L'ultimo saluto al Pontefice del dialogo
IL rabbino di Roma presente nel testamento del Papa

Toaf, che gesto sconvolgente quella sua visita in sinagoga!
Sentimenti e riflessioni attuali

Quello di papa Wojtyla sarà un pontificato che resterà nella storia dei rapporti tra mondo ebraico e cristianità, come forte resterà il ricordo e il sentimento di amicizia della comunità ebraica romana verso questo il vescovo di Roma venuto dall'Est.

""... Come non abbracciare con grata memoria tutti gli Episcopati nel mondo, con i quali mi sono incontrato nel succedersi delle visite 'ad limina Apostolorum'! Come non ricordare anche tanti Fratelli cristiani - non cattolici! E il rabbino di Roma e così numerosi rappresentanti delle religioni non cristiane! E quanti..."" [Dal Testamento di Giovanni Paolo II]

«Mi ha fatto un grande piacere. Non me l’aspettavo assolutamente. Questo vuol dire che l’affetto che provavo per lui era ricambiato». Così il rabbino emerito di Roma Elio Toaff commenta la notizia di essere presente nel testamento di Papa Wojtyla.

«È stato un grande Papa - ha ribadito Toaff -. La sua politica era quella di ricercare di abbattere gli ostacoli tra le varie religioni». «Di questo gesto del Papa - ha proseguito Toaff - mi ricorderò sempre finché campo. E di questo sono veramente grato al pontefice».

Il rabbino capo emerito di Roma ha poi definito la visita del papa nel Tempio maggiore nel 1986 come «indelebile nella sua mente». «Quello fu l’inizio di un rapporto di amicizia e di stima. Quando è entrato in Sinagoga tutti quei pregiudizi accumulati nei secoli sono stati annullati. Più di questo non si poteva ottenere». Toaff ha poi detto di aver contattato, prime della storica visita, tutti i rabbini europei per avere il loro parere: «nessuno, e anche in questo caso c’è stata una mano..., ha detto di no». «Non sapevo cosa avrebbe detto il papa nel suo intervento e per questo - ha ricordato - ero titubante, ma poi fece quel discorso meraviglioso chiamandoci ’Fratelli maggiori’».

Toaff ha quindi spiegato il gesto che ha fatto nel corso della visita alle spoglie del pontefice quando ha alzato la mano come a benedire. «Al tempo stesso - ha detto - ho recitato una preghiera in ebraico per i defunti che vuol dire: 'Dio ti dia riposo e ti avvii verso la resurrezione'».
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[Fonte: ANSA 7 aprile 2005]


"Toaff: Che gesto sconvolgente quella sua visita in Sinagoga"       
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Roberto Monteforte, su L'Unità del 2 aprile 2005

«I nostri fratelli maggiori, fratelli prediletti» così Giovanni Paolo II definì il popolo ebraico quando il 13 aprile del 1986 si recò al Tempio maggiore di Roma, per rendere omaggio alla più antica comunità ebraica della «diaspora».

Un gesto emblematico con il quale il pontefice indicò con chiarezza quale sarebbe stato un punto fermo del suo pontificato: la ricerca del chiarimento tra Chiesa cattolica ed Ebraismo dopo secoli di discriminazioni e di ostilità antiebraica. Una strada aperta dal suo predecessore Giovanni XXIII con la svolta impressa nel 1965, con la «dichiarazione» del Concilio Vaticano II, la Nostra Aetate e con la decisione di cancellare l'odiosa accusa di «deicidio» rivolta agli Ebrei nella preghiera del venerdì di Pasqua. Ma che papa Wojtyla ha spinto più avanti, malgrado le resistenze della Curia romana.

È stato il Papa polacco a chiedere perdono per tutte le colpe della Chiesa, per tutti i suoi atteggiamenti «antigiudaici» presenti e passati, e per tutti i torti subiti a causa dei cristiani. Lo ha fatto nel 1998 e poi solennemente a Gerusalemme, quando, raccolto in preghiera al Muro del Pianto, collocò in un fessura del muro sacro quel foglietto con la sua invocazione di perdono rivolta all'unico Dio, padre di Abramo.

Quello di papa Wojtyla sarà un pontificato che resterà nella storia dei rapporti tra mondo ebraico e cristianità, come forte resterà il ricordo e il sentimento di amicizia della comunità ebraica romana verso questo il vescovo di Roma venuto dall'Est.

