Riflessioni sull'Alleanza e la Missione

Consultazione del Consiglio nazionale delle sinagoghe e del 
Comitato Episcopale degli affari ecumenici ed interreligiosi
12 agosto 2002

Non si tratta di un testo unico, ma di un documento composto di due parti, una cattolica e una ebraica, il cui scopo dichiarato è quello di «incoraggiare una seria riflessione sui temi dell'alleanza e della missione da parte di ebrei e cattolici negli Stati Uniti». Come a dire, sulla ragion d'essere delle due comunità di fede e sulle loro relazioni più profonde.

Washington, 13 agosto 2002                          torna su

I dirigenti delle comunità ebraica e cattolica romana negli Stati Uniti che, da più di venti anni, si incontrano due volte l'anno per discutere tematiche riguardanti i rapporti cattolico-ebraici, pubblicano un documento dal titolo Riflessioni sull'Alleanza e la Missione

Menzionando il crescente rispetto per la tradizione ebraica sviluppatosi dopo il Concilio Vaticano II e l'approfondimento dell'apprezzamento cattolico dell'eterna alleanza tra Dio ed il popolo ebraico, la parte cattolica delle Riflessioni dice che le campagne di conversione al cristianesimo nei confronti degli ebrei non sono più teologicamente accettabili nella Chiesa cattolica.  Questa riflessione comune segna un significativo progresso nel dialogo tra la Chiesa cattolica e la comunità ebraica in questo paese, ha detto il cardinale William Keeler, moderatore dei Vescovi degli Stati Uniti per i rapporti cattolico-ebraici. Si può vedere qui, forse più chiaramente come non mai prima, una essenziale convergenza, insieme a differenze parimenti significative, tra le comprensioni cristiana ed ebraica della chiamata di Dio ai nostri due popoli per testimoniare al mondo in armonia il Nome del Dio Unico. Ciò fa eco alle parole di Giovanni Paolo II, che prega affinché, sia in quanto cristiani che in quanto ebrei, possiamo essere una benedizione l'uno per l'altro, per essere insieme una benedizione per il mondo. (Papa Giovanni Paolo II, in occasione del 50° anniversario dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, 6 aprile 1993)

Il rabbino Gilbert Rosenthal, direttore esecutivo del Consiglio nazionale delle Sinagoghe, ha detto: il comunicato comune cattolico-ebraico sulla missione è una nuova tappa che volta una nuova pagina nel rapporto spesso burrascoso tra il popolo ebraico e la Chiesa cattolica romana. I due gruppi di fede credono che non dovremmo fare dell'altro l'oggetto della missione per salvare le anime attraverso la conversione. Al contrario : noi crediamo che i due  gruppi di fede sono graditi a Dio e pieni della Sua grazia. Il comunicato comune sulla missione ha chiaramente espresso un nuovo inizio, per la guarigione di un mondo malato e la necessità imperiosa di riparare i danni che noi umani abbiamo arrecato alle creazioni di Dio. Noi ci riteniamo collaboratori nel portare benedizioni a tutta l'umanità perché questa è la volontà di Dio.

I partecipanti alla consultazione permanente sono delegati del Comitato episcopale per gli affari ecumenici ed inter-religiosi (BCEIA = Bishops Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs) ed il consiglio nazionale delle sinagoghe (NCS = National Council of Synagogues). Il NCS rappresenta la Conferenza centrale dei rabbini americani, l'assemblea rabbinica dell'ebraismo conservatore, l'unione delle congregazioni ebraiche americane, e la Sinagoga unita dell'ebraismo conservatore. La consultazione è co-presieduta dal card Keeler, dal rabbino Joel Zaiman dell'Assemblea rabbinica dell'ebraismo conservatore e dal rabbino Michel Signer dell'unione delle congregazioni ebraiche americane.

