Agostino Carloni, Il Corriere del Sud, 11/2002


La vita: Israel Zoller (poi Zolli) nacque a Brody nel 1881 da famiglia ebrea polacca. Dopo la Grande Guerra divenne rabbino capo a Trieste, insegnando all'università di Padova. Nel 1938 fu nominato rabbino capo di Roma. Battezzato nel 1945, insegnò alla Sapienza e all'Istituto Biblico. Morì nel 1956. 

Finalmente la storia di Israel Zoller (1881-1956), ebreo polacco scomodo, esce dall'oscurità per trovare vivida luce nelle pagine di Judith Cabaud, israelita di Brooklyn, anche lei, come il protagonista del suo libro, convertita al cattolicesimo.

Zoller: una figura colpita dalla damnatio memoriae dei suoi correligionari, che lo considerano - come ricorda Vittorio Messori nella prefazione - un meshummad (apostata, rinnegato), e dall'imbarazzato silenzio di un certo mondo cattolico che crede, sulla scorta di un ecumenismo male inteso, di dover evitare qualsiasi tema che possa turbare le buone relazioni con gli appartenenti ad altre fedi.

Proprio lo squarcio di questa coltre di silenzio rappresenta il merito maggiore della piccola opera divulgativa di Cabaud, edita in Francia con notevole successo e oggi approdata in Italia: Il rabbino che si arrese a Cristo (Edizioni San Paolo, Milano 2002, pp. 120, euro 12,50).

L'autrice, che vive in Francia e ha nove figli, il primo dei quali sacerdote, scrive, da non professionista, pagine nelle quali la descrizione del personaggio si avvale della sensibilità derivante dal comune itinerario spirituale che ha condotto l'uno e l'altra, attraverso il battesimo, in seno alla Chiesa cattolica, apostolica, romana.

Un itinerario che secondo Zoller non è di apostasia ma molto più semplicemente di riconoscimento del legame profondo che unisce Antico e Nuovo Testamento, ossia l'inveramento della promessa messianica della venuta di Cristo, vero Dio e vero
uomo.

Israel Zoller, nato in una famiglia benestante, conosce presto le ristrettezze economiche quando l'impero russo decide di confiscare, senza alcun indennizzo, la fabbrica del padre. A ventitré anni lascia la Polonia per Vienna e poi per l'Italia, dove diverrà gran rabbino di Trieste.

Nel 1940, cioè dopo che le leggi razziali lo avevano costretto a italianizzare il suo nome in Italo Zolli, diviene rabbino capo di Roma. Sono gli anni duri della guerra, delle persecuzioni nazionalsocialiste dei fratelli ebrei in Germania e negli altri paesi invasi dalle divisioni tedesche, delle incomprensioni con la comunità romana, lacerata al proprio interno, delle difficoltà di far intendere alla dirigenza ebraica i rischi del nuovo clima creatosi, nel settembre 1943, con la caduta di Mussolini e con l'occupazione militare della Città Eterna ad opera dei tedeschi.

È allora che Zolli, già sulla via di Cristo, si dà da fare per salvare gli israeliti romani cercando di disperderli, di nasconderli, di allontanarli verso zone e paesi più sicuri. In quest'opera trova il prezioso aiuto di Eugenio Pacelli, Papa Pio XII, il quale ordina ai conventi e ai monasteri, anche quelli di clausura, di ospitare clandestinamente gli ebrei romani.

È così che si salvano in tanti, con l'aiuto di frati, sacerdoti, suore, monache ma anche delle molte famiglie cattoliche che, a proprio rischio e pericolo, vengono in aiuto dei fratelli ebrei.

Nel 1945, quando più nessuno avrebbe potuto interpretarlo come un atto di viltà per sfuggire alla persecuzione, Israel entra nella comunione della Chiesa cattolica con il nome di Eugenio. Una scelta che meglio e più di ogni altro atto testimonia il ruolo fondamentale svolto a favore degli ebrei da Pio XII, oggi ignobilmente attaccato da quanti, colpendo lui, vogliono colpire la stessa Chiesa.

Eugenio Zolli, già gran rabbino di Roma, paga successivamente quest'atto con l'ostracismo della sua comunità: resta solo con la sua famiglia che lo seguirà nella fede cattolica dopo poco.

Vive con dignità le difficoltà economiche, divenute nel frattempo gravissime, affidandosi alla misericordia e alla volontà di quel Signore che pazientemente aveva guidato i suoi passi sino al battesimo nella Basilica di S. Maria degli Angeli.

Negli anni successivi scrive molto soprattutto sul filo che lega indissolubilmente ebraismo e cristianesimo. Si ritira in un piccolo appartamento vicino a quello della figlia, dove muore il 2 marzo 1956, primo venerdì del mese.

Poco prima di morire dice a chi pietosamente lo assiste: «Quando sento il fardello della mia esistenza, quando sono cosciente delle lacrime trattenute, delle bellezze non viste,
piango sul Cristo crocifisso per me e in me [...]. Non possiamo che confidare nella misericordia di Dio, nella pietà di Cristo che muore perché l'umanità non sa vivere in
Lui».
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Agostino Carloni
Il Corriere del Sud n. 11/2002 - Anno XI - 1 giugno/15 giugno


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