, coloro che chiedono asilo e i migranti ci mostrano nel loro insieme che sul problema di una giusta ripartizione gli stati ricchi dell’Europa si comportano fra loro e con le altre parti del mondo in modo terribilmente impotente ed egoistico.

 

 

Critica dell’egoismo e riaffermazione della finalità sociale
della proprietà privata

 

(B29) Naturalmente neanche i cristiani e le cristiane conoscono facili ricette per la soluzione di problemi molto complessi, anzi mettiamo espressamente in guardia dal credere a persone o gruppi che decantano facili soluzioni. Queste promesse sono sempre ingannevoli e pericolose. Per lo più servono solo a distogliere dalla propria responsabilità e a trasformare altri in capri espiatori. D’altra parte, siamo convinti della realtà del peccato, che appare nel comportamento individuale e si manifesta e solidifica a volte anche in modo strutturale. Le chiese si renderebbero colpevoli se volessero tacere al riguardo. Ci opponiamo quindi decisamente a ogni tendenza a glorificare l’egoismo come ricetta di successo o virtù di sopravvivenza. Esistono interessi legittimi e un giusto amore di sé, ma l’egoismo è sempre riprovevole. Perciò anche il nostro riconoscimento della qualità umana della struttura dell’economia di mercato rispetto all’economia pianificata non può essere assolutamente inteso come un salvacondotto morale per uno sfrenato arricchimento e una battaglia concorrenziale senza esclusione di colpi. Sosteniamo decisamente il diritto di proprietà voluto da Dio, ma affermiamo inflessibilmente che questo diritto vale per tutti gli esseri umani e che la proprietà obbliga alla responsabilità sociale. Guardiamo con preoccupazione al fatto che il carattere internazionale dei mercati finanziari permette sempre più facilmente a una quantità crescente di capitali finanziari di sottrarsi a questa responsabilità e che alcuni stati ne traggano grandi vantaggi. L’assenza di confini dei flussi finanziari richiede quindi accordi e trattati politici internazionali. La politica non può semplicemente capitolare quando i controlli nazionali non riescono più a intervenire efficacemente.

 

Necessità della ripartizione del potere

 

(B30) Nei paesi più ricchi dell’Europa occidentale e settentrionale si continua ostinatamente a credere che un maggiore dinamismo dello sviluppo economico risolverà a medio o lungo termine gli attuali opprimenti problemi sociali. Ciò coglie certamente nel segno se si intende affermare che senza un’economia efficiente sarà effettivamente impossibile coprire i costi delle prestazioni sociali. Ma riteniamo che sia una pericolosa illusione confidare unicamente nel progresso economico e così sottovalutare il fatto che in Europa la soluzione dei problemi sociali è impossibile senza la disponiblità a condividere ciò che si possiede. Al riguardo, intendiamo ogni forma di possesso, non solo la ricchezza monetaria, ma anche il possesso del lavoro, del tempo, del sapere, della tecnologia. Il problema fondamentale di cui qui si tratta è il problema del potere e della ripartizione del potere. E’ importante rendersi chiaramente conto che un’ingiusta ripartizione del potere equivale a rifiutare opportunità di vita. Impotenza significa essere esclusi dal circolo vitale della vita sociale. Il fatto di proporre continuamente a un numero crescente di persone, soprattutto giovani, le seduzioni del mondo dei consumi e ostruire al tempo stesso la strada della partecipazione al potere e al benessere genera una giusta collera, ma soprattutto una rabbia sotterranea che si traduce facilmente in focolai spontanei di violenza. Ne vediamo già ora le preoccupanti avvisaglie e mettiamo in guardia dal reagire quasi esclusivamente con forme di contro-violenza da parte dello stato, senza perseguire una maggiore giustizia.

 

Responsabilità sociale nella casa comune Europa

 

(B31) L’Assemblea ecumenica di Basilea ha detto: «In una casa comune vi sono comuni responsabilità. Non è accettabile che alcune parti si trovino in stato di sempre maggiore arretratezza, mentre altre siano nell'opulenza. In una casa comune la vita è guidata dallo spirito di cooperazione, non dalla competizione» (n. 66). Sottolineiamo con forza quest’affermazione, poiché oggi ci sembra molto più importante di allora. Se gli europei non riescono ad attuare questa comune responsabilità, sarà ben presto in gioco - sia all’Est che all’Ovest - non solo la pace sociale, ma anche l’ordinamento democratico e sarà impossible mantenere o costruire una società civile. La giustizia genera la pace ed è una delle sorgenti più profonde della vita riconciliata. Perciò le chiese hanno bisogno di una propria e comune politica riguardo all'Europa, una politica che, da un lato, deve promuovere l'Unione europea e, dall'altro, esigere la necessità di una politica sociale europea. Attualmente, entrambe le cose concernono prioritariamente l'introduzione di una moneta unica europea, che dovrebbe rivestire un'importanza decisiva per il futuro sviluppo del nostro continente. Infatti, dalla sua concreta configurazione dipenderà la misura in cui si realizzeranno effettivamente gli sforzi verso un'Europa democratica in solidarietà e giustizia. Il processo di allargamento soprattutto delle istituzioni dell'Europa occidentale genera un nuovo rischio di esclusione. Le chiese europee devono continuare ad affermare con forza che l'Europa significa veramente l'intera Europa (e non solo l'Europa occidentale). Su questo si basa anche il significato e l'importanza dell'OSCE, l'unico organismo che comprenda tutti gli stati europei. L'integrazione dei paesi dell'Europa orientale e centrale nelle strutture dell'economia e della sicurezza sociale dell'Europa occidentale rischia di produrre nuove forme di ingiustizia e di emarginazione.