Le Riflessioni sono il prodotto di una sessione della consultazione BCEIA-NCS tenuta a New York lo scorso mese di marzo. I partecipanti hanno esaminato in che modo le tradizioni ebraica e cattolica romana attualmente comprendano i temi 'alleanza' e 'missione'. Ciascuna delegazione ha predisposto riflessioni sullo stato attuale della questione nella propria comunità. La consultazione ha deciso di pubblicare le sue considerazioni per incoraggiare una seria riflessione su questi temi da parte di ebrei e cattolici in tutti gli Stati Uniti. Nel documento le riflessioni cattoliche romane ed  ebraiche  sono presentate separatamente.

Le riflessioni cattoliche romane descrivono il crescente rispetto per la tradizione ebraica sviluppatosi dopo il Concilio Vaticano II. Si sostiene che l'approfondimento dell'apprezzamento cattolico dell'eterna alleanza tra Dio ed il popolo ebraico, insieme al riconoscimento della missione assegnata da Dio agli ebrei di testimoniare il Suo amore fedele, portano alla conclusione che eventuali campagne mirate a convertire al cristianesimo gli ebrei non sono più teologicamente accettabili nella Chiesa cattolica.

Le riflessioni ebraiche descrivono la missione degli ebrei e la perfezione del mondo. Tale missione appare sotto tre aspetti. Innanzitutto, ci sono i precetti che risultano dall'elezione amorosa del popolo ebraico nell'alleanza con Dio. Inoltre,  c'è la missione di testimoniare la potenza redentrice di Dio nel mondo. Infine, il popolo ebraico ha una missione che riguarda tutti gli esseri umani. Le riflessioni ebraiche concludono con lo spingere ebrei e cristiani ad articolare un'azione comune per guarire il mondo.

La consultazione NCS-BCIA ha espresso preoccupazione nei riguardi dell'ignoranza e delle caricature continue dell'altro che prevalgono ancora in numerosi ambiti delle comunità cattolica ed ebraica, ed ha riaffermato il suo impegno nell'approfondire il dialogo e nel promuovere l'amicizia tra le due comunità negli Stati Uniti.

Frutto dei Dialoghi precedenti sono comunicati pubblici su soggetti come i minori, l'ambiente e gli atti di odio religioso.

Di seguito, il testo integrale del documento

 

Riflessioni sull'Alleanza e la Missione

Prefazione                                       torna su

Durante più di vent'anni, dirigenti delle comunità ebraica e cattolica romana degli Stati Uniti si sono riuniti due volte l'anno per discutere un largo ventaglio di soggetti riguardanti i rapporti cattolico-ebraici. Attualmente i partecipanti di queste consultazioni permanenti sono delegati del Comitato episcopale per gli affari ecumenici e in interreligiosi (BCEIA = Bishops Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs) ed il Consiglio nazionale delle sinagoghe (NCS = National Council of Synagogues). Il NCS rappresenta la Conferenza centrale dei rabbini americani, l'assemblea rabbinica dell'ebraismo conservatore, l'Unione delle congregazioni ebraiche americane, e la Sinagoga unita dell'ebraismo conservatore. La consultazione è co-presieduta dal card Keeler, dal rabbino Joel Zaiman dell'Assemblea rabbinica dell'ebraismo conservatore e dal rabbino Michel Signer dell'unione delle congregazioni ebraiche americane. Frutto dei Dialoghi precedenti sono comunicati pubblici su soggetti come i minori, l'ambiente e gli atti di odio religioso.

Nel corso della sessione tenutasi a New York il 13 marzo 2002, la consultazione BCEIA-NCS ha esaminato le tradizioni ebraica e cattolica romana attualmente comprendano i termini 'alleanza' e 'missione'. Ciascuna delegazione ha preparato riflessioni attuali della questione all'interno della reciproca comunità. La Consultazione ha deciso di pubblicare le sue considerazioni per incoraggiare una seria riflessione intorno a questi temi da parte di ebrei e cattolici in tutti gli Stati Uniti. Trascorso un certo periodo per meglio calibrare le formulazioni iniziali, le distinte riflessioni cattoliche romane ed ebree sui temi 'Alleanza ' e 'Missione' sono qui presentati.

