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La prossima visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Colonia: un gesto che prelude ad un'era nuova dopo i drammi del Novecento

Intervista a Radio Vaticana del Prof. Giorgio Rumi

Il Rabbino Capo di Colonia
Tra una settimana esatta inizierà a Colonia la 20.ma Giornata mondiale della Gioventù e più di quattrocentomila giovani da duecento Paesi del mondo si sono finora iscritti per prendere parte all’evento. Secondo mons. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, questa cifra costituisce un record nella storia delle Giornate Mondiali della Gioventù: “Come è noto i giovani non amano le formalità e vengono in molti di più di quanti si sono iscritti”.
<--La Sinagoga nella Roonstraße a Colonia e Rav Netanel Teitelbaum


Tra gli appuntamenti che scandiranno la visita di Benedetto XVI nella città tedesca, molto atteso è quello che porterà il Papa a visitare l’antica sinagoga di Colonia. L’incontro con la comunità ebraica locale, a 60 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalla Shoah, si preannuncia come un evento nell’evento. 
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Al Prof. Giorgio Rumi, docente di Storia contemporanea all’Università statale di Milano, Alessandro De Carolis ha chiesto se il gesto del Papa possa considerarsi un balzo in avanti della storia o più semplicemente un segno figlio dei tempi:

R. – Direi che si tratta di un balzo in avanti della storia, senz’altro. Già nelle ossature fondamentali dell’evento si capisce la sua eccezionalità. Un Papa tedesco in una sinagoga, dopo quello che è successo e che, secondo me, pesa anche troppo sulla vita e sulla coscienza tedesca. Abbiamo bisogno di una Germania libera da incubi. Io vedo nel viaggio del Papa, oltre agli ovvii significati religiosi, anche significati civili. Non è un andare a Canossa, per paradosso: si tratta invece di un gesto buono, santo, utile e da europeo non posso che compiacermene.

D. – Si è disquisito a lungo e giustamente sulla visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma nell’86. Con il suo prossimo gesto, così carico di simbolismi come lei ricordava, Benedetto XVI si accinge a raccoglierne l’eredità, ma forse anche a superarla in qualche modo…

R. – Sì. La visita di Roma aveva un grandissimo significato, proprio perché Roma dal punto di vista religioso è quella che tutti noi conosciamo. C’è poi anche una storia domestica: a Roma gli ebrei, fino alle tragiche vicende del ’43, in una situazione migliore che non altrove: il governo pontificio, dunque, non era così “malvagio” come certi invece dipingono. Certamente, la loro non era una situazione ideale. Giovanni Paolo II, facendo un viaggio di poche centinaia di metri, ha rotto questa specie di cappa che gravava sulle nostre coscienze. La visita di Benedetto XVI, in sostanza, allarga l’orizzonte al mondo. La Chiesa va in sinagoga e questo chiude una dolorosa storia e ne apre una nuova, che rappresenta un balzo della storia.

D. – Dall’Olocausto ad oggi, si sono succeduti sei pontificati, compreso l’attuale appena agli inizi e quello brevissimo di Papa Luciani. Come valuta l’occhio dello storico l’evoluzione dei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo in questo arco di tempo?

R. – Lei ha fatto bene a parlare di cattolicesimo ed ebraismo. Si è passati da quella specie di maledizione o di deprecazione degli ebrei ad una condizione di fraternità, anzi una specie addirittura di ‘maggiorasco’, di maggiore dignità del fratello maggiore ebreo. Il cammino è stato, quindi, lungo ed importante. In questo caso, è tutta la cattolicità che ritrova un nuovo dialogo con questi fratelli maggiori.

D. – E questo grazie anche - possiamo dire - al Concilio Vaticano II e quindi ai due grandi Papi di quel periodo, e cioè Giovanni XXIII e Paolo VI…

R. – Naturalmente. Non dobbiamo dimenticare che Papa Montini era il sostituto in Segreteria di Stato dal ’37, se non sbaglio, e quindi gli anni chiave della guerra li ha vissuti sulla sua pelle. Giovanni XXIII aveva visto gli ebrei dal suo osservatorio, soprattutto quello di Costantinopoli, e poi dalla Francia, dove c’era stato il trauma di Vichy, che non fu certo una cosa da poco. I due Papi che lei ha citato hanno davvero fatto molto ed è bene ricordarlo.
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[Fonte: Radio Vaticana 9 agosto 2005]

   
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