Sandro Magister, su L'espresso del 22 dicembre 2003


 

La notizia da AsiaNews    

       
A dar la notizia è stata l’agenzia “AsiaNews” diretta da p. Bernardo Cervellera. Il gran mufti di Gerusalemme Akrama Sabri, nella predica in moschea di venerdì 12 dicembre, ha rivendicato la proprietà islamica del Muro del Pianto; ha detto che il suo vero nome è Muro Splendente; ha aggiunto che esso è “parte integrante della moschea benedetta di Al-Aqsa”; e ne ha assegnata la proprietà alla umma, alla comunità musulmana intera: “è un patrimonio islamico a tutti gli effetti di legge”. A sostegno ha citato un voto della Società delle Nazioni “che 70 anni fa ha anch’essa riconosciuto ai musulmani la paternità del Muro”.

Questa rivendicazione del gran mufti di Gerusalemme è la conferma di un dato caratterizzante del conflitto arabo-israeliano: il suo intrecciare ragioni di stato e ragioni religiose, diritto civile e diritto sacro, leggi di Cesare e leggi di Dio.

Lo stesso Israele è uno stato territoriale sovrano in tutto simile a qualunque altro stato della comunità internazionale. Al medesimo tempo, però, rappresenta la realizzazione storica della biblica aspirazione al ritorno nella “terra promessa” e vede affiancarsi e sovrapporsi diritto statuale laico e ordine giuridico religioso dell’ebraismo.

Sul versante arabo-islamico il peso della religione è ancor più marcato. La conclamata laicità dell’organizzazione e della politica palestinese è soverchiata di fatto da un ordinamento religioso che coincide con la legge dettata da Dio, la shariah. Lo stesso terrorismo di Hamas è primariamente di matrice islamista. Più a fondo, il rifiuto dell’esistenza dello stato di Israele da parte della comunità islamica è legato alla suddivisione dualista del mondo tipica del diritto musulmano: da una parte dar al-islam, la terra dell’islam sottoposta esclusivamente alle sue leggi, e dall’altra dar al-harb, la terra della guerra, degli infedeli, che copre la restante parte del mondo. L’anomalia di Israele è di esistere su una terra che la comunità islamica considera sua per diritto divino.

Ma è prevedibile un’evoluzione del diritto islamico che consenta di superare questo blocco? Silvio Ferrari, professore di diritto ecclesiastico alle università di Milano e Lovanio, risponde di sì. Nel suo ultimo libro, “Lo spirito dei diritti religiosi”, edito da il Mulino, ha messo a confronto i sistemi giuridici delle tre maggiori religioni dell’area mediterranea, la cristiana cattolica, l’ebraica e la musulmana, e, per quanto riguarda quest’ultima, sostiene che un’evoluzione è in corso ed è cominciata con il diritto internazionale.

“Tutti i paesi musulmani – scrive Ferrari – hanno sostanzialmente riconosciuto l’autorità del moderno sistema di diritto internazionale, aderendo ad esempio alle Nazioni Unite”, e questo potrebbe indurli a rinvenire “nella shariah soluzioni compatibili con quelle fondate su una concezione secolare del diritto”, estensibili in futuro “anche ai rapporti interni della comunità”.

La Terra Santa, con Gerusalemme, è luogo cruciale di connessione e conflitto tra diritto secolare e diritti religiosi. Ma non è l’unico. La “laica” Europa comunitaria è essa stessa sempre più multi-religiosa e multi-culturale: ha al proprio interno una crescente emigrazione musulmana, una costellazione di paesi slavi a forte soggettività religiosa ed etnica, e ai propri confini ha la Russia, l’Ucraina, i Balcani, la Turchia, Israele e gli stati del Maghreb, tutti variamente marcati d’impronta religiosa. Secondo Ferrari “non si possono capire né governare le tensioni provocate dalla coesistenza di diverse religioni senza che si conosca e si attivi l’apparato di norme che guida la vita dei rispettivi fedeli”.

L’Iraq è un’altro decisivo terreno di prova per lo sviluppo di una democrazia non contrapposta ma congiunta alla shariah islamica.

Ma tornando al conflitto arabo-israeliano, ecco qui di seguito un’esercitazione prospettica ad opera di un esperto di teologia e di geopolitica religiosa, Pietro De Marco, professore all’università di Firenze.

Di De Marco questo sito [www.chiesa.espressonline.it] ha già pubblicato nel 2002 una nota sui criteri di soluzione della guerra israelo-palestinese. Ma la sua convinzione è che criteri esclusivamente politici e giuridici – di diritto secolare – non sono in grado di incidere sul rifiuto musulmano dell’esistenza di Israele. Il motivo è che questo rifiuto deriva fondamentalmente da un imperativo religioso. E quindi potrà essere rimosso solo con un’iniziativa forte, innovativa, nell’ordine del diritto sacro islamico.

L’iniziativa dovrà essere “concordata” con la parte ebraica, anch’essa nelle sue componenti secolari e sacre. E a quale modello potrebbe ispirarsi? Proprio al più famoso dei concordati del Novecento tra le due potestà laica e religiosa: i Patti del 1929 con i quali lo stato Italiano fece pace con la Chiesa cattolica concedendo e riconoscendo alla Santa Sede una parte del proprio territorio, l’attuale Città del Vaticano.
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