Le riflessioni cattoliche romane descrivono il crescente rispetto per la tradizione ebraica sviluppatosi dopo il Concilio Vaticano II. Un approfondimento dell'apprezzamento cattolico dell'eterna alleanza tra Dio ed il popolo ebraico, insieme alla riconoscimento della missione affidata da Dio agli ebrei di testimoniare il Suo amore fedele, conducono alla conclusione che campagne mirate alla conversione degli ebrei al cristianesimo non sono più teologicamente accettabili nella Chiesa cattolica.

Le riflessioni ebraiche descrivono la missione degli ebrei e la perfezione del mondo. Questa missione sembra presentare tre aspetti. Ci sono innanzitutto gli obblighi risultanti dall'elezione piena d'amore del popolo ebraico nell'alleanza con Dio. Inoltre, c'è la missione di testimoniare nel mondo la potenza redentrice di Dio. Infine, il popolo ebraico ha una missione che si rivolge a tutti gli esseri umani. Le riflessioni ebraiche concludono invitando ebrei e cristiani all'articolazione di un'azione comune per guarire il mondo.

La consultazione NCS-BCEIA ha espresso la sua preoccupazione nei confronti delle continue caricature dell'altro che ancora persistono in numerosi segmenti delle comunità cattoliche ed ebraiche. La Consultazione spera che queste riflessioni saranno lette e discusse come parte di un processo continuo e mutua crescente comprensione.

La consultazione NCS-BCEIA riafferma il suo impegno ad approfondire il nostro dialogo ed a promuovere l'amicizia tra le comunità ebraica e cattolica negli Stati Uniti.

 

RIFLESSIONI CATTOLICHE ROMANE                          torna su

Introduzione

I doni fatti alla Chiesa dallo Spirito Santo attraverso la dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II continuano a dispiegarsi. I decenni trascorsi dalla sua proclamazione nel 1965 sono stati testimoni di un costante avvicinamento  tra Chiesa cattolica romana e popolo ebraico. Nonostante controversie e malintesi continuino a prodursi, c'è stato tuttavia un progressivo approfondimento della reciproca comprensione e della comunione d'intenti.

Nostra Aetate ha ispirato anche una serie di istruzioni del Magistero, che comprendono tre documenti predisposti dalla Pontificia Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei: Orientamenti e Suggerimenti per l'applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1974); Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica (1985); e Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah (1998). Il Papa Giovanni Paolo II ha pronunciato numerosi discorsi e si è impegnato in molti importanti atti che hanno favorito l'amicizia tra cattolici ed ebrei. Numerose dichiarazioni riguardanti i rapporti cattolico-ebraici sono state anche redatte da conferenze nazionali di vescovi cattolici nel mondo. Negli Stati Uniti, la conferenza dei vescovi cattolici e i suoi comitati hanno pubblicato numerosi documenti al riguardo, comprese: Direttive per i rapporti cattolico-ebraici (1967, 1985); Criteri per la valutazione della drammatiche rappresentazioni della Passione (1988); e più recentemente Insegnamento cattolico sulla Shoah: attuazione del "Noi ricordiamo" della Santa Sede (2001).

Un esame di questi comunicati cattolici degli ultimi decenni mostra che essi hanno progressivamente preso in considerazione sempre maggiori aspetti della complessa relazione tra ebrei e cattolici, insieme al loro impatto sulla pratica della fede cattolica. Questo lavoro ispirato da Nostra Aetate ha implicato un dialogo interreligioso, la collaborazione in iniziative educative ed una ricerca teologica e storica comune tra cattolici ed ebrei. Ciò continuerà in questo nuovo secolo. 

