|   
 
  
                   "Lectio" del Salmo   122 
                    [Testo
                        del Salmo]
 
                  Nel testo
                        ebraico questo salmo è intitolato Cantico delle
                        ascensioni o delle ascesi, dei gradini, delle salite, un
                        titolo che caratterizza ben quindici salmi (dal 120 al
                        134), detti pure I canti del pellegrinaggio, raccolti
                        insieme per servire da cantici del pellegrinaggio a
                        Gerusalemme.
 Nella versione
                  originale, il 122 è anche il primo dei quindici che viene
                  attribuito a Davide, insieme ai due successivi (dei rimanenti
                  uno è ascritto a Salomone mentre per gli altri non ci sono
                  ipotesi). Certamente c'è un motivo per tale attribuzione, pur
                  se non si ritiene che essa sia autentica e storica perché il
                  salmo sarebbe stato composto più tardi, quando il
                  pellegrinaggio a Gerusalemme era diventato un'abitudine.
 In ogni caso, Davide è il fondatore della città e il Salmo
                  122 presuppone Davide come un personaggio: "Là ha sede
                  il trono di giustizia, il trono di Davide" (v. 5).
                  Probabilmente, parlando di Gerusalemme come città
                  "costruita, salda e compatta", il salmista intende
                  riferirsi alla città ricostruita dopo l'esilio, che diventa
                  quindi il vanto e la gioia di Israele.
 
 L'attribuzione del salmo a Davide è comunque fondata, perché
                  esso testimonia un grande amore alla città costruita da
                  Davide quale capitale del suo popolo.
 
 Quali sono gli elementi costitutivi del salmo?
 
 Anzitutto notiamo una inclusione, cioè una parola che ricorre
                  all'inizio e alla fine: casa del Signore, dimora del Signore.
                  "Andiamo alla dimora del Signore" (v. 1); "Per
                  la casa del Signore" (v. 9).
 
 È interessante osservare come poi non si parli più di questa
                  casa, ma piuttosto della città: ciò significa che dapprima
                  Gerusalemme è vista in particolare come luogo del tempio e
                  poi anche come città nel suo insieme.
 
 Un altro elemento fondante è la triplice menzione di
                  Gerusalemme (vv. 2. 3. 6), descritta nelle sue porte, nelle
                  sue mura, nei suoi baluardi. Appellata tre volte, delineata
                  con tre caratteristiche e indicata con il pronome
                  "tu": "alle tue porte", "sia pace a
                  chi ti ama".
 
 Altro elemento strutturale del salmo è che Gerusalemme è
                  vista quale luogo di pace. Ben quattro le occorrenze di questo
                  termine: "domandate pace per Gerusalemme", "sia
                  pace a coloro che ti amano", "sia pace sulle tue
                  mura", "su di te sia pace". Il gioco di parole
                  è evidente: "Gerusalemme" veniva interpretata quale
                  "città dello shalom", della pace: sia pace
                  alla città della pace, domandate pace per la città della
                  pace.
 
 Infine il salmo è caratterizzato anche da altre ripetizioni
                  che gli imprimono un ritmo poetico, molto bello: le tribù, le
                  tribù del Signore, i seggi di giustizia, i seggi della casa
                  di Davide.
 
 Vi cogliamo, pur se non possiamo penetrare a fondo il ritmo
                  dell'originale, quell'affiato che ne fa un poema, un cantico,
                  qualcosa che nasce dal cuore e, attraverso ritmi, ripetizioni,
                  assonanze (sono tante nel testo ebraico) mette in luce
                  un'anima innamorata di Gerusalemme.
 
 Tenendo conto di questi elementi formali, cerchiamo di capire
                  la struttura logica del salmo, facilmente suddivisibile
                  secondo le tappe di un pellegrinaggio.
 