 

L’impegno per la riconciliazione in seno e fra i popoli e le nazioni
e per il rafforzamento delle forme non violente di superamento dei conflitti

 

Riconciliazione, dialogo e rinuncia alla violenza

 

(B32) Nel documento finale dell’Assemblea ecumenica di Basilea le riflessioni sulla politica della pace e della sicurezza hanno occupato molto spazio. Esse esprimevano il crescente desiderio di un superamento delle divisioni in Europa. Si formulò come speranza per il futuro la visione di una trasformazione democratica e pacifica. L'impegno della società civile conferì una nuova dimensione al processo di distensione (cf. n. 59). Ma poiché i processi di trasformazione contengono sempre anche dei conflitti, il documento di Basilea affermò: «Trasformiamo questo processo di cambiamento in un processo di riconciliazione» (n. 62). Come via alla riconciliazione l’Assemblea di Basilea raccomandò il dialogo al di sopra e al di là dei fossati che ci dividono in Europa (cf. n. 60). Ma come presupposto decisivo per il dialogo e la riconciliazione si richiese la radicale rinuncia alla violenza. Infatti, «nei nostri paesi e nel nostro continente non c'è nessuna situazione in cui la violenza sia richiesta o giustificata» (n. 61)

 

Esperienze dopo il 1989

 

(B33) La grande guerra mondiale non è venuta, ma non è venuta neppure la grande pace. I motivi del timore che l'Europa potesse trasformarsi in un inferno atomico si sono notevolmente ridotti, ma è ritornata in Europa la guerra convenzionale, con il suo corteo di indicibili brutalità, rapine, stupri, espulsioni e «pulizie etniche». Il quadro generale è reso ancor più fosco dalle immagini della fame, del genocidio e delle sofferenze dei rifugiati che ci giungono da altre parti del mondo. Il potere politico continua a usare la guerra come strumento per perseguire o assicurare i propri interessi. In questa situazione la maggior parte delle persone si sente impotente e smarrita. Molte cristiane e molti cristiani si chiedono che cosa possa significare in un tale contesto l’opzione preferenziale per la rinuncia alla violenza. Ma la nostra fede non consente né rassegnazione né cinismo. Perciò, ricollegandoci all'Assemblea di Basilea, sottolineiamo con forza che dobbiamo contribuire a far sì che nei nostri paesi e sul nostro continente non si instaurino situazioni tali da poter richiedere o giustificare l'uso della forza. Perciò, si richiede soprattutto una coerente e consequenziale politica della pace. Sul piano delle istituzioni esistenti (UE, NATO, Consiglio d'Europa, OSCE) si tratterà quindi di valutare un cambiamento dei loro compiti alla luce di una politica della pace e della sicurezza orientata al futuro e all'intera Europa. L'allargamento delle istituzioni non deve provocare nuove tensioni, che impediscano una concezione della sicurezza comprendente l'intera Europa e avente la stessa estensione dell'OSCE. Si deve perseverare coerentemente nella politica del disarmo. Oggi, la politica della pace richiede anche la prevenzione dei conflitti e la promozione di una cultura della fiducia e dell'intesa. Al riguardo possono offrire un contributo decisivo soprattutto le organizzazioni civili, i servizi finalizzati al mantenimento della pace e anche le chiese.

 

Ruolo delle chiese nei conflitti

 

(B34) In molti conflitti violenti giocano un ruolo fondamentale, accanto alle cause economiche, sociali e politiche, i fattori etnici e religiosi e questo in ogni fase dell’evoluzione del conflitto. Proprio nel caso delle guerre civili, che si distinguono abitualmente per la loro particolare efferatezza, è difficile rendersi conto dell’interazione e della strumentalizzazione politica dei diversi elementi. Anche il comportamento delle comunità religiose e confessionali non offre un quadro unitario. Anche all’interno di una stessa religione o chiesa si possono assumere nei riguardi di uno stesso conflitto posizioni opposte. Così le religioni e le chiese diventano parte del problema. E' importante quindi affrontare il tema dei rapporti spesso non chiari esistenti fra religione, chiesa, popolo e nazione e riflettere in particolare sulla relazione fra identità religiosa e identità etnica, nonché trarre delle conseguenze pratiche dalle conoscenze così acquisite. Con l'aiuto di procedure riconosciute di mediazione neutrale tutti coloro che sono coinvolti in un conflitto dovrebbero impegnarsi a giungere a un concorde chiarimento delle loro posizioni. Questo potrebbe svelenire la situazione già a monte dei conflitti. La credibilità delle religioni e delle chiese si misura dal contributo che sono in grado di offrire alla soluzione del problema nel quadro di conflitti incipienti o in atto. Il compito della riconciliazione comincia per esse allora e non solo al termine della fase militare o violenta del conflitto.

