«Le relazioni tra le due fedi oggi sono buone. Il gesto che mi è rimasto impresso nella mente? La visita al muro»


In questi giorni in cui, attraverso gli echi dei festeggiamenti per il XXV anniversario della salita al soglio pontificio di Giovanni Paolo II, i cattolici condividono con molte persone di buona volontà  la consapevolezza del dono costituito per l'Umanità intera da questo grande uomo venuto dell'Est, desideriamo condividere con i nostri visitatori questa riflessione di Elie Wiesel. È anche  il nostro modo discreto per non passare sotto silenzio l'evento, in omaggio ad un  indiscusso protagonista dei più recenti progressi - in corso ma ancora da promuovere e costruire - nell'ambito del dialogo ecumenico, interreligioso, ma soprattutto di quello ebraico cristiano, essenziale premessa per una vera pace

Ammette di non essersi aspettato molto all'inizio da Giovanni Paolo II. [cfr. anche intervista Elie Wiesel aprile 2000] Ma nel corso degli anni Elie Wiesel, ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento nazista, autore di oltre 35 libri e premio Nobel per la Pace del 1986, è arrivato a nutrire il «massimo rispetto» per il Papa polacco, come persona e come figura storica. Non lo ha mai incontrato personalmente («se ne è parlato, ma un nostro incontro sarebbe stato troppo strumentalizzato dai media»), ma ha scoperto il terreno comune della difesa dei diritti umani e delle minoranze perseguitate.

Professor Wiesel, quale pensa sia l'eredità più profonda dei primi 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II?

Le relazioni fra ebrei e cristiani, che oggi sono buone, sorprendentemente buone. Questo si deve all'opera di Giovanni XXIII per cominciare e poi a quella di Giovanni Paolo II. Giovanni XXIII ha aperto la porta al cambiamento. Ha eliminato dalla teologia cattolica tutti gli elementi che rappresentavano un insulto per gli ebrei e una barriera al rapporto fra le due fedi. In questo modo ha preparato il terreno al riavvicinamento e ai passi storici compiuti da Giovanni Paolo II. 

Il S. Padre in preghiera ad Auschwitz

Ma non è stato subito chiaro che sarebbe stato così. Quando è stato eletto ero scettico. 
E persino il suo viaggio ad Auschwitz del 1979, un anno dopo, mi lasciò perplesso. Nelle parole che pronunciò in occasione della visita le vittime dei campi di concentramento vennero chiamate «sei milioni di persone». Il Papa non pronunciò la parola ebrei.

Ha cambiato idea in seguito?

Ho preso atto dei suoi gesti successivi, che vedo come la testimonianza di un cambiamento nel suo atteggiamento nei confronti dell'ebraismo. 

La visita alla Sinagoga di Roma, 13 aprile 1986
e, durante il viaggio in Israele, la sosta a Yad Vashem, Gerusalemme 23 marzo 2000

Giovanni Paolo II è stato il primo Papa a visitare una sinagoga, a Roma, e nel 2000 il primo a pregare al muro del pianto a Gerusalemme. Sono due momenti che hanno significato molto. In questo percorso vedo una maturazione umana e come leader di cui gli va dato credito.

 

Cosa pensa del ruolo politico di Giovanni Paolo II nel XX secolo?

Il suo ruolo è stato decisamente strumentale alla caduta del comunismo in Polonia, va riconosciuto. Così come va riconosciuta l'importanza della sua continua preoccupazione e difesa dei diritti umani. Le sue parole in queste senso nel corso degli anni hanno salvato molte vite.

Qual è nella sua memoria l'immagine più simbolica del papato di Giovanni Paolo II?

Di certo la visita al muro. È un'immagine potente. Ma anche i suoi viaggi. Questo Papa ha sentito la necessità di raggiungere i fedeli fisicamente, di appellarsi a loro con la sua presenza, e di portare a loro la sua fede, come dovere del successore di Pietro. Lo ha fatto con perseveranza e questo va rispettato.



"Dio dei nostri padri,
tu hai scelto Abramo e i suoi discendenti
per portare il tuo Nome fra i popoli.
Siamo profondamente rattristati
per il comportamento di coloro
che nel corso della storia
hanno provocato sofferenze a questi tuoi figli
e chiedendo il Tuo perdono
vogliamo impegnarci
in una fratellanza sincera
con il popolo dell'Alleanza"
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Crede che il rapporto fra ebrei e cattolici continuerà a progredire anche al termine del papato di Giovanni Paolo II?

Credo e spero che gli sopravviverà. Le premesse sono forti. Non ci sono più tentativi di conversione e c'è rispetto per la rispettiva spiritualità.

Un dialogo che può rivelarsi prezioso in Medio Oriente?

In Medio Oriente rabbini e preti lavorano insieme quotidianamente, si riuniscono per discutere le rispettive preoccupazioni. Nonostante le tensioni nella regione questo dialogo continua ed è positivo in ogni senso.

Elie Wiesel, New York, Ottobre 2003


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