 Un pellegrinaggio viene anzitutto deciso; immaginiamo che il
                  salmo venga cantato da un gruppo di pellegrini che giungono
                  alle porte della città. Essi devono fermarsi per sbrigare
                  alcune pratiche burocratiche previste prima dell'ingresso; si
                  riposano e contemplano la città. Contemplandola ripensano
                  all'inizio del cammino, al momento in cui hanno deciso di
                  partire; è il v. 1, "Quale gioia quando mi dissero:
                  'Andremo alla casa del Signore"'.
 
 Dopo l'inizio, è immediatamente sottolineato l'arrivo: ora ci
                  siamo, "i nostri piedi si fermano alle tue porte,
                  Gerusalemme!" (v. 2).
 
 Al v. 3 Gerusalemme viene contemplata dall'esterno, ammirata
                  quale costruzione salda e compatta, in cui tutto è unità. È
                  un riferimento alla città sul monte, che dà l'impressione di
                  compattezza (sulla roccia), e insieme alla situazione
                  spirituale della città, salda perché fondata sul Signore,
                  unificata dallo Spirito di Dio.
 
 Quindi, Gerusalemme è contemplata nelle sue caratteristiche e
                  nel suo ruolo (w. 4-5). Si tratta di una riflessione a livello
                  morale: meta di pellegrinaggio, luogo di culto, di lode, di
                  testimonianza della gloria di Dio, centro amministrativo e
                  politico: "I seggi del giudizio, i seggi della casa di
                  Davide", casa a cui fu promessa la perpetuità. Dunque un
                  centro religioso e un centro politico-amministrativo a cui si
                  guarda con fiducia per i beni che ci attendono dalla
                  responsabilità politica che ricade su Gerusalemme.
 
 A questo punto segue la preghiera che può essere pensata a
                  due cori, partendo dal v. 6: "Domandate pace per
                  Gerusalemme". Anzi, colui che ha espresso la sua gioia,
                  magari il capo- pellegrinaggio, rivolge un invito ai compagni
                  pellegrini: "Do- mandate...". E all'invito risponde
                  il coro: "sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle
                  tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi" (v. 7). Il capo,
                  allora, riprende da solo: "Per i miei fratelli e i miei
                  amici io dirò: 'Su di te sia pace!'. Per la casa del Signore
                  nostro Dio, chiederò per te il bene" (w. 8-9). Qui
                  ritorna l'appellazione a Gerusalemme con il "tu",
                  come a una persona amica che si incontra e cui si augura il
                  bene, la pace.
 
 Dunque, due cori, nel senso di un solista e di un gruppo.
 
 Sul tempo in cui il salmo è stato scritto ho già accennato
                  un'ipotesi: il tempo dopo l'esilio, quando il tempio è
                  ricostruito e il popolo va in pellegrinaggio alla città
                  santa, l'unico simbolo rimasto dell'unità di Israele.
 "Meditatio"del
                  Salmo 122     
 Per rileggere il messaggio, sono possibili diverse piste,
                  diverse linee. Ne ho scelte tre: una lettura
                  storico-esistenziale (messianica); una lettura più
                  specificamente cristiana; e una terza personale, che riguarda
                  ciascuno di noi.
 
 Gli elementi di una lettura storico-esistenziale sono i grandi
                  simboli del cammino umano contenuti nel salmo, che ne fanno
                  una realtà di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le
                  culture.
 
 Due sono i principali. n primo è il pellegrinaggio,
                  menzionato non quale tema specifico, bensì nel suo decidersi,
                  nel suo compiersi. È un grande simbolo del cammino umano,
                  della vita dell'uomo e dell'umanità, della vita di tutti gli
                  uomini e di tutte le donne considerati come collettività. n
                  simbolo avverte: se la vita umana è colta come
                  pellegrinaggio, allora essa non è un vagare senza scopo e
                  neppure una fuga dal paradiso, priva di speranza; al
                  contrario, è un camminare verso un termine. Questa è già
                  un'apertura straordinaria per accogliere l'esistenza umana
                  come una realtà che ha un senso preciso. E quando abbiamo
                  riconosciuto che tale cammino ha un senso e una meta, scoppia
                  la gioia: "Quale gioia...".
 
