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Pasqua in Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa a Radio Vaticana

[Pubblichiamo anche l'intervista rilasciata ad AsiaNews]

In Medio Oriente, l’esercito israeliano ha circondato i Territori palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. L’operazione proseguirà per l’intera durata del periodo della Pasqua ebraica, che si concluderà il 9 aprile. In un comunicato si precisa che sarà comunque consentito il passaggio a fedeli cristiani e uomini di Chiesa in occasione della Pasqua cristiana. La Comunità internazionale continua, intanto, a cercare soluzioni per rendere praticabile la via della pace. Ma la Pasqua imminente può essere occasione feconda per tutte le realtà presenti e per rinvigorire il dialogo? Stefano Leszczynski ne ha parlato col padre francescano Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa:

R. - In Terra Santa, in modo particolare, le difficoltà non sono mai mancate, di carattere politico, sociale, civile. La Pasqua a Gerusalemme è un momento particolare, dove tutte le situazioni difficili vengono messe da parte e ci si dedica alla Pasqua e alle liturgie; diventa una città piena di preghiera. Quest’anno c’è moltissima gente anche perché la Pasqua cattolica e la Pasqua ortodossa cadono negli stessi giorni per cui la città è molto affollata, prevediamo delle liturgie molto affollate.

D. - C’è un messaggio particolare che si può trarre dalla Pasqua di quest’anno per la Terra Santa?

R. - Il messaggio della Pasqua è sempre lo stesso: Cristo che risorge dai morti. È un messaggio di risurrezione, di vita, di speranza. Soprattutto, sia se cambiano le circostanze o se rimangono sempre le stesse circostanze di dolore, di difficoltà, Cristo che risorge ci dice che nonostante tutto non bisogna mai cessare di credere nella bontà dell’uomo e nella vita.

D. - Per i credenti delle altre religioni cosa può essere trasmesso dalla Pasqua?

R. - La Pasqua cristiana si rifà alla Pasqua ebraica, la liberazione dalla schiavitù. Veniamo liberati dalla schiavitù; anche per i musulmani è un periodo di festa, di grandi celebrazioni.

D. - Quindi, nuovamente, la Terra Santa si presenta come zona particolarmente favorevole al dialogo interreligioso…

R. – Il dialogo qui è inevitabile perchè si vive insieme. Forse non discutiamo dei grandi principi o dei grandi problemi del mondo; discutiamo di cose più banali, ma il dialogo fa parte della nostra vita. Dobbiamo discutere di tutto, di problemi concreti e proprio la concretezza di quei problemi ci avvicina, ci rende umanamente solidali l’uno con l’altro.
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[Fonte: Radio Vaticana 1 aprile 2007]



Intervista rilasciata ad AsiaNews

Padre Custode, che senso ha la Pasqua qui a Gerusalemme, dopo un anno di guerre israelo-libanesi, guerre intestine fra i palestinesi?

Guardando in prospettiva, bisogna dire che qui le guerre ci sono da tanto tempo. Quest’ultimo anno è stato certo molto pesante e difficile, ma il significato della Pasqua è sempre lo stesso: la Pasqua è la festa della Vita, la resurrezione. È Dio che dice l’ultima parola su tutte queste situazioni di morte e di paura, e la Sua è una parola di vita, di speranza. Anche di fronte alla guerra del Libano, alle tensioni del mondo palestinese, le tensioni tra israeliani e palestinesi, il significato della Pasqua è che nonostante tutto bisogna continuare a credere nella bontà dell’uomo. Questa bontà è il riflesso della bontà di Dio. Nell’uomo certamente c’è la cattiveria, il male e Satana esiste. Ma l’ultima parola di Dio è una parola di vita, di bene.

Ma di fronte alla violenza, alla guerra, questa speranza non sembra un po’ lontana?