Allo stato attuale di questo processo di rinnovamento, sono venuti in primo piano i temi 'alleanza' e 'missione'. Nostra Aetate ha dato il via a questa riflessione citando Romani 11 :28-29 e descrivendo il popolo ebraico come «molto caro a Dio a causa dei patriarchi, perché Dio non ripudia il dono accordato o la scelta che ha fatto». Giovanni Paolo II ha insegnato esplicitamente che gli ebrei sono «il popolo di Dio dell'Antica Alleanza, mai revocata da Dio», «il popolo contemporaneo dell'Alleanza conclusa con Mosè», e «collaboratori in un'Alleanza d'amore eterno mai revocata»

Dopo Nostra Aetate, il riconoscimento del persistere della relazione d'alleanza del popolo ebraico con Dio ha portato un nuovo sguardo positivo sulla tradizione ebraica post-biblica o rabbinica, senza precedenti nella storia cristiana. Gli Orientamenti del Vaticano del 1974 insistettero sul fatto che i cristiani «devono sforzarsi di apprendere attraverso quali tratti essenziali gli Ebrei si definiscano alla luce della propria esperienza religiosa»Le Note del Vaticano del 1985 fecero l'elogio dell'ebraismo post-biblico per aver offerto «al mondo intero una testimonianza - spesso eroica - della sua fedeltà al Dio unico e 'di esaltarlo di fronte a tutti i viventi' (Tobia 13,4)». Le note proseguirono citando Giovanni Paolo II che raccomandava ai cristiani di ricordarsi «quanto questa permanenza d'Israele sia accompagnata da una perenne creatività spirituale, nel periodo rabbinico, nel Medio Evo e nel periodo moderno, a partire da un patrimonio che ci fu per molto tempo comune »,così bene che «la fede e la vita religiosa del popolo ebraico tali quali sono professati e vissuti ancor oggi (possono) aiutare a meglio comprendere certi aspetti della vita ella Chiesa» (Giovanni Paolo II, 6 marzo 1982). Questo tema è stato ripreso nelle dichiarazioni dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, come «La misericordia di Dio dura per sempre», che consigliava ai predicatori «di sentirsi liberi di utilizzare le sorgenti ebraiche (rabbiniche e moderne) per esporre il senso delle Scritture ebraiche e degli scritti apostolici»   

La "fecondità spirituale" dell'ebraismo post-biblico continuò in paesi in cui gli ebrei costituivano una sparuta minoranza. Ciò fu vero nell'Europa cristiana anche se, come ha notato il cardinal Idris Cassidy, «a partire dall'epoca dell'imperatore Costantino, gli ebrei furono isolati e vittime di discriminazioni nel mondo cristiano. Ci furono espulsioni e conversioni forzate. La letteratura diffuse stereotipi e la predicazione accusò gli ebrei di ogni epoca di deicidio». Questo compendio storico accentua l'importanza dell'insegnamento delle Note del Vaticano del 1985 secondo le quali «Il perdurare di Israele (mentre tanti antichi popoli sono sparsi senza lasciare tracce) è un fatto storico ed un segno da interpretare nel piano di Dio»

La conoscenza della storia della vita degli ebrei nella cristianità fa anche rileggere testi biblici come Atti 5, 33-39 con uno sguardo nuovo. in questo passaggio, il fariseo Gamaliele dichiara che solo le imprese di origine divina possono perdurare. Se questo principio neo-testamentario è considerato oggi dai cristiani valido per il cristianesimo, allora deve essere considerato tale anche per l'ebraismo post-biblico. L'ebraismo rabbinico, che si è sviluppato dopo la distruzione del Tempio, deve pure essere «di Dio»

Oltre a queste considerazioni teologiche e storiche, nei decenni successivi alla Nostra Aetate, molti cattolici hanno ricevuto come una benedizione l'opportunità di fare esperienza  personale della ricca vita religiosa e dei doni divini di santità dell'ebraismo. 

La missione della Chiesa: l'Evangelizzazione                  torna su

Tali riflessioni ed esperienze sulla vita di alleanza eterna del popolo ebraico con Dio suscitano domande sul dovere cristiano di testimoniare i doni di salvezza che la Chiesa riceve dalla sua «nuova alleanza» in Gesù Cristo. Il Concilio Vaticano II così riassumeva la missione della Chiesa:

Che essa aiuti il mondo o che  da esso riceva, la chiesa tende verso un unico scopo: che venga il Regno di Dio e che si realizzi la salvezza del genere umano. D'altronde, tutto il bene che il Popolo di Dio può procurare alla famiglia umana, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, procede dalla realtà che la Chiesa é "il sacramento universale della salvezza", che manifesta e allo stesso tempo attualizza  il mistero dell'amore di Dio per l'uomo.

