Anche un ebreo può uccidere; ma Israele lo condanna

Pubblichiamo l'editoriale de Il Foglio del 6 agosto sulla strage di Shfaram, emblematico del fatto che un ebreo può uccidere come un islamico; ma Israele sa condannarlo. Lo stesso non avviene né nella società palestinese né in quelle islamiche in generale. Di seguito, per un'informazione più completa e per inserire la riflessione nel contesto che l'ha suscitata, pubblichiamo anche - sull'accaduto - un articolo di Fiamma Nirenstein, apparso su La Stampa del 5 agosto.

Chi si rifiuta di comprendere la natura religiosa del terrorismo palestinese e islamico, guardi alla strage di Shfaram. Guardi al cittadino israeliano che uccide innocenti non perché è un nazionalista né perché è povero, ma perché è altro: un fondamentalista. È convinto che gli ebrei abbiano ricevuto da Dio, dal patto abramitico che lega la storia terrena degli ebrei a Dio, il diritto alla terra di Israele, alla Grande Israele che comprende Gaza e la Cisgiordania. Solo per questo ha ucciso arabi (israeliani) innocenti. Solo per questo rifiuta ogni mediazione politica, ogni considerazione strategica. La sua mano è armata esattamente dalla stessa logica che arma i kamikaze palestinesi. “La Palestina è un lascito eterno di Allah al popolo dell’Islam, sino al giudizio universale”, in questa frase dello Statuto di Hamas è riassunto il vero senso del “rifiuto arabo di Israele”. 

Per questa natura divina del diritto alla terra, la leadership palestinese filonazista del Gran Muftì e quella laico-islamica di Yasser Arafat hanno sempre rifiutato la mediazione e la trattativa, pur fingendo di accettarle. Per questo Yasser Arafat ha lanciato l’Intifada. Per questo ancora oggi 19 Stati musulmani su 23 non riconoscono il diritto di Israele ad esistere. 

Per questo lo slogan “pace in cambio di terra” non ha mai funzionato. Perché la terra dell’islam, il dar al Islam, e la Palestina soprattutto, per gli arabi è nella esclusiva disponibilità di Allah. C’è, però, anche un fondamentalismo israeliano, speculare a quello palestinese. La differenza tra l’uno e l’altro non è soltanto nei numeri. L’abisso che separa i due fondamentalismi è la forza della democrazia nella società israeliana a cui corrisponde l’egemonia del fondamentalismo in quella araba e palestinese.

Menahem Begin e lo stesso Ariel Sharon hanno spesso agito nel nome di un fondamentalismo ebraico (come in Libano nel 1982), ma la forza di Israele è di essere nato non in nome di Dio, ma in nome del suo popolo, come ricordano le limpide e laiche tesi di Theodor Herzl riprese da David Ben Gurion nel 1948. La forza di Israele è la sua democrazia, così pervasiva da riuscire a modificare idee e azioni anche dei suoi leader fondamentalisti, a spingerli alla trattativa, alla politica, addirittura alla ritirata. Come oggi Ariel Sharon da Gaza. 

La debolezza della società palestinese e di quelle arabe è ben più grave della mancanza di democrazia: è quella di avere un orizzonte di vita in cui il fondamentalismo è egemone e, inoltre, una religiosità che pervade il senso del possesso della terra, come della donna.

"I fanatici ora cercano di aprire un altro fronte"                torna su

Molti media israeliani titolano la tragedia di ieri col nome «Goldstein due», ricordando quando nel ‘94, mentre in base all’accordo di Oslo l’esercito stava uscendo dalle città palestinesi, un medico di Hevron aprì il fuoco sui musulmani che pregavano nella moschea dei patriarchi uccidendone 29 e finì a sua volta ucciso. C’era il sospetto, da quando l’aria di Israele è ammorbata da uno scontro ideologico senza precedenti intorno allo sgombero di Gaza, che i gruppi più estremisti avrebbero cercare di compiere un gesto terribile per rimescolare le carte, gettare nella confusione il Paese già spezzato fra due ideologie diverse, spalancare orizzonti roventi di scontro con gli arabi e aprire un nuovo fronte per le forze dell’ordine impegnate nello sgombero.

