Riunione del Comitato Internazionale 
per i Rapporti tra Cattolici ed Ebrei

New York, 1-4 maggio 2001
Sessione "Scambio d'informazioni" sulla



Pubblichiamo il seguente documento che, insieme agli altri due rispettivamente del Card. Cassidy e di Gianfranco Bottoni, già fin dal 2000 ci introducono in una riflessione e consapevolezza più profonde, attraverso una 'interpretazione autentica' della Dichiarazione Dominus Iesus, che dovrebbe aiutare a fugare i malintesi (1)

Card. Walter Kasper

1. La dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata nel settembre 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scatenato reazioni diverse da parte di persone e comunità diverse, compresi gli Ebrei.

Evidentemente c'è stato qualche malinteso. Il linguaggio tecnico di questo documento per l'istruzione dei teologi cattolici - documento la cui redazione è forse troppo densa - ha dato luogo a malintesi sullo stesso significato ed intento del testo, tra quanti non hanno familiarità con il "gergo" teologico cattolico e non possiedono regole della sua corretta interpretazione. Un buon numero di queste reazioni appaiono basate su una informazione che i mass-media secolari, evidentemente non informati, hanno gettato in pasto all'opinione pubblica.

D'altronde, si può maggiormente comprendere la difficoltà reale che hanno potuto avvertire gli Ebrei di fronte alle questioni teologiche nei confronti di un documento che si esprime su temi - quali la scelta di Gesù come figlio di Dio - sui quali il cammino degli Ebrei e quello dei cristiani si sono separati da molti secoli. Queste differenze esigono un rispetto reciproco. Ma, nello stesso tempo, esse risvegliano dolorosi ricordi del passato. Anche questo documento è stato doloroso per gli Ebrei. Non era nei suoi intenti né ferire né offendere. Ma così è stato, e per questo non posso che esprimere il mio profondo rincrescimento. la sofferenza dei miei amici è anche la mia.

2. Ma qual era e qual è il vero problema? Il problema sollevato da questo testo è legato all'intento del documento. La Dichiarazione tratta principalmente del dialogo interreligioso. Ma essa stessa non entra in dialogo con gli Indù né coi Musulmani, né con gli Ebrei. Se la prende con alcune teorie relativiste e per un certo verso sincretiste che si sono diffuse tra i teologi cristiani. Queste teorie, sparse tanto in India, che in quello che viene chiamato mondo postmoderno Occidentale, preconizzano una visione pluralista della religione e classificano le religioni ebraica e cristiana nella categoria delle "Religioni mondiali". La Dichiarazione se la prende con le teorie che negano l'identità specifica delle religioni ebraica e cristiana, senza tener conto della distinzione tra fede in quanto risposta alla rivelazione di Dio, ed il credere in quanto ricerca umana di Dio e saggezza religiosa umana. In tal modo essa difende il carattere specifico di rivelazione che è quello della Bibbia ebraica - che noi Cristiani chiamiamo Antico Testamento - nei confronti delle teorie che pretendono, ad esempio, che i libri santi dell'Induismo sono l'Antico Testamento degli Indù.

Ma ciò ha provocato malintesi. Alcuni lettori ebrei sono persuasi che l'atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei e l'Ebraismo è una sottocategoria del suo atteggiamento verso le religioni mondiali in generale. Ma tale supposizione è erronea e non lo è di meno la supposizione secondo cui (cito qui il commento di un saggio ebreo) il documento rappresenta " un passo indietro in un concertato tentativo di regresso (in questo caso) rispetto al dialogo tra Cattolici ed Ebrei degli ultimi decenni.

Questo malinteso può essere evitato se la Dichiarazione è letta e interpretata - come qualunque documento magisteriale deve esserlo - nel contesto più ampio di tutti gli altri documenti e dichiarazioni ufficiali, che non sono in alcun caso annullati, revocati, né rescissi attraverso questo documento. 