 

Crescente importanza delle soluzioni civili dei conflitti

 

(B35) Dalla II guerra mondiale in poi le guerre di tipo classico, cioè le guerre fra stati sovrani, sono sensibilmente diminuite, mentre è notevolmente aumentato il numero dei conflitti violenti che avvengono, con o senza la partecipazione di forze militari regolari, all’interno di un singolo stato e si estendono a volte anche oltre i suoi confini. Da questo dato derivano due conseguenze nel campo della politica della sicurezza e della pace. L'integrazione internazionale delle forze armate si è dimostrata un importante strumento di una politica militare e della sicurezza orientata al futuro. L'importanza della prevenzione dei conflitti e degli strumenti e delle misure non militari della risoluzione dei conflitti non può essere più a lungo tenuta ai margini, ma deve essere posta al centro dell'azione politica. Poiché il diritto dei popoli vieta ogni guerra di offesa e permette solo limitatamente la guerra di difesa si deve orientare ogni politica della sicurezza giuridicamente e moralmente sostenibile a togliere agli stati nazionali la possibilità di condurre guerre autonome. Questa scelta deve essere compensata con il rafforzamento dei sistemi di sicurezza collettivi, a livello sia mondiale sia regionale (ONU, NATO, OSCE, Consiglio d'Europa), sottolineando in modo particolare i loro compiti in ordine al mantenimento e alla promozione della pace.

 

Prevenzione e risoluzione non violenta dei conflitti

 

(B36) Si deve dare maggiore importanza di quanto non si sia mai fatto finora agli strumenti della prevenzione e della risoluzione non violenta dei conflitti. Proprio i recentissimi esempi di scontri militari all’interno e al di fuori dell’Europa hanno chiaramente mostrato ancora una volta che è molto difficile influenzare dall’esterno i conflitti in seno a uno stato e oltre i suoi confini, quando si è oltrepassata una certa soglia dell’uso della violenza. Dal punto di vista della politica della pace molto dipende quindi dal tempestivo riconoscimento di questo pericolo e dalla pronta reazione ad esso. Poiché gli stati nazionali continueranno a essere le fondamentali unità operative nel contesto della politica internazionale, anche la diplomazia classica conserva una funzione irrinunciabile. Ma essa deve essere ampliata a livello concettuale e pratico con strumenti di politica non statuale, strumenti che possono essere qualificati come rilevanti dalla società civile. In questo contesto le chiese hanno un ruolo significativo, essendo sia ancorate nella singola nazione sia collegate insieme a livello internazionale. La comunità ecumenica si presenta quindi come una sorta di sistema sismografico, che registra le scosse sociali, raccoglie le informazioni registrate e le convoglia verso i luoghi decisivi. Inoltre, essa può e deve intervenire attivamente nelle situazioni di crisi, sia sotto forma di silenziosa diplomazia ecclesiastica, sia mediante concrete azioni simboliche dimostrative, non violente.

 

Ecumenismo e intesa fra i popoli

 

(B37) Dopo la I guerra mondiale si diede vita al movimento del Cristianesimo pratico al fine di imparare dallo spaventoso fallimento delle chiese e di metterle in grado di rendere un miglior servizio all'intesa fra i popoli. E, in realtà, si è proceduto poi a stabilire una rete di contatti ecumenici fra persone, comunità e chiese, che durante la II guerra mondiale e anche al tempo della guerra fredda ha gettato addirittura un ponte al di sopra degli schieramenti in conflitto e ha reso dei servizi insostituibili. Oggi esiste una rete di migliaia di contatti e associazioni fra le comunità all'Est e all'Ovest, al Nord e al Sud dell'Europa. Molte associazioni ecclesiali laicali, servizi e opere hanno giocato un ruolo attivo anche nell'intesa fra i popoli e le chiese. Queste attività formano la base dell'impegno ecumenico nel processo di riconciliazione dell'Europa. Esse dovrebbero poter contare sul riconoscimento delle loro chiese e dell'opinione pubblica in genere. Anche il Consiglio ecumenico delle chiese, la Conferenza delle Chiese europee, il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa e singole chiese si sforzano di svolgere un ruolo di mediazione nelle regioni europee in conflitto. Tutto questo si basa sull'incrollabile convinzione che la comunione che lega il popolo di Dio va oltre i confini fra i popoli e che la lealtà sia nazionale sia etnica viene dopo la comunione ecumenica quale espressione visibile dell’unità del corpo di Cristo.

 

L’impegno delle chiese per le vittime della barbarie

 

(B38) I conflitti nazionali ed etnici hanno normalmente motivazioni di fondo economiche o politiche, ma sono soprattutto per loro natura conflitti di identità. Negli studi sulla pace si afferma che proprio per questo è molto difficile riportarli sotto controllo e comporli, poiché sull’identità è impossibile o quasi impossibile poter trattare. L’esperienza insegna che è più facile risolvere o appianare mediante il consenso e il compromesso i conflitti di interesse economico o politico. Nel timore della perdita della propria identità un ruolo centrale giocano abitualmente ricordi storici, traumi collettivi e miti nazionali, conferendo ai conflitti di identità una dimensione culturale che va ben al di là del dato politico. La violenza diretta contro l’identità di persone e gruppi assume rapidamente e necessariamente la forma della barbarie. Gli atti ritualizzati di umiliazione, soprattutto la nefandezza di forme di violenza organizzata, ma anche la distruzione mirata di luoghi di culto, biblioteche, monumenti o altri simboli di una cultura etnica nazionale o religiosa, ecc., servono a spogliare le persone interessate della loro dignità umana. Dove ciò avviene, o è avvenuto, le chiese devono porsi chiaramente al fianco delle vittime, per difendere la loro dignità e aiutarle a ristabilirla. Per le vittime, le chiese devono costituire, nel senso letterale e traslato del termine, il luogo in cui possano portare davanti a Dio, silenziosamente, gridando o lamentandosi, il loro dolore o raccontarlo ad altre persone. Alle vittime spetta sempre la prima parola, solo successivamente anche gli aguzzini possono aspettarsi di trovare ascolto. Comunque anche questo deve avvenire. Infatti, nessuno perde mai il diritto di essere trattato giustamente. Le chiese non possono amministrare la giustizia e non possono quindi punire né i crimini di guerra né altri crimini, che siano stati commessi ad esempio durante una dittatura. Ma, oltre alla cura pastorale delle vittime e degli aguzzini, possono contribuire a stabilire il trattamento giuridico dei crimini mediante le strutture giudiziarie nazionali e internazionali. Le chiese dovrebbero impegnarsi ad avviare e sostenere, a livello sia nazionale sia locale, commissioni incaricate di accertare la verità e di promuovere la riconciliazione e a creare il quadro istituzionale di cui hanno bisogno per il loro lavoro.