Forse. In apparenza, la morte, la guerra, le divisioni sembrano toccarci con più evidenza. Ma stando qui, vivendo in questa realtà, ci si accorge che oltre alla divisione c’è anche tanta condivisione; che oltre alla morte, vi sono anche tanti segnali di vita e di speranza di molta gente che nonostante tutto continua a vivere, credere e scommettere nel rapporto con l’altro. Vi sono associazioni israeliane e palestinesi che si incontrano; scuole che si gemellano; ragazzi musulmani, cristiani e anche ebrei che studiano insieme; gente che continua a credere nella convivenza. Questi piccoli segni di vita e di speranza, forse - questo lo concedo - sono pochi. Ma sono un piccolo punto dal quale si può partire. In fondo anche quando Gesù è risorto, i discepoli erano pochi e un po’ più traballanti nella fede.

Un piccolo esempio: di recente c’è stato un convegno di studio, organizzato da un’associazione israelo-palestinese che ha messo insieme cristiani, ebrei e musulmani. Lo studio era sulle radici cristiane della nostra società, fatto in collaborazione con i salesiani. Erano poche decine di persone, un gruppo piccolissimo, ma si sono incontrati un ex generale israeliano e un ex partigiano palestinese. L’ex generale era governatore dei Territori occupati; l’ex partigiano ha lottato per la causa palestinese, è stato in carcere per molto tempo, ha avuto vittime fra i membri della sua famiglia. Eppure si sono incontrati per parlare di Gesù.

E qual è l’impatto che ha una cosa del genere?

Immediatamente sembra non averne. Il cuore sembra fermarsi soprattutto di fronte ai segni della politica, della guerra… Ma tutti questi scossoni vanno un po’ sopra la testa, perché la vita concreta ha le sue esigenze ed urgenze, fra cui vi è la speranza. A quell’incontro, tutti hanno capito che bisognava cambiare strada, strategia, linguaggio. Perfino in una situazione difficile come a Gaza, separata da tutto, anche là non vi è soltanto morte, ma anche persone e associazioni che lavorano per la vita.

Quest’anno vi è un’unica data della Pasqua per cattolici e ortodossi…

Se devo essere sincero, da un punto di vista strettamente, pratico, la differenza di data fra cattolici e ortodossi è molto comoda: meno pellegrini, meno traffico, celebrazioni al Santo Sepolcro svolte con maggiore tranquillità. Dal punto di vista umano e spirituale è molto bello che tutti siano in festa, piacevolmente agitati. La Pasqua, poi, ha un significato simile per ebrei e per cristiani – pur con le dovute differenze. Per gli ebrei è la festa della liberazione, del passaggio dalla schiavitù alla libertà, che si celebra nel Seder. Noi celebriamo lo stesso passaggio nella notte di Pasqua.

Sono previsti alcuni momenti insieme con gli ortodossi?

Le celebrazioni sono rigorosamente separate, anche se si faranno contemporaneamente. Sarà quella che io definisco “una meravigliosa babilonia”. Il mattino della domenica delle Palme – ad esempio - noi latini celebravamo davanti all’edicola del Santi Sepolcro; i copti celebravano la stessa cosa dietro all’edicola. Ma credo che i copti non sentissero nulla di quello che dicevano; e noi non capivamo niente di quello che dicevamo noi…

Tutti i riti e l’uso della chiesa del Santo Sepolcro seguono con esattezza le regole dello status quo, creato alla fine del ‘700 sotto l’impero ottomano. A quel tempo la veglia pasquale si celebrava al sabato mattina. E noi facciamo così. La cerimonia de fuoco avviene prima per noi e poi per gli ortodossi.

I cristiani di Terra Santa diminuiscono sempre di più per l’emigrazione all’estero. Qual è la vostra missione?

La nostra missione è quella di stare qui in questi luoghi, che sono importanti per tutti i cristiani. Tutto il mondo guarda a Gerusalemme, ma Gerusalemme deve guardare a tutto il mondo cristiano. Noi siamo qui, preghiamo qui e siamo in unione con tutta la Chiesa e per conto di tutta la Chiesa.

E ricordiamo a tutti che Pasqua non è solo un piegarsi pietoso sul sepolcro, una sorta di omaggio di pietà. Il messaggio della Pasqua è un messaggio di slancio, sapere riconoscere il Volto del Signore, spezzare il pane con Lui, per spezzare il pane con qualunque uomo, con qualunque volto noi incontriamo, lì dove c’è un bisogno.

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