Questa missione della Chiesa può riassumersi in una parola: evangelizzazione. Papa Paolo VI ha dato la definizione classica: "Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli ambiti dell'umanità e, attraverso il suo impatto, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa". L'evangelizzazione rimanda ad una realtà complessa che talvolta è mal compresa, ridotta alla sola ricerca di nuovi candidati al battesimo. Essa è la continuazione della Missione di Gesù Cristo attraverso la Chiesa. Come ha spiegato Papa Giovanni Paolo II,

Il regno riguarda le persone umane, la società, il mondo intero. Lavorare per il Regno significa riconoscere e favorire il dinamismo divino che è presente nella storia umana e la trasforma. Costruire il Regno significa lavorare per la liberazione dal male in tutte le sue forme. In una parola, il Regno di Dio è la manifestazione è la realizzazione in tutta la sua pienezza del disegno della salvezza.

Bisognerebbe sottolineare che l'evangelizzazione, l'opera della Chiesa per il regno di Dio, non può essere separata dalla sua fede in Gesù Cristo, nel quale i cristiani trovano il Regno presente e compiuto. L'evangelizzazione comprende le attività di presenza e di testimonianza della Chiesa; l'impegno in favore dello sviluppo sociale e della liberazione dell'uomo; il culto cristiano, la preghiera e la contemplazione; il dialogo interreligioso; e la proclamazione e la catechesi.

Quest'ultima attività di proclamazione e di catechesi - «l'invito ad un impegno di fede in Gesù Cristo e ad entrare attraverso il battesimo nella comunità dei credenti che è la Chiesa» - è a volte considerata sinonimo di «evangelizzazione». Tuttavia, si tratta di un'interpretazione molto restrittiva e non è in effetti che uno dei numerosi aspetti della «missione evangelizzatrice» della Chiesa al servizio del regno di Dio. I cattolici che partecipano al dialogo interreligioso, condividono doni reciprocamente arricchenti senza alcuna intenzione di invitare l'interlocutore la battesimo, essi non testimoniano nulla di meno  che la propria fede nel regno di Dio incarnato in Cristo. È una forma di evangelizzazione, una modalità d'impegno nella missione della Chiesa.

L'evangelizzazione e il popolo ebraico

Il cristianesimo ha una relazione totalmente unica con l'ebraismo, poiché? "le nostre due comunità religiose sono legate e strettamente apparentate a livello delle loro rispettive identità religiose".

La storia della salvezza chiarifica il nostro rapporto speciale con il popolo ebraico. Gesù appartiene al popolo ebreo, egli ha fondato la sua Chiesa all'interno della nazione ebraica. Una gran parte delle Sacre Scritture, che noi cristiani leggiamo come Parola di Dio, costituisce un patrimonio spirituale che condividiamo con gli Ebrei. Conseguentemente, ogni atteggiamento negativo nei loro confronti deve essere evitato, poiché «per essere una benedizione per il mondo, ebrei e cristiani devono innanzitutto essere una benedizione gli uni per gli altri»

Seguendo le orme della dichiarazione Nostra Aetate, si è determinato un apprezzamento cattolico sempre più profondo su numerosi aspetti del nostro legame spirituale unico con gli Ebrei. Specificamente, la Chiesa cattolica è pervenuta a riconoscere che la sua missione di preparare la venuta del regno di Dio è condivisa col popolo ebraico, anche se gli ebrei non hanno la stessa concezione cristologica rispetto a quella della Chiesa. Le Note del Vaticano (1985) osservavano:

Attenti allo stesso Dio che ha parlato, fondati sulla stessa parola, dobbiamo rendere testimonianza di una stessa memoria e di una comune speranza in Colui che è il maestro della storia. Bisognerebbe anche che ci assumessimo la nostra responsabilità di preparare il mondo alla venuta del Messia operando insieme per la giustizia sociale, il rispetto dei diritti della persona umana e delle nazioni per la riconciliazione sociale e internazionale. A questo noi siamo spinti. Ebrei e Cristiani, dal precetto dell'amore del prossimo, da una speranza comune del regno di Dio e dalla grande eredità dei Profeti.