Letto in questo contesto più ampio, dobbiamo dire, in rapporto alla suddetta supposizione, che le relazioni tra Cattolici ed Ebrei non sono un sotto-insieme delle relazioni interreligione in generale né in teoria né in pratica. Quanto alla pratica: ricordatevi che la nostra Commissione per i Rapporti Religiosi con gli Ebrei non è unita al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ma al Pontificio Consiglio responsabile del dialogo ecumenico. Quanto alla teoria: ricordatevi che, nello spirito della Chiesa, l'Ebraismo  è unico tra le religioni del mondo, perché, come afferma Nostra Aetate [§ 4], esso è "la radice dell'olivo buono sulla quale sono stati innestati i rami dell'olivo selvatico dei gentili" (cf. San Paolo, nella sua Lettera ai Romani, 11, 17-24). O ancora, come ha affermato in più di una occasione il Papa Giovanni Paolo II, "le nostre due comunità religiose sono unite e strettamente legate al livello stesso delle loro identità religiose" (vedi le sue allocuzioni del 12 marzo 1973 e del 6 marzo 1982). Del pari, fin dalla sua storica visita alla Sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986: "La religione ebraica non ci è 'estrinseca', ma in un certo qual modo, è 'intrinseca' alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori".

Il 6 marzo 1982, il Papa ha fatto riferimento a " la fede e la vita religiosa del Popolo ebraico, quali sono ancora professate e praticate oggi". Infatti, i Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica, pubblicati dalla nostra Commissione il 24 giugno 1985 hanno a cuore che l'Ebraismo non sia presentato, nell'insegnamento cattolico, come una semplice realtà storica e archeologica. Questo documento fa menzione della "realtà permanente del Popolo ebraico" -  "…il popolo ebraico dell'Antica Alleanza, che non è mai stata revocata…". (Giovanni Paolo II 17 novembre 1980, Magonza) - come una "realtà vivente strettamente associata alla Chiesa". Infatti, le Note ricordano a noi, Cattolici, che "Abramo è veramente il padre della nostra fede (cf. Rm 4, 11-12); canone romano: patriarchae nostri Abrahae). Ed è detto (1Cor 10,1): "I nostri padri furono tutti sotto la nuvola tutti attraversarono il mare".

Infatti, la Dominus Iesus riconosce anche specificamente la rivelazione divina contenuta nella Bibbia ebraica, e non è questo il caso per i libri sacri delle altre religioni.

Contrariamente a certe teorie relativiste, che classificano la religione ebraica e cristiana nella categoria delle religioni del mondo, questo documento, dichiara, riferendosi al Concilio Vaticano II : "La tradizione della Chiesa, però, riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell'Antico e del Nuovo Testamento, in quanto ispirati dallo Spirito Santo".

Il Documento Dominus Iesus non presenta dunque in maniera negativa i rapporti tra Cattolici ed Ebrei. In ragione del suo obiettivo, non tratta il problema della teologia dei rapporti tra Cattolici ed Ebrei, inaugurata da Nostra Aetate, né del conseguente insegnamento della Chiesa. Ciò che il documento tenta di "correggere" è di altro ordine, riferendosi  ai tentativi, operati da alcuni teologi cristiani, di definire una sorta di "teologia universale" delle relazioni interreligiose; il che, in alcuni casi, ha condotto all'indifferentismo, al relativismo e al sincretismo. Contro tali teorie, noi, sia in quanto Ebrei che Cristiani, siamo dalla stessa parte, sulla stessa barca; dobbiamo lottare, discutere e testimoniare insieme. È in gioco la stessa maniera in cui comprendiamo noi stessi.

Penso che il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha chiarito queste questioni nel suo articolo "L'eredità di Abramo" (apparso su L'Osservatore Romano del 29 dicembre 2000), in cui scrive: "È evidente che il dialogo di noi cristiani con gli ebrei si colloca su un piano diverso rispetto a quello con le altre religioni. La fede testimoniata nella Bibbia degli ebrei, l'Antico Testamento dei cristiani, per noi non è un'altra religione, ma il fondamento della nostra fede". Questa mi sembra una dichiarazione chiara, alla quale non c'è nulla da aggiungere.

 3. Oltre al ricordato problema principale, causato dalla Dominus Iesus, ci sono altre questioni che non posso trattare in questa esposizione, perché necessiterebbero di una discussione molto più completa. Queste questioni sono già state oggetto del nostro dialogo e dovranno esserlo nei nostri programmi per l'avvenire. In questo contesto, posso soltanto ricordarle, senza pretendere di risolverle. Non era certo intento della Dominus Iesus affrontare queste questioni: esse sono al di là del suo proponimento intra-teologico ed intra-cattolico.

