«Guarire le ferite»
Prefazione di Lea Sestieri

Il nuovo libro di Manuela Sadun Paggi, la scrittrice ebrea fiorentina, autrice anche del libro "Dialogo guarigione del mondo" edito nel 2002 dalla stessa Editrice Missionaria Italiana

Inizio e concludo questa mia prefazione con due citazioni dai racconti chassidici di Martin Buber, perché esse, da sole, mi sembra che esprimano e indichino molto chiaramente lo scopo che si è prefissa l’Autrice, di suggerire e facilitare a ognuno di noi il modo di camminare in comunione con gli altri.

Rabbi Pinhas diceva: “Se un uomo canta e non può alzare la voce, e viene un altro a cantare con lui e alza la voce, allora anche il primo può alzare la voce. Questo è il mistero tra spirito e spirito”.

Il titolo che Manuela Sadun Paggi sceglie per questa rinnovata esplicitazione di suoi sentimenti non solo riporta al suo precedente libro Dialogo guarigione del mondo, ma suggerisce che l’Autrice continua a sentirsi in lotta per superare l’indifferenza che ci circonda e la malvagità che aumenta, a causa non solo di necessità impellenti, ma per il desiderio di vantaggi economici e politici.

I dodici capitoli del libro, con il tredicesimo di Daniele Bellesi, rappresentano non solo l’ansia della scrittrice, ma cercano di trasmettere la stessa ansia con frasi che a volte possono sembrare ovvie, e a volte invece fanno pensare e anche constatare quanto continuiamo a essere indifferenti di fronte alle difficoltà degli altri. E gli altri non sono solo i nostri vicini, ma i profughi del Darfur, del Congo, della Tanzania, del Ruanda, per limitarci all’Africa.

Il libro si apre con la parola pace, quello shalom che tutti vorremmo vivere, ma che purtroppo non sappiamo costruire e troppo spesso capovolgiamo in guerra. Si chiude poi con la stessa parola, dopo aver affrontato gli orrori non solo della Shoah. Afferma l’Autrice: «Solo quando gli ebrei e le genti riusciranno a sedere “sotto la vigna e il fico” (Zac 3,10) in pace e senza timore, saremo finalmente in grado di lasciarci alle spalle gli orrori del passato, e l’era della pace possa così risorgere come l’araba fenice dalle proprie ceneri».

Ne saremo capaci?

La sequenza degli argomenti del libro – che si svolgono dal passato al presente, dalla solitudine all’incontro con l’altro, dal mantenimento della propria identità al riconoscimento dell’identità dell’altro, dall’assopimento dell’odio all’inizio della comprensione, dalla valutazione delle proprie necessità al riconoscimento delle necessità altrui, per arrivare al concetto di pura e libera religiosità e spiritualità in ognuno di noi –, può essere una “provocazione” come afferma l’Autrice, ma forse indica proprio quel cammino che potrebbe non solo attenuare gli opposti, ma aprire la strada, se non verso la pace, almeno verso una vita meno malvagia, meno egoistica, un po’ più tranquilla. Si affaccia così il verso di Gn 17,1 quando Dio dice ad Abramo “cammina davanti a me”, cioè “aprimi il cammino, fa’ conoscere la mia parola”. Cammino che porta non solo al dialogo con Dio (Abramo), ma a quel dialogo indispensabile per scoprire se stessi e gli altri, la nostra individualità e quella dell’altro, come dice Lévinas:

Oggi come sempre il pensiero ebraico è per eccellenza un dialogo con l’Altro da se stesso, rinnovando così noi stessi e gli altri.

Infatti quando l’uomo ha un lume sopra di sé e quando due uomini si incontrano con le anime, i loro lumi si uniscono e ne nasce un lume unico. (MARTIN BUBER)

In questo modo Manuela Sadun Paggi cerca di dare un valido apporto all’analisi che dovrebbe essere presente in ogni essere umano di fronte alla sua vita in comune con gli altri, eliminando d’entrata pregiudizi, limitazioni, razzismi, in modo da poter arrivare a stringersi le mani, camminando insieme e creando una vera comunione di amicizia. Quella comunione che viene sottolineata nelle pagine di Daniele Bellesi con il racconto sofferto della visita ad Auschwitz- Birkenau.

Chiudo con il secondo racconto chassidico:

Rabbi Moshe Leib di Sassow narrava: Come bisogna amare gli uomini, l’ho imparato da un contadino. Questi sedeva in una mescita con altri contadini e beveva. Tacque a lungo come tutti gli altri, ma quando il cuore fu mosso dal vino, si rivolse al suo vicino dicendo: “Dimmi tu, mi ami o non mi ami?”. Quello rispose “Io ti amo molto”. Ma egli disse ancora: “Tu dici: io ti amo e non sai cosa mi affligge. Se tu mi amassi in verità, lo sapresti”. L’altro non seppe rispondere, e anche il contadino che aveva fatto la domanda tacque come prima. Ma io compresi: questo è l’amore per gli uomini, sentire di che cosa hanno bisogno e portare la loro pena. (MARTIN BUBER, Racconti ch’assidici).

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