Se dunque la Chiesa condivide un compito centrale e determinante con il,popolo ebraico, quali sono le implicazioni per la proclamazione cristiana della Buona Novella di Gesù Cristo? I Cristiani dovrebbero invitare gli Ebrei al battesimo? È una questione complessa, non soltanto in termini di auto-definizione teologica cristiana, ma anche a causa della storia dei battesimi forzati di Ebrei da parte dei Cristiani.

In un studio rimarchevole e sempre molto pertinente presentato nel corso del sesto incontro del Comitato di raccordo internazionale cattolico-ebraico, venticinque anni fa, a Venezia, Il Prof. Tommaso Federici esaminava le implicazioni missiologiche di Nostra Aetate. Si basi storiche e teologiche, egli argomentava che non ci dovrebbe essere nella Chiesa alcuna organizzazione, di qualsivoglia tipo, dedicata alla conversione degli Ebrei. Tale è stata de facto la pratica della Chiesa cattolica negli anni successivi.

Più recentemente, il cardinale Walter Kasper, presidente della Pontificia Commissione per le relazioni religiose con gli Ebrei, spiegava questa pratica. In una formale dichiarazione, fatta nel maggio 2001, all'inizio del 17mo incontro del Comitato di raccordo internazionale cattolico-ebraico, e ripetuta più tardi, lo stesso anno, a Gerusalemme, il cardinale Kasper parlava di «missione» in senso stretto per significare l' «annuncio»,o l'invito al battesimo e la catechesi. Egli mostrava il motivo per cui tali iniziative in erano indirizzate appropriatamente agli Ebrei: 

Il senso proprio, il termine missione si riferisce alla conversione dai falsi dei ed idoli al Dio vero ed unico, che si è rivelato nella storia della salvezza con il suo popolo eletto. In senso stretto, il termine missione non può dunque essere utilizzato nei confronti degli Ebrei, che credono nel Dio unico e vero. Inoltre, e ciò è caratteristico, esiste un dialogo, ma alcuna organizzazione missionaria cattolica nei confronti degli Ebrei

Come abbiamo precedentemente affermato, il dialogo non è una semplice informazione oggettiva; il dialogo coinvolge la persona tutta intera. Nel dialogo gli Ebrei testimoniano dunque la loro fede, testimoniano ciò che li ha sostenuti nei periodi bui della loro storia e della loro vita, e i Cristiani rendono ragione della speranza che essi hanno in Gesù Cristo. Facendo ciò, essi sono ben lontani da ogni forma di proselitismo, ma possono imparare gli uni dagli altri e arricchirsi vicendevolmente. Noi tutti vogliamo condividere le nostre più profonde inquietudini con un mondo spesso disorientato che ha bisogno di simili testimonianze e le cerca.

Dal punto di vista della Chiesa cattolica, l'ebraismo è una religione che deriva dalla rivelazione divina. Come ha rilevato il cardinale Kasper, «la grazia di Dio, che secondo la nostra fede è la grazia di Gesù Cristo, è accessibile a tutti. Anche la Chiesa crede che l'ebraismo, cioè la risposta fedele del popolo ebraico all'irrevocabile alleanza di Dio, è per essi salvifica, in quanto Dio è fedele alle sue promesse»

Questa dichiarazione riguardo all'alleanza salvifica di Dio è estremamente pertinente all'ebraismo. Benché la Chiesa Cattolica rispetti tutte le tradizioni religiose, e possa, attraverso il dialogo con esse, discernere l'opera dello Spirito Santo, e benché noi crediamo che la grazia infinita di Dio è certamente accessibile ai credenti di altre fedi, la Chiesa può parlare con la certezza della testimonianza biblica soltanto dell'alleanza d'Israele. Ciò è dovuto al fatto che le scritture d'Israele costituiscono una parte del nostro canone biblico e che esse hanno un «valore eterno... che non è stato annullato dall'interpretazione ulteriore del Nuovo Testamento»