Ecco una di queste questioni: come conciliare l'alleanza con il Popolo ebraico - che, secondo San Paolo, non è né cessata né è stata revocata, ma resta sempre in vigore - con ciò che noi, Cristiani, chiamiamo la Nuova alleanza? Come sapete, la vecchia teoria della sostituzione non è più valida dopo il concilio Vaticano II. Per noi, Cristiani di oggi, l'alleanza con il popolo ebraico è una eredità viva, una realtà viva. Non può esserci una semplice coesistenza tra le due alleanze. Gli Ebrei e i Cristiani, dalle loro rispettive specifiche identità, sono intimamente legati gli uni agli altri. È  impossibile in questa circostanza affrontare il complesso problema del modo in cui questa intima parentela deve o può essere definita. Tale questione tocca il  mistero dell'esistenza ebrea e cristiana, e dovrebbe essere discussa in uno dei prossimi dialoghi.

La sola cosa che desidero dire è che il documento Dominus Iesus non afferma che tutti debbano diventare Cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio - che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo - è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l'Ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse.

Ci conduce al problema della missione nei confronti degli Ebrei, un tema che le conversioni forzate di un tempo hanno reso doloroso. Dominus Iesus, come altri documenti ufficiali, ha rilanciato questa questione dicendo che il dialogo è un aspetto della evangelizzazione. Il che ha destato il sospetto ebraico. In effetti, è un problema di linguaggio, perché il termine evangelizzazione, nei documenti ufficiali della Chiesa, non può essere compreso nel senso che esso ha generalmente nel linguaggio quotidiano. Nella stretta terminologia teologica, evangelizzazione è un termine generale ed una realtà molto complessa. Connota presenza e testimonianza, preghiera e liturgia, proclamazione e catechesi, dialogo e azione sociale. Ma la presenza e la testimonianza, la preghiera e la liturgia, il dialogo e l'azione sociale, che fanno tutti parte dell'evangelizzazione, non hanno lo scopo di aumentare il numero del Cattolici. Anzi l'evangelizzazione, compresa nel suo appropriato significato teologico, non implica alcun tentativo di proselitismo.

D'altra parte, il termine missione, nel suo significato appropriato, rinvia alla conversione dalla fede al falsi dei e agli idoli, alla fede al Dio unico e vero, che si è rivelato nella storia della salvezza attraverso il suo popolo eletto. Così missione, in senso stretto, non può essere utilizzato a proposito degli Ebrei, che credono al Dio unico e vero. Di conseguenza - e ciò è significativo - non esiste alcuna organizzazione cattolica di missione nei confronti degli Ebrei. C'è dialogo con gli Ebrei, ma essi non sono oggetto di alcuna attività missionaria, nel senso proprio del termine. Ma cos'è il dialogo? Certamente - come l'abbiamo appreso dai filosofi ebrei, quali Martin Buber - è più che una conversazione futile o un semplice scambio di opinioni. È anche qualcosa di diverso da una discussione accademica, anche se la discussione accademica può giocare un ruolo importante nel dialogo. Il dialogo implica impegni personali e la testimonianza della propria convinzione e della propria fede. Il dialogo permette a ciascuno di comunicare la sua fede e, nello stesso tempo, richiede un profondo rispetto per la convinzione e la fede dell'interlocutore. Esso rispetta la differenza dell'altro e contribuisce al reciproco arricchimento.

È il genere di dialogo che noi, Cattolici, perseguiremo in avvenire, è il genere di dialogo che noi possiamo perseguire dopo la Dominus Iesus non è la fine del dialogo, ma una sfida per un dialogo ulteriore e ancora più intenso. Noi abbiamo bisogno di questo dialogo per la nostra propria identità e per il mondo. Nel mondo di oggi, noi, Ebrei e Cristiani, abbiamo una missione comune: insieme dovremo dare un orientamento. Dobbiamo essere ambasciatori di pace e portare allo Shalom [= pace].
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© Traduzione dall'originale inglese a cura di Antonio Marcantonio


Nota di LnR. - Senza Cristo non si comprende il senso vero ed autentico della vocazione di Abramo e della Legge di Mosé, che costituiscono l’unica radice dell’elezione di Israele. Cristo è quindi la chiave interpretativa dell'Antico Testamento e anche della Antica Alleanza. Attraverso quella Porta presto o tardi passeranno tutti, anche coloro che considerano quel passaggio come un ignominia. La salvezza è dunque per tutti, anche per i giudei, ma aderirvi è una libera scelta, la quale non può che essere compiuta al tempo giusto che certo non pare questo che viviamo ora! L'unica, chiara e possibile risoluzione della disputa teologica è il fatto che, in virtù del Nuovo Testamento e dell'Azione di Cristo nella storia, oggi c'è un nuovo 'popolo teologale', Corpo Mistico di Cristo e non più un 'popolo etnico'.

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