 

Servizi «shalom»

 

(B39) L’Assemblea di Basilea ha formulato un principio che noi consideriamo un principio guida per la futura politica di pace: «La nonviolenza dovrebbe essere vista come una dinamica attiva e una forza costruttiva, fondata sull'assoluto rispetto della persona umana» (n. 86). Da questo spirito deve essere animata ogni azione che intenda aprire, o mantenere aperte, strade di riconciliazione, ivi compreso il servizio dei soldati. La nonviolenza è un elemento essenziale della dottrina e della testimonianza di Gesù Cristo. Il rifiuto di usare violenza omicida merita il rispetto e il sostegno delle chiese. Ciò vale anche per il ruolo costruttivo che le donne svolgono continuamente nei processi di pace e di riconciliazione. L'impegno delle chiese per la soluzione non militare dei conflitti, le misure preventive e l'azione riconciliatrice nelle tensioni politiche, sociali, etniche o religiose richiede molte persone esperte negli atteggiamenti di fondo e nelle metodiche della composizione non violenta dei conflitti. A Basilea si sono quindi stimolate le chiese a creare servizi ecumenici «shalom», per offrire agli uomini e alle donne la possibilità di impegnarsi nel servizio dell’intesa fra i popoli (cf. n. 80). Si sono già fatti dei passi concreti per la traduzione in pratica di quest'impegno. Ora è venuto il tempo che le chiese forniscano, sulla base delle esperienze fatte, il quadro generale che permetta la realizzazione su più ampia scala della formazione e dell'attività delle missioni di pace (Peace Teams), dei ministeri di pace (Peace Ministries) e dei servizi civili di pace (Civil Peace Services). Consideriamo una prospettiva realistica la costituzione nei prossimi anni in tutti i paesi europei di centri, posti sotto la responsabilità delle chiese, che servano, oltre che alla formazione pratica, anche ad esercitarsi spiritualmente nello spirito della nonviolenza.

 

Una nuova prassi di responsabilità ecologica,
ora e in vista delle future generazioni

Attesa del compimento da parte della creazione

 

(B40) L’Assemblea ecumenica di Basilea ha giustamente ricordato alle chiese europee che la promessa della pace da parte di Dio non vale solo per gli esseri umani, ma per l’intera creazione (cf. n. 26). La debordante pienezza di vita creatrice del Dio uno e trino e la forza onnitrasformante della misericordia divina producono continuamente il mondo meraviglioso e misterioso della realtà creata e lo compenetrano per esprimersi in esso in modo sempre più chiaro e splendente. Basilea ha detto: «Noi attendiamo insieme con l'intera creazione che questa gloria futura sia rivelata e sappiamo che solo allora la nostra attuale condizione di peccatori sarà finalmente superata. Nello stesso tempo affermiamo che il futuro si manifesta già qui e ora nella nostra vita terrena. Il destino più alto dell'umanità quindi è quello di cercare qui e ora la pace e la giustizia di Dio, nella consapevolezza della nostra solidarietà con l’intera creazione di Dio» (n. 27).

 

Originario religioso rispetto nei riguardi della creazione

 

(B41) Tutte le religioni conoscono in qualche modo questa dimensione interiore, per così dire spirituale o sacramentale, del mondo in cui viviamo. Già molto presto, con grande rispetto esse hanno colto nella straordinaria bellezza del cosmo o nella forza vitale praticamente indistruttibile della terra la grandezza e la vivacità del divino. Anche nelle tradizioni sapienziali dell’Antico Testamento, in Paolo nel Nuovo Testamento e in una quantità di testimonianze della teologia patristica troviamo quest’atteggiamento di profondo rispetto, meraviglia e gioia di fronte alla creazione di Dio. Sono state le generazioni posteriori a dimenticare quasi del tutto o a cancellare questa traccia e a trasformare la fede ebraica e cristiana nei confronti della creazione in una giustificazione religiosa di una dominazione umana della natura che non conosce limiti. Quest’errata interpretazione della nostra stessa tradizione non solo è servita a disprezzare la saggezza di altre religioni e culture e a distruggere spesso anche la loro tradizione, ma ha anche contribuito a legittimare quell’enorme distruzione della natura di cui siamo tutti e tutte testimoni.