Secondo l'insegnamento cattolico romano, tanto la chiesa che il popolo ebraico si conformano ad un'alleanza con Dio. Noi abbiamo dunque tutti davanti a Dio missioni da intraprendere nel mondo. La chiesa crede che la missione del popolo ebraico non si limiti al suo ruolo come popolo dal quale Gesù è nato « secondo la carne » (Rom 9 :5) e dal quale sono venuti gli apostoli. Come ha recentemente scritto il cardinale Kasper, « la provvidenza di Dio... ha manifestamente affidato ad Israele una particolare missione in questo "tempo dei pagani" ». Ma solo il popolo ebraico può articolare la sua missione «alla luce della sua propria esperienza religiosa ».

Inoltre la Chiesa riconosce che la missione ad gentes (alle nazioni) del popolo ebraico continua. È una missione che anche la Chiesa persegue alla sua maniera secondo la sua comprensione dell'alleanza. I comandamenti di Gesù risuscitato in Matteo 28,19 di fare  discepoli « di tutte le nazioni » (in greco = ethnê, il corrispondente dell'ebreo goyim ; cioè le nazioni altre da Israele) significa che la chiesa deve testimoniare nel mondo la Buona Novella di cristo per preparare il mondo alla pienezza del regno di dio. Tuttavia questo compito di evangelizzazione non include più la volontà di assorbire nel cristianesimo la fede ebraica e di mettere così fine alla specifica testimonianza che gli ebrei rendono a Dio nella storia umana.

Così, la Chiesa cattolica, nel considerare l'azione di salvezza del Cristo il cuore del processo della salvezza umana per tutti, riconosce che gli ebrei già sono collocati in una alleanza salvifica con Dio. La Chiesa cattolica deve sempre evangelizzare e sempre renderà testimonianza della sua fede nella presenza del regno di Dio in Gesù Cristo davanti agli ebrei ed a tutti gli altri popoli. Facendo questo, la Chiesa cattolica rispetta pienamente i principi di libertà di religione e di coscienza, in modo che le conversioni individuali autentiche, da ogni tradizione e da ogni popolo, compreso quello ebraico, saranno benvenute ed accettate.

Ma ora essa riconosce che anche gli ebrei sono chiamati da Dio a preparare il mondo al Suo Regno. La loro testimonianza del regno, che non trae la sua origine dall'esperienza che la Chiesa ha del Cristo crocifisso e risorto, non deve essere interrotta dalla ricerca della conversione del popolo ebraico al cristianesimo. La testimonianza specifica ebrea deve rimanere invariata se i cattolici e gli ebrei sono chiamati a « servire Dio senza timore, nella santità e nella rettitudine di ogni giorno davanti a Dio. » (Lc 1 :74-75).

Secondo le parole di Nostra Aetate, la Chiesa cattolica, insieme al popolo ebreo, « attende il giorno, conosciuto solo da Dio, in cui tutti i popoli invocheranno il Signore con una sola voce e "lo serviranno sotto lo stesso giogo" (Sofonia 3 :9 ; cf. Is 66 :23, Sal 65 :4 ; Rom 11 :11-32) ».

RIFLESSIONI EBRAICHE

La missione degli Ebrei e la perfezione del mondo         torna su

Nella ricerca senza posa di dare senso alla vita, le comunità, come pure gli individui, cercano di definire la loro missione nel mondo. Ciò vale certamente anche per gli ebrei.

La missione degli ebrei fa parte di una tripla missione radicata nella Scrittura e e sviluppata nelle fonti ebraiche posteriori. C'è innanzitutto la missione di alleanza: lo slancio che perennemente segna la vita ebraica che procede dall'alleanza tra Dio e gli ