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    Lunedì 16 gennaio 2006 - Indirizzo di saluto del Rabbino Capo di Roma a Benedetto XVI

A pochi mesi dalla Sua elezione al soglio pontificio la Comunità ebraica di Roma ha desiderato questo incontro, che ci riporta nelle sale dove tre anni fa fummo ricevuti dal Suo predecessore, papa Giovanni Paolo II, il Papa che più di ogni altro ha dato un contributo decisivo al miglioramento dei rapporti tra Cristiani ed Ebrei. Ma noi sappiamo anche quale ruolo determinante abbia avuto, negli anni del precedente pontificato, il Suo pensiero, come guida e solido sostegno teologico dei più importanti momenti di definizione della dottrina. Per questo motivo, fin dai primi momenti del nuovo pontificato, è stata forte la convinzione che non solo non ci sarebbero stati passi indietro nel cammino intrapreso, ma che la strada segnata sarebbe continuata linearmente.

Questa nostra convinzione trova conferma nei Suoi atti già numerosi, nelle dichiarazioni, nella sensibilità dimostrata nella denuncia dell’antisemitismo passato e presente, nella condanna del terrorismo fondamentalista, nell’attenzione allo Stato d’Israele, che per tutto il popolo ebraico è un riferimento essenziale e centrale. La preghiera per Sion risuona tutti i giorni nelle nostre Sinagoghe.

La Comunità ebraica precede di quasi 180 anni l’arrivo dei primi Cristiani a Roma, all’inizio in gran parte essi stessi ebrei della terra d’Israele che venivano a predicare il messaggio cristiano proprio nelle Sinagoghe di questa città. Da allora e fino ad oggi, per un destino eccezionale e per noi non privo di significato provvidenziale, Ebrei e Cristiani sono rimasti qui insieme senza interruzioni. Non è stata però una storia serena e il peso di secoli di umiliazioni e sofferenze si fa ancora sentire. Eppure c’è stata sempre una speciale comunicazione, un modo di porsi verso l’altro consolidato da una tradizione, anche nella cornice di un rapporto non paritario. E un rapporto speciale esisteva anche tra sacerdoti e rabbini e in particolare tra il Vescovo di Roma e il Rabbino della città.

L’Oratorio di S. Silvestro della chiesa dei SS. Quattro Coronati a Roma mostra in una affresco la gara tra Papa Silvestro e un certo Rabbino Zamberi davanti all’imperatore Costantino, incerto nella scelta di una fede; la gara doveva dimostrare chi dei due fosse più potente nell’uso dei nomi divini. A 17 secoli di distanza siamo ancora qui a confrontarci davanti al mondo. Che da noi non si aspetta di sapere chi dei due è il rappresentante della vera fede, ma vuole sapere in che modo ognuno di noi sia coerente nell’impegno sacro che la sua tradizione gli impone davanti agli uomini. Non c’è più la gara per dimostrare chi è più potente magicamente, o chi è vero e chi è falso, chi vale ancora e chi è scaduto; ma ben venga una gara di dimostrazione di virtù al servizio degli altri, dei valori condivisi da testimoniare e applicare nella realtà quotidiana, ciascuno seconda la propria identità.

La Roma ebraica e la Roma cristiana che si incontrano, si rispettano, convivono in pace, collaborano ma rimangono ciascuna fedele a sé stessa sono un esempio per il mondo travagliato da conflitti, spesso sostenuti da visioni religiose esasperate. Il passato di sofferenze e talora di orrori subiti, anche in questa città, non ci ha mai fatto perdere la fiducia, radicata nella nostra tradizione, nelle capacità e nel valore di ogni essere vivente: “L’hai reso di poco inferiore a Dio, coronato di gloria e splendore” perché possa dichiarare “Iddio nostro Signore, quant’è grande il Tuo nome in tutta la terra” (salmo 8 vv. 6 e 10).

Questo è un anno di importanti anniversari. Sono stati ricordati da poco i 40 anni della Nostra Aetate. Tra poco, ad Aprile, saranno compiuti venti anni dalla storica visita del Suo predecessore alla Sinagoga di Roma; un evento unico, ma nulla impedisce che sia ripetuto dal nuovo Papa, che è sempre il benvenuto.

Che il Signore continui a darLe forza e saggezza nell’esercizio della Sua ardua missione.

   
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