 

La fede nella scienza dell’età moderna

 

(B42) La moderna scienza della natura vive essenzialmente di quel «disincanto della natura» che è stato avviato soprattutto nella tradizione ebraico-cristiana ed è diventato poi progressivamente uno degli strumenti più potenti della dominazione umana della natura. Nessuno può seriamente negare l’azione benefica delle sue conoscenze e della sua utilizzazione tecnologica in molti settori della vita umana. E tuttavia al più tardi a partire dalla scoperta dell’energia atomica si è fatta strada nella coscienza generale una sensazione di conflittualità in ciò che fino ad allora era stato orgogliosamente esaltato come il progresso scientifico e tecnologico. Esso ha prodotto grandi distruzioni ecologiche sia nell'ambito dei paesi caratterizzati dall'economia pianificata sia in quelli caratterizzati dall'economia di mercato. Gli attuali problemi economici sospingono le necessità ecologiche sullo sfondo.

 

Bellezza della creazione

 

(B43) Nonostante qualsiasi critica mossa alla scienza non dobbiamo dimenticare ciò che le dobbiamo. Non intendiamo riferirci solo ai vantaggi pratici che la tecnologia ha introdotto nella nostra vita o ai successi della medicina. La ricerca moderna ci apre gli occhi in un modo del tutto nuovo sul prodigio della creazione e, non da ultimo, sulla sua dimensione estetica. I viaggi nello spazio ci hanno permesso per la prima volta nel corso dell’intera storia dell’umanità di vedere il nostro pianeta dal di fuori e l’astronomia ci presenta giorno dopo giorno immagini di una sbalorditiva bellezza. Quanto più scendiamo nelle profondità microscopiche o avanziamo nella vastità astronomica, tanto più chiaramente comprendiamo quanto spesso la creazione superi la nostra capacità di comprensione e di immaginazione. Noi in quanto esseri credenti non possiamo fare a meno di vedere in tutto questo un’immagine della grandezza e gloria di Dio che tutto oltrepassa e tutto illumina. Non esiste quindi dal nostro punto di vista alcuna opposizione di fondo fra scienza e fede. Giustamente intesa, la scienza può aiutarci a percepire la dimensione estetica e spirituale della natura in un modo che corrisponde sia a noi persone moderne sia all’antica saggezza. Si tratta quindi di correggere la nostra comprensione unilaterale della creazione e di imparare a vedere in essa, nel senso vero e proprio del termine, più del semplice oggetto della nostra sete di sapere o di un vantaggioso sfruttamento.

 

La nostra responsabilità messa a dura prova

 

(B44) Uno sguardo alla storia della cultura mostra che gli esseri umani hanno cercato fin dall’inizio di proteggersi anche dalle minacce provenienti dalla natura e di utilizzare a proprio vantaggio le forze naturali. Anche nel caso in cui provengano da uno spirito di rispettoso legame con la natura, le acquisizioni culturali essenziali, come la scoperta dell’agricoltura, rappresentano spesso degli interventi sulla natura che hanno a volte conseguenze negative, ma che hanno raramente raggiunto l’odierna drammaticità. Che la scienza e la tecnologia moderna abbiano potuto mutare decisamente questa situazione è chiaramente dipeso dal fatto che con il loro aiuto si è sempre più drasticamente allargata la portata dell’azione umana. Le conseguenze della nostra azione oltrepassano sempre più spesso l’orizzonte spaziale e temporale che noi, in qualità di «agenti», possiamo dominare con lo sguardo. In ciò sta non da ultimo la particolare pericolosità dell’energia atomica, indipendentemente dal suo uso per scopi militari o pacifici. Ma questo esempio indica solo una dato generale che solleva problemi morali del tutto nuovi. La responsabilità della generazione presente nei confronti delle generazioni future si esprime nel criterio della correggibilità: dobbiamo tralasciare ciò che limita o minaccia gravemente le possibilità di vita delle future generazioni. La scoperta di una necessaria solidarietà con coloro che verranno dopo di noi corrisponde perfettamente a ciò che attesta la fede cristiana, secondo la quale la comunanza di destino della creazione di Dio abbraccia non solo coloro che vivono attualmente sulla terra, ma tutti coloro che sono vissuti prima di noi o vivranno dopo di noi. Essa abbraccia anche tutte le creature che vivono ed esistono insieme a noi.

 

 

Conservazione della creazione

 

(B45) La storia insegna che le chiese cristiane devono iniziare il necessario cambiamento di mentalità da se stesse. A tale scopo hanno ancor più bisogno del dialogo ecumenico, per poter riscoprire e rivitalizzare nelle diverse tradizioni cristiane quegli elementi che ci aiutano a comprendere e realizzare meglio la nostra responsabilità nei confronti della creazione di Dio. L’approfondimento della responsabilità umana nei confronti del Creatore sembra essere la giusta strada per superare un gretto antropocentrismo. Altri approcci, specialmente delle religioni non cristiane, sottolineano maggiormente la sacralità di ogni forma di vita o il legame della persona umana con la natura. Anche la ricerca ecologica accentua soprattutto il reciproco legame esistente in seno e fra i diversi eco-sistemi. A nostro avviso si tratta di prendere coscienza del fatto che la responsabilità ecologica degli esseri umani non è sufficientemente fondata se si limita a prendere in considerazione le sole possibili conseguenze negative dell’azione umana sull’essere umano. Lo stesso termine «ambiente» va quindi usato con cautela. Il concetto della «salvaguardia del creato», che fa parte della triade del processo ecumenico, vuole attirare l’attenzione sul fatto che la creazione in quanto tale ha una dignità indipendente dall’essere umano, radicata unicamente nella volontà del Creatore, una dignità che deve essere responsabilmente riconosciuta e rispettata da ogni riflessione e azione umana. L'Agenda 21 adottata in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo (1992) costituisce un quadro di azione concordato a livello internazionale, che ora attende di essere realizzato a livello locale, regionale e nazionale. A tale scopo si devono concepire modelli e quadri di azione che assicurino nel XXI secolo uno sviluppo sostenibile a livello di comunità locali e regionali tale da rendere ragione della responsabilità che abbiamo nei riguardi delle future generazioni. Il processo conciliare delle chiese, cominciato all'inizio degli anni '80, ha trovato nel processo dell'Agenda 21 il suo interlocutore politico. Le iniziative, i gruppi e gli organismi cristiani possono diventare, in un comune processo ecumenico, dei nuclei di cristallizzazione a livello locale, nazionale ed europeo e liberare effetti sinergici da parte delle nostre società.