 Gerusalemme è l'altro simbolo, la meta stessa del cammino. Un
                  simbolo universale perché si tratta di una città, di un
                  luogo di incontro, un luogo di relazioni molteplici, dove i
                  diversi si ritrovano. Quindi l'umanità non va verso una
                  dispersione, una Babele confusa, ma verso un luogo nel quale
                  tutti si incontreranno, si capiranno, intesseranno rapporti
                  reciproci.
 
 Questa città è salda, non delude. n tema della saldezza è
                  il più ripreso dal Nuovo Testamento, che non cita
                  esplicitamente il Salmo 122 però ne riprende il contenuto:
                  andiamo verso una città salda, solida, ben costruita,
                  compatta, dove tutto è unità. Questo è il termine del
                  cammino umano. Ed è anche il luogo d'incontro armonioso e
                  aperto con Dio, dove Dio è lodato e dove c'è ordine perché
                  la legge è fatta osservare, dove c'è il trono di giustizia e
                  ci sono i seggi del giudizio. L'umanità va verso un luogo
                  dove la giustizia, quella di Dio, non la nostra, trionfa.
                  Dove, soprattutto, l'umanità spera di vivere l'ideale della
                  pace e della sicurezza: "Domandate pace per Gerusalemme,
                  su di te sia pace e tranquillità nelle tue mura, sicurezza
                  nelle tue case".
 
 L'umanità è così definita come colei che anela a una tale
                  città, che va verso di essa e trova speranza nella fiducia di
                  camminare e di essere condotta alla meta. Una visione quindi
                  molto positiva, anzi propositiva perché ne derivano molte
                  conseguenze per il modo di camminare dei popoli.
 
 Da questa visione nasce pure una certa pazienza storica: a noi
                  spetta di porre le premesse affinché si vada sempre meglio
                  verso la città armoniosa, unita, capace di lodare l'Eterno,
                  di vivere l'ordine della giustizia.
 
 Una lettura cristiana ci fa subito pensare a Gesù che ha
                  vissuto profondamente la gioia del Salmo 122. Già a dodici
                  anni aveva esclamato: quale gioia ho provato ascoltando i miei
                  genitori che mi dicevano: andiamo alla dimora del Signore! E
                  probabilmente l'ha cantato alle porte di Gerusalemme quella
                  prima volta e poi ogni volta, fino all'ultimo pellegrinaggio
                  nel quale si avviava piangendo verso la città santa:
                  "Oh, se tu riconoscessi ciò che giova alla tua
                  pace!". Anzi, nel testo greco il salmo usa l'espressione erofesafe
                  de fa eis eirenen (v. 6) ripresa dal Nuovo Testamento: se
                  tu riconoscessi le cose che riguardano la pace di Gerusalemme.
 
 Dunque Gesù ha cantato questo salmo nella gioia e nella
                  sofferenza sapendo che la sua sofferenza era parte del cammino
                  di Gerusalemme e dell'umanità verso la pace.
 
 Partendo dalla lettura che ne ha fatto Gesù, ci domandiamo se
                  il Salmo 122 risuona anche negli scritti apostolici
                  neotestamentari. Non mi sono venute alla mente citazioni
                  specifiche, tuttavia il tema della città salda è molto
                  presente.
 
 Ef 2, 19-20, 22: "Voi non siete più stranieri ne ospiti,
                  ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati
                  sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti [...] In Gesù
                  ogni costruzione cresce bene ordinata per essere tempio santo
                  del signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite
                  edificati per diventare dimora di Dio".
 
 Questo tema è penetrato fortemente nello spirito di Paolo,
                  che ne fa un simbolo interpretativo della crescita della
                  comunità cristiana, che è la realtà che viene edificata
                  come la città del salmo.
 