Ma Eran Tzubari, l’assassino diciannovenne che, per aggiungere orrore a orrore, è stato linciato dalla folla, disertore dell’esercito, appartenente al gruppo fondato da Meir Cahana, (il rabbino che fu ucciso a New York dopo che il suo partito fu messo fuori legge dallo Stato d’Israele con l’accusa di razzismo), ha attaccato su un fronte inaspettato e fra i più incendiari: quello degli arabi israeliani dei villaggi del nord. Centinaia di migliaia di persone adesso in stato di enorme tensione, pronte a manifestare, a protestare, a rovesciare la tavola. La polizia finora sorvegliava i pazzi criminali che pianificano di far saltare per aria le moschee di Gerusalemme, e che, si sa, non hanno mai rinunciato al progetto; cercava attivamente quelli che minacciano di assassinare il primo ministro; aveva messo sotto custodia i facinorosi di Hevron sospettati di atti aggressivi contro gi arabi; teneva d’occhio la possibilità molto realistica, che gruppi della destra estrema creassero episodi violenti con i palestinesi. Adesso che l’estremismo colpisce proprio mentre Israele si affaccia sugli ultimi dieci giorni prima della grande prova dello sgombero, anche se i capi del movimenti dei coloni si indignano quando glielo si dice, l’attacco terrorista di ieri sembra avere come obiettivo proprio il disimpegno: un tentativo di creare grandi movimenti di ira fra gli arabi del Nord per spostare lo scontro dalla Striscia di Gaza.

L’assassino, che ha un passato di gesti estremisti e violenti e che era noto alla polizia, aveva disertato, pare, proprio nelle ore in cui gli era stato ordinato il trasferimento a Re’im, il nuovo immenso accampamento militare sull’orlo di Gaza creato per ospitare i soldati che opereranno lo sgombero. E a un qualunque osservatore appare chiaro che nell’attentato di Shfaram, anche se come dicono furiosi e quasi piangenti i capi del movimento dei settler, le marce sono avvenute in maniera non violenta, pure pesa alquanto la vorticante propaganda che nega il valore della legge dello Stato, che tratta da criminale il primo ministro e l’intero legittimo governo di Israele. Il ragionamento politico sembra aver lasciato il posto all’invettiva religiosa e millenaristica, all’azione senza tregua, senza sonno e senza cibo sotto un sole cocente, nell’illusione che un miracolo cambierà le carte in tavola.

Sommando le possibili conseguenze del gesto di Tzubeiri, innanzitutto si può temere la possibilità dell’apertura di un fronte settentrionale con la popolazione araba israeliana, con gravissime conseguenze che rischiano di indebolire il fronte di Gaza, che tuttavia non verrà certo smantellato dal primo ministro Sharon. Lo sgombero, salvo episodi enormi, andrà avanti. Ma, in secondo luogo e altrettanto importante, può essere che il grande crimine di Shfaram risuoni come una sirena di allarme nelle orecchie dei settler e dei loro capi, che per ora non vogliono sentire; ieri sera alcuni autobus carichi di dimostranti sono usciti per tornare a casa da Ofakim, base delle manifestazioni (anche se ieri sera altri ne arrivavano in altri centri); può darsi che i loro rabbini capiscano che disobbedire agli ordini, come viene consigliato, equivale a disertare.

Un crimine che apre la strada a tanti altri crimini; può darsi che ancora una volta si dimostri che il disprezzo verso le leggi e le istituzioni, con tutto il rispetto per il dolore autentico e terribile delle famiglie strappate dalle loro case, deve essere superato dalla fedeltà alla democrazia.

Infine, quello che probabilmente accadrà da domani, ed è sperabile che questo accada per vedere la storia procedere lungo il suo cammino senza l’intoppo dei lunatici e dei criminali, è una stretta della polizia sulle tracce degli estremisti dentro e fuori della Striscia. Ieri sera in molti insediamenti a Gaza si respirava, dopo le notizie della sera, un’aria di riflessione che, si può scommettere, porterà a più miti consigli gli estremisti.

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