 

L’esempio della varietà delle specie

 

(B46) Nella serie pressoché sterminata dei temi ecologici può essere utile isolarne due, al fine di illustrare ciò che per noi è importante. Citiamo anzitutto il problema della varietà delle specie. L’Assemblea mondiale dei cristiani riuniti a Seoul sotto il tema «Giustizia, pace e salvaguardia del creato» ha ripetuto ciò che aveva già chiesto l’Assemblea di Basilea, cioè di sostenere gli sforzi finalizzati alla protezione della varietà delle specie. Nel 1992 la Conferenza mondiale di Rio dei Janeiro ha promulgato una Convenzione per la protezione della varietà delle specie. Ma la situazione continua a peggiorare: ogni giorno scompaiono da 50 a 100 specie, soprattutto nelle foreste tropicali. Così l'ordine della creazione risulta profondamente intaccato. Ma anche l'Europa è colpita: l'economia agricola e forestale intensiva, il trattamento disinvolto e prodigo del terreno, la distruzione delle zone umide contribuiscono alla diminuzione della varietà delle specie. A prescindere dalle conseguenze ecologiche ed economiche della scomparsa delle specie, riteniamo sia importante sottolineare il rispetto che si deve avere per la varietà delle specie e la gioia che le persone possono averne. Nel documento finale di Basilea si afferma concisamente: «Per noi cristiani, la varietà delle specie in sé mostra la generosità di Dio creatore» (n. 87). Questo persuaderà difficilmente quanti non condividono la nostra fede, ma forse possiamo ugualmente pregarli di considerare se la ricchezza della natura non rappresenti già di per sé un valore che dobbiamo proteggere non appena lo abbiamo riconosciuto e sperimentato.

 

L’esempio della protezione del clima

 

(B47) Fin dai tempi più lontani gli esseri umani hanno sperimentato sulla terra la loro dipendenza dal clima come una situazione caratterizzata da una fondamentale ambiguità: il sole produce il verde degli alberi, ma dissecca anche l’erba; l’acqua inumidisce la terra, ma può anche eroderla e trascinarla via. La venerazione della forze naturali è andata quindi di pari passo con la paura di fronte alle forze scatenate della natura. La scienza e la tecnica hanno contribuito a vincere questa paura, vincolando le forze della natura e mettendole al servizio degli interessi umani. La sensazione dell’infinità dello spazio ha indotto gli esseri umani a non curarsi delle conseguenze a lungo termine della loro azione sul terreno, sull’aria o sull’acqua. Ma pian piano ci rendiamo conto che molte catastrofi naturali non sono propriamente delle catastrofi naturali, bensì dei fenomeni catastrofici conseguenti agli interventi umani, fra cui soprattutto l’agricoltura, l’industria, il traffico e il turismo. Oggi è assodato che noi modifichiamo realmente le condizioni climatiche del nostro pianeta, forse senza essere neppure in grado di percepire, e quindi tanto meno correggere, le conseguenze distruttive del nostro intervento. La nostra azione mirante al dominio della natura si scontra qui decisamente con un limite di principio. Questa visione ci mostra chiaramente che dobbiamo assolutamente ristabilire il rispetto delle condizioni fondamentali della nostra vita, che sono al di fuori del nostro potere e che noi cristiane e cristiani consideriamo poste da Dio.

 

Coscienza ecologica e cattiva condotta ecologica

 

(B48) La coscienza ecologica nella società e nelle chiese ha fatto negli ultimi decenni indubbi progressi, per i quali si deve essere riconoscenti. In un certo senso è ozioso fermarsi a considerare se le chiese abbiano o meno giocato al riguardo un ruolo d’avanguardia. Molto più decisivo è il fatto che in pochi settori della vita sociale esiste una maggiore contraddizione fra la coscienza e la condotta effettiva. In questo le chiese non fanno eccezione. Una lunga lista di dichiarazioni, proclami e convenzioni mostra che le concezioni e le intenzioni sono buone, ma finora non hanno prodotto alcun fondamentale cambiamento di rotta. Al contrario, si moltiplicano nel frattempo i segnali che inducono a pensare che la pressione economica è tornata ovunque a risospingere sullo sfondo l’aspetto della responsabilità ecologica. Per motivi etici, ma anche economici, noi vediamo in questo un atteggiamento miope, poiché al più tardi le prossime generazioni dovranno scontare e pagare i nostri errori. Gli interventi di semplice cosmesi non servono a nulla. Per quanto facciamo fatica a comprenderlo, dobbiamo cambiare tutto il nostro sistema di valori. Il nostro attuale stile di vita e i nostri valori sociali di base mirano al soddisfacimento dei nostri bisogni e interessi immediati. Uno stile di vita rispettoso della creazione e un ordinamento della società giusto nei suoi riguardi richiedono quindi un riordino del nostro sistema di valori: nell'esercizio della sua responsabilità la persona deve tener conto del valore proprio del mondo che la circonda, mondo basato sulla volontà del Creatore.