 L'aspetto di pellegrinaggio verso tale città è però
                  presente in particolare in Eb 11 e in Eb 12: Abramo ha potuto
                  partire e lasciare tutto in quanto "aspettava la città
                  dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio
                  stesso" (11, 10); "Chi dice così, dimostra di
                  essere alla ricerca di una patria" (11, 14), pellegrino
                  sulla terra; "Se avessero pensato a quella da cui erano
                  usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece
                  essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per
                  questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato
                  infatti per loro una città" (11, 15-16).
 E ancora:
                  "Vi siete accostati alla città del Dio vivente, alla
                  Gerusalemme celeste" (12, 22), ecco la menzione diretta.
                  Alla città che fa parte delle cose incrollabili:
                  "Rimangono le cose che sono incrollabili. Perciò
                  riceviamo in eredità un regno incrollabile" (12, 27-28). 
 Riassumendo il messaggio del salmo: l'uomo è in cammino,
                  pellegrino verso una città salda, compatta, nella quale Dio
                  è lodato, nella quale è la pienezza della pace, una città
                  che non delude e per cui vale la pena abbandonare le altre
                  città.
 
 Nella spiritualità del Nuovo Testamento è penetrato inoltre
                  il pensiero delle moltitudini, di tutte le tribù della terra.
                  Le moltitudini salgono ora verso tale città, e tutte sono
                  chiamate "moltitudini del Signore".
 
 Così, la lettura cristiana diventa lettura ecclesiale; la
                  chiesa non è la meta, la grande città, ma è un popolo in
                  marcia verso quella città.
 
 Se Israele testimonia "là" la tua gloria, Signore,
                  se "là" ha sede il trono di giustizia, i nostri
                  interessi sono veramente là? È il "là" di questa
                  città verso cui camminiamo il nostro criterio di giudizio
                  storico? Perché, se è così, allora tutte le altre realtà
                  sono relative, tutti gli eventi (storici, sociali, politici,
                  culturali, ecclesiali) vanno valutati tanto quanto rispondono
                  a un cammino verso la città compatta, pacifica, giusta,
                  oppure rallentano o fanno deviare il cammino.
 
 Quindi il cristiano, interrogato sulle sue speranze, dovrebbe
                  rispondere spontaneamente: le mie speranze sono la Gerusalemme
                  celeste, sono là le mie speranze. È il "là" della
                  pienezza dell'azione di Dio nel suo popolo, nell'umanità.
 
 La lettura più personale del salmo dà spazio a tante
                  riflessioni.
 
 Pensiamo ai pellegrinaggi che ciascuno di noi ha fatto a
                  Gerusalemme e nei quali probabilmente ha cantato, evocato,
                  recitato il Salmo 122 allorché ha visto le mura della città.
                  Nella preghiera potremmo ringraziare il Signore per le
                  esperienze che ci ha donato nei nostri pellegrinaggi, per
                  quanto ci ha fatto capire su Gerusalemme. Ogni volta che ne
                  rivediamo le mura, proviamo una fortissima emozione. E se non
                  siamo mai stati a Gerusalemme, come immaginiamo il
                  pellegrinaggio verso la città santa, come lo viviamo nella
                  preghiera?
 
 "Andiamo con gioia!" è parola che esprime la
                  tensione verso il pellegrinaggio, equivale a dire: sapevo che
                  sarebbe venuto questo momento e penso a ciò che da sempre ho
                  desiderato.
 
 Conclusione
   
 
 
                    
                      | In quale modo la Gerusalemme di oggi partecipa, nel suo
                  destino doloroso e tragico, alle benedizioni di Dio, alla
                  promessa di pace?    Partecipa anzitutto attraverso la nostra instancabile
                  preghiera per la sua pace, le nostre preghiere per la città
                  reale e simbolica che conosciamo, di cui tocchiamo le mura:
                  Sia pace sulle tue mura!
 |  |  
                  Ci domandiamo se e come operiamo per la pace di Gerusalemme,
                  la cui pace è simbolo, segno, radice e causa della pace di
                  tante altre città. 
 Il Salmo 122 ci impegna dunque a pregare e a operare per la
                  pace nella giustizia.
 
 
 |