«Giovanni Paolo II ha dato prova di essere un uomo di gran cuore. Ha cercato tutte le vie per armonizzare la vita sociale di tutto il popolo, si trattasse di cattolici, cristiani o ebrei. Bisogna daglierne atto» commenta il professore Elio Toaff, che per oltre cinquant'anni, dai tempi difficili della ricostruzione dopo la tragedia della guerra e dell'oppressione nazi-fascista, è stato alla guida della comunità ebraica della capitale. Il rabbino esordisce così, con un riconoscimento personale del valore di Karol Wojtyla. «Mi ha sempre ricevuto con grande amicizia e con sentimento di collaborazione» ricorda. È anche questo un segno del forte rapporto che ha legato il livornese Elio Toaff al Papa polacco. Quasi coetanei, sono stati entrambi uomini della speranza e della ricostruzione, protagonisti convinti del dialogo, sin da quando in quel lontano 13 aprile 1986 ci fu la visita al Tempio maggiore.

«Fu un gesto sconvolgente da molti punti di vista - ricorda Toaff -. Era la prima volta che un Papa metteva piede in una Sinagoga ed io ero molto impensierito perché non sapevo come sarebbe andata, né quale sarebbe stato l'atteggiamento del Papa nel momento in cui entrava nel Tempio. Ma quando l'ho visto venirmi incontro a braccia aperte e abbracciarmi davanti a tutti, allora la tensione si è appianata e tutto si è fatto molto più semplice e amichevole». È stata la prima tappa di un dialogo che non si è mai più interrotto. «Quel gesto gli ha fatto molto onore - aggiunge il rabbino -. Ha smentito tutte quelle che sono state le persecuzioni che gli ebrei di Roma hanno dovuto subire negli anni, dalla chiusura nel Ghetto del 1500».

In quell'occasione Giovanni Paolo II usò espressioni significative, come «fratelli maggiori» e «prediletti», sottolineando così il rapporto particolare che lega il cristianesimo all'ebraismo. «Meno male che non ha usato l'espressione "primogeniti" - sottolinea scherzosamente Toaff - . Nella Bibbia non godono di molta buona fama...».

È stato un gesto che ha avuto una sua storia e un percorso che è stato aperto da un altro grande pontefice, Giovanni XXIII. Di quegli avvenimenti ha un ricordo vivo, preciso il professor Toaff. «Ricordo quando Giovanni XXIII fece fermare sul lungotevere il corteo pontificio per benedire gli Ebrei che di sabato uscivano dalla Sinagoga. Fu un gesto che gli valse l'entusiasmo di tutti i presenti che circondarono la sua vettura per applaudirlo e salutarlo. Era la prima volta che un Papa benediva gli Ebrei». Ma papa Roncalli fece anche di più. Cancellò l'odiosa accusa di deicidio rivolta al popolo ebraico dalla predicazione del venerdì della Pasqua cristiana. Un altro passo importante della difficile strada della riconciliazione che Giovanni Paolo II ha perseguito con determinazione.

Di questo percorso tappa fondamentale è stata il viaggio a Gerusalemme per il Giubileo nel marzo del 2000. Come non ricordare quel gesto indimenticabile di Giovani Paolo II al Muro del Pianto, quel foglio inserito in una fenditura del Muro sacro. «Una cosa molto bella - commenta Toaff -. Il Papa aveva presente la storia e quelli che erano stati i rapporti, non sempre amichevoli, tra Chiesa cattolica e mondo ebraico. Bisogna vedere - aggiunge - cosa era scritto in quel foglietto, ma certamente conteneva una richiesta di perdono».

Una sensibilità, quella del Papa, certamente influenzata dalla sua vicenda personale. Karol Wojtyla in gioventù, nella sua Cracovia, fece l'esperienza della barbarie nazista e poi del totalitarismo comunista. Vide molti suoi amici ebrei non tornare più dai campi di sterminio e volle mantenere sempre forti i rapporti con gli amici sopravvissuti. Ne è convinto Toaff. «Una sensibilità la sua - afferma - certamente influenzata dall'aver vissuto in Polonia dove c'era una grandissima comunità ebraica. Wojtyla aveva avuto rapporti anche abbastanza stretti con questo mondo. Basta pensare al suo amico ingegnere che lo invitava a pranzo il sabato, giorno in cui nelle case ebraiche si mangiava un po' meglio, e che poi si è trovato a vivere a Roma. Per lui le porte del Vaticano erano sempre aperte, perché tra loro c'erano rapporti fraterni, più che di amicizia».

Nel percorso autocritico segnato da Giovanni Paolo II ci sono anche timidezze, nodi non pienamente sciolti, come la beatificazione di Pio XII malgrado quel suo silenzio sulla Shoah, sulla persecuzione nazista degli ebrei. «Pio XII è stato un pontefice molto silenzioso mentre al popolo ebraico succedeva quello che stava succedendo - commenta con amarezza Toaff -. L'ho anche detto. Mi è stato risposto che papa Pacelli ha fatto questo perché se avesse preso apertamente posizione probabilmente i tedeschi avrebbero portato via anche lui. Allora, ho replicato, che sarebbe stato anche santo e martire». Ma la storia è andata come è andata.

Un percorso quindi fatto di luci e ombre di cui quel «mea culpa» pronunciato da Giovanni Paolo II rappresenta una tappa essenziale. Anche perché non si è trattato di un semplice atto personale, è stato sorretto da un lavoro di revisione e di approfondimento teologico e dottrinale che ha coinvolto la Chiesa cattolica. È stato merito di papa Wojtyla aver spinto perché si andasse alle fonti dell'ostilità presente nel mondo cristiano verso gli Ebrei. Ha voluto richiamare la distinzione tra antigiudaismo, che ha riconosciuto presente nella Chiesa, e «antisemitismo», definito un'eresia «anticristiana».

Il Papa ha espressamente riconosciuto l'errore della «cultura del disprezzo» verso gli ebrei, «terreno di intolleranza e di odio contro l'Ebraismo» e ha riconosciuto la specificità della Shoah («la malizia di un odio che investe il piano salvifico di Dio sulla storia. Da questo odio la chiesa stessa si sente direttamente presa di mira»). Uno sforzo apprezzato da parte ebraica. «Ogni tentativo per portare armonia e pace deve essere incoraggiato» afferma convinto Toaff che ricorda le figure «benemerite» del monsignor Jorge María Mejìa o del cardinale Johannes Willebrands. «Tutta gente che si è impegnata perché ci fosse un chiarimento, un addolcimento delle posizioni e una collaborazione tra noi. Bisogna essere grati a queste figure che hanno rischiato personalmente, perché nella Chiesa non tutti erano poi così d'accordo con la linea del dialogo con l'ebraismo. Basti pensare a mons. Marcel Lefebvre».

Oggi grazie anche al lungo pontificato di Giovanni Paolo II l'«ebraicità di Gesù» pare un dato acquisito. «Gesù è nato Ebreo, ha vissuto da Ebreo, è morto da Ebreo ed è stato sepolto da Ebreo - sottolinea il rabbino -. Cosa gli vogliono far fare? Vogliono cambiare la storia o fatti che non sono stati nascosti, ma che sono stati chiari e visibili per tutti? Far passare Gesù per un non ebreo?». 

Elio Toaff non teme che dal passato ostracismo la Chiesa ora passi al tentativo di «annettere» l'ebraismo al Cristianesimo, ritenuto superiore perché rappresenterebbe il vero compimento delle religioni del Libro. «Sono tentativi che si sono ripetuti nella storia e che sempre sono andati falliti» afferma convinto e poi assicura: «Questo non è stato lo spirito di Giovanni Paolo II che ha sempre rispettato l'autonomia della tradizione religiosa e culturale ebraica».

Su questo non ha dubbi Toaff. Il rispetto è la precondizione del dialogo e il dialogo tra le religioni è fondamentale per costruire percorsi di pace. È stata la via seguita dal Papa polacco, non sempre ascoltato profeta di pace. È stato il segno forte di questo pontificato. È lo spirito di Assisi. Elio Toaff è stato tra i protagonisti di quell'indimenticabile incontro di preghiera del 1986, quando i leaders delle maggiori religioni si trovarono insieme per invocare il Dio della pace. «È una strada che va percorsa e sino in fondo. Malgrado le opposizioni» afferma convinto. «E verso l'incontro di Assisi - ricorda - le abbiamo viste». «Bisogna dar tempo al tempo. Le cose matureranno»: questo è il suo messaggio.

È ottimista Toaff e da uomo di fede ha fiducia nell'azione di Dio. Come l'ha avuta Giovanni Paolo II. Anche per trovare una soluzione al dramma che vive il Medio oriente, Terra santa per le tre religioni del Libro. Terra ferita e insanguinata, con il dramma che vivono quotidianamente le popolazioni civili ebree e palestinesi.

«Giovanni Paolo II si è molto adoperato per una soluzione pacifica. Ha provato ma non è riuscito». Occorrerà insistere e lavorare per la comprensione reciproca.