 

Giusta perequazione con le altre regioni del mondo

Responsabilità dell'Europa

(B49) Quando nel 1989 si richiese all'Assemblea di Basilea una riorganizzazione economica e sociale nelle relazioni Nord-Sud a livello mondiale e si scelse come parametro orientativo la giustizia, non si potevano prevedere i profondi cambiamenti intervenuti in seguito nelle relazioni Est-Ovest. Il bipolarismo Est-Ovest aveva avuto delle ripercussioni anche sul problema Nord-Sud. Superato questo bipolarismo molti problemi si pongono diversamente. Ma anche gli squilibri e i diversi ritmi del processo di sviluppo hanno continuato a sussistere o addirittura si sono acuiti. L'Europa ha una sua responsabilità riguardo alla soluzione del problema delle ingiuste disuguaglianze e dell'insufficiente distribuzione nel mondo di oggi. Non se ne può stare chiusa nel suo isolamento, in disparte, o chiamarsi fuori. L'eurocentrismo e l'euronazionalismo sono strade pericolosamente sbagliate. Infatti l'Europa è comunque implicata con i suoi interessi nello sviluppo mondiale. Lo scambio economico e culturale, la diffusione delle moderne tecnologie (tecnologia genetica, tecnologia della comunicazione), i mercati finanziari e commerciali internazionali operano al di sopra e al di là del proprio orizzonte percettivo e richiedono una previdenza e provvidenza responsabile in direzione della giustizia sociale e della conservazione delle condizioni naturali fondamentali della vita.

 

Strutture di potere della società mondiale
e problema del debito

 

(B50) Il primo passo verso la riconciliazione è quello di riconoscere questi influssi del nostro stile di vita e del nostro sistema economico sul resto del mondo. In quanto chiese europee siamo obbligate ad assumere come sfida la nostra parte di responsabilità storica e attuale e a promuovere idee e comportamenti che traducano in pratica gli orientamenti etici del Vangelo. Se si guarda dall'alto il nostro «villaggio globale», si riconosce un modello fondamentale, cioè la sovrapposizione di due processi contrari: assistiamo, da un lato, a un processo di crescente unificazione, per il quale si è coniata l’espressione «cultura della coca-cola», e, dall’altro, a un processo di crescente differenziazione, che a volte viene coscientemente perseguito come resistenza al processo di omogeneizzazione. Qui si trovano, accanto agli sforzi di regionalizzazione, anche i diversi fondamentalismi. Ma sarebbe errato e fatale non rendersi conto in questo sguardo dall’alto degli squilibri che contrassegnano l’intreccio di questo sviluppo tendenziale. Considerato soprattutto dal punto di vista delle vittime appare uno spiccato profilo a livello di potere, il quale mostra come le forze che promuovono la globalizzazione e l’omogeneizzazione siano, paragonate alle forze contrarie, quelle di gran lunga più potenti. Di questo profilo del potere continua a far parte soprattutto l'insoluta questione del debito, che mantiene in condizione di dipendenza molti paesi dell'Africa, dell'Asia, dell'America centrale e meridionale, e ora anche dell'Europa orientale, e limita in modo inaccettabile la loro libertà di scelta delle soluzioni ritenute più adatte per far fronte ai loro problemi economici e sociali. Solo la considerazione che una tale dipendenza impedisce la creatività in ordine all'autoresponsabilità può aprire la strada, anche sullo sfondo della storia coloniale europea, verso un dialogo Nord-Sud che miri alla riconciliazione. Un presupposto essenziale al riguardo è quello di un generale condono del debito, collegato con la promozione di uno sviluppo sostenibile nei paesi interessati. L'intervento delle chiese a favore di un tale passo può richiamarsi anche a fonti bibliche. L'anno del condono o anno giubilare, nel quale ogni persona deve ritornare in mezzo ai propri cari e in possesso delle proprie cose, è espressione della disponibilità alla riconciliazione nel processo della storia. La costante promozione e ingiunzione di questa disponibilità, anche a partire dalle istanze politiche che formano le condizioni strutturali dell’economia, deve essere tenuta sempre desta dalle chiese, in modo che il dono della riconciliazione diventi sorgente di vita nuova anche per coloro che, in condizioni di vita indegne di esseri umani, disperano nella lotta per la loro vita e la loro sopravvivenza.

 

Importanza della società civile internazionale

 

(B51) Nel tempo intercorso dall'Assemblea di Basilea del 1989 ai nostri giorni ha avuto luogo tutta una serie di importanti conferenze delle Nazioni Unite consacrate ai problemi mondiali fondamentali. Si è cominciato con la Conferenza su ambiente e sviluppo (Rio de Janeiro, 1992) e si è proseguito, fra l'altro, con la Conferenza sui diritti umani (Vienna, 1993), la Conferenza sullo sviluppo sociale (Copenhagen, 1995), la Conferenza sulla donna (Pechino, 1995), la Conferenza su popolazione e sviluppo (Il Cairo, 1994) e la Conferenza sugli insediamenti umani (Istanbul, 1996). Sia la Santa Sede e il Consiglio ecumenico delle chiese, sia gli organismi ecumenici regionali hanno partecipato attivamente a queste conferenze e hanno dato il loro contributo in vista delle loro conclusioni. Alla preparazione, allo svolgimento di queste conferenze e alla traduzione in pratica delle loro conclusioni hanno partecipato, e partecipano, migliaia di organismi non governativi. Grazie ad essi si sta sviluppando una società civile internazionale, che tiene desta l'attenzione sui nostri problemi mondiali e ne sollecita la soluzione. Questo cosiddetto «terzo settore» accanto allo stato e all'economia è un nuovo elemento della creatività e della partecipazione sociale. Dal Brasile fino al Sudafrica passando per la Corea del Sud, questo movimento della società civile sta crescendo in molti paesi del Sud del pianeta. Esso si basa sui processi di democratizzazione e di auto-organizzazione. Molte chiese sono coinvolte in questo movimento. Ma soprattutto i G7 hanno sviluppato proprie strutture decisionali sul piano governativo ufficiale, che finiscono per entrare in concorrenza, se non si incrociano con essi, con questi forti sforzi partecipativi di soluzione globale dei problemi. Il problema della relazione fra l'azione governativa, da un lato, e i contributi della società civile per la soluzione dei problemi, dall'altro, è un problema generale che richiede di essere preso in considerazione e studiato a fondo.

 

Nuovo orientamento dell'attività delle chiese
nel campo dello sviluppo

 

(B52) Negli ultimi anni, nel campo della cooperazione allo sviluppo, le chiese hanno imparato dai loro errori e, adottando atteggiamenti di vero partenariato e ricorrendo a nuove forme di promozione di progetti e programmi di sviluppo, hanno cercato di tradurre in pratica il principio da tempo noto del fornire aiuto per consentire a coloro che lo ricevono di poter fare da soli. Queste misure di politica dello sviluppo nei paesi del Sud del pianeta sono state sempre più accompagnate da iniziative tese alla formazione della coscienza e a prendere le difese del Sud. In questo campo le chiese hanno sviluppato concezioni e modelli che oggi vengono considerati da diversi punti di vista esemplari. L'attività di sviluppo delle chiese, con le loro proprie agenzie e opere di soccorso, che ha alle spalle le esperienze di quattro decenni di sviluppo, ha promosso questi processi di auto-organizzazione (aiuto finalizzato al poter contare sulle proprie forze) attraverso una molteplicità di progetti. I progetti di sviluppo delle chiese hanno spesso anche una funzione di modelli, ampiamente riconosciuta, per l'azione dello stato. Ciò vale anche nel settore degli istituti di credito alternativi (per esempio, l'EDCS) che avviano con i loro finanziamenti dei processi di auto-organizzazione. Ma sulla scia della contemporanea crescente globalizzazione e regionalizzazione l'attività delle chiese nel campo dello sviluppo deve ripensare le proprie strutture in vista di una maggiore partecipazione dei propri partner e collegare più strettamente anche a livello internazionale come soggetti della trasformazione i movimenti della società civile. Alla forza della globalizzazione deve corrispondere la forza della comunità ecumenica mondiale. Le chiese del Sud cercano di svincolarsi dalla dipendenza dalle chiese ricche del Nord. Di fronte a risorse finanziarie sempre più ridotte si deve riflettere a fondo sulle forme e gli scopi della cooperazione ecumenica a livello mondiale. Si devono affrontare con coraggio e determinazione quelle riforme di cui si sente la necessità già da molto tempo. Di fronte all'interdipendenza dell'unico mondo abbiamo bisogno più che mai della comunione ecumenica come cassa di risonanza di ciò che avviene nel mondo e come una tribuna di fraterna condivisione di esperienze e informazioni.

 

Sviluppo sostenibile e politica della condivisione

 

(B53) Le chiese devono impegnarsi anche in Europa per uno stile di vita sostenibile, che tenga conto anche delle necessità degli altri, soprattutto dei più poveri nei paesi del Sud del mondo. Esso si fonda sul riconoscimento del valore di ogni vita e sulla denuncia di quelle strutture e comportamenti che ledono il diritto delle persone a una vita degna di esseri umani. Questo dovere può essere assolto solo attraverso una partecipazione attiva a un processo di condivisione su scala mondiale. Questo processo della condivisione non riguarda solo il superfluo o cose vecchie, inservibili. Non è un comodo e poco impegnativo processo di «riciclaggio», ma una sfida urgente e costosa. Non è un processo passivo, ma un’attiva moltiplicazione di doni. La giusta condivisione costruisce ponti che permettono l'incontro e solide relazioni. Il processo della condivisione può produrre una forte sinergia in direzione di un maggior benessere per tutti. Esso può liberare ogni sorta di creatività per le innovazioni e promuovere la ricerca di alternative nel campo del consumo, del credito, della produzione, dell'occupazione e del commercio. La solidarietà e la reciproca comprensione, la giustizia e la partecipazione sono parole chiave che indicano l'orientamento da prendere per assicurare questi sviluppi. Le chiese europee devono promuoverli per costruire ponti di riconciliazione fra le nazioni e le persone dell'«unico mondo» nella sua permanente diversità.

 

 Accolto a grande maggioranza, con pochi voti contrari e alcune astensioni.

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