Sull'eredità ed i problemi che la Chiesa cattolica dovrà affrontare dopo questo grande pontefice non vuole pronunciarsi. «Sono un problema dei cattolici» afferma. Ma da convinto compagno di strada nel difficile e a volte contrastato percorso del dialogo tra le religioni, da «fratello maggiore», Elio Toaff, un po' addolorato per la perdita di un vero amico, si sente di inviare un suo augurio alla Chiesa di Roma: «Che possa eleggere un Papa come Giovanni Paolo II».

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[Fonte: L'Unità 2 aprile 2005]


Sentimenti e riflessioni attuali                                    
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Un testamento guarda al futuro, ma è anche memoria per l’avvenire. Quando ha vergato il suo, Giovanni Paolo II, nel ricordare le persone che hanno intersecato la sua parabola, ha citato anche il rabbino capo della comunità ebraica di Roma. Non ha fatto il suo nome, ma il rabbino che ha attraversato il percorso di Wojtyla è Elio Toaff. Lo stesso Toaff che sedeva accanto al Papa nella storica visita alla sinagoga.

La sinagoga si intravede dalle tende ricamate del suo studio; Toaff ha appena saputo che il Papa lo ha ricordato nel proprio testamento. È commosso - senza dubbio - sapendo di essere entrato nella memoria del Pontefice, e la memoria per Toaff è importante, come lo è per tutti quelli di fede ebraica. «Da un Papa così, me lo sarei aspettato», dice di getto, tuttavia la sorpresa e lo stupore sono ancora impressi nel suo sguardo. «Me lo sarei aspettato - aggiunge - perché aveva un modo di avvicinarsi alla gente, di parlare e di guardare che a pensarci adesso m’è parso naturale che l’abbia fatto. Rientra nello stile di questo grande Papa». 

Il rabbino chiude gli occhi come se pescasse qualcosa nella memoria. Difatti, sta cercando qualcosa nei suoi ricordi, ma non è l’abbraccio al Gemelli, non la storica visita alla sinagoga. No. Toaff sta ricordando quello sguardo. «Con gli occhi penetrava, perché quando guardava qualcuno si vedeva dal suo sguardo quello che aveva dentro». Toaff, di un’altra fede, cosa vedeva dunque il quello sguardo? Sorride alla domanda, e risponde sicuro: «Io ci ho visto la sua ferma volontà di eliminare tutti quelli che potevano essere degli ostacoli che avevano impedito attraverso i secoli un avvicinamento». Su quali basi il Papa e Toaff si sono intesi? «Prima di tutto - dice il rabbino capo - ci siamo capiti in quello sguardo. Il Papa era sincero».

Toaff mostra la finestra dietro le sue spalle e il Tempio: «Là dentro avvenne una rivoluzione, un rovesciamento completo della situazione. La diffidenza che, inutile negarlo, esisteva negli ebrei per i cattolici e i cristiani cominciò a dileguarsi. Non si può dimenticare che gli ebrei hanno patito per tanti secoli. In un giorno, però, grazie a questo Papa, non erano più i "perfidi ebrei", ma diventavano i "fratelli maggiori"». Quell’abbraccio in sinagoga - Toaff ne è certo - ha lasciato un segno indelebile che resterà nella memoria.

Degli incontri che si sono poi ripetuti, il rabbino capo emerito di Roma ricorda soprattutto quello sguardo: «Lo definirei uno sguardo che andava oltre. Oltre il quotidiano. Il Papa guardava all’avvenire che doveva essere luminoso per tutti, non soltanto per i cattolici e i cristiani, ma proprio per tutti. Giovanni Paolo II aveva una visione grandiosa di una luce che doveva ricoprire tutto l’universo e tutti gli uomini a qualunque fede appartenessero».

Sta per venire la Pasqua ebraica, la Pesah che ricorda il passaggio dalla schiavitù degli ebrei patita in Egitto alla libertà della Terra Promessa, quando il Signore «con mano potente» li fece uscire di là. Gli ebrei si preparano per questa ricorrenza che è memoria; nel settimo giorno, nella festa in onore del Signore, Toaff parlerà ai suoi fratelli. Parlerà anche di questo Papa: «Ricorderò - ci dice - il suo messaggio e cioè che la fede in Dio è uguale per tutti e che le differenze le hanno determinate le circostanze. Ricorderò anche che quella sua visita è stato un grande gesto che gli ebrei non dimenticheranno mai». Sarà memoria per l’avvenire.
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[Fonte: "Avvenire" dell'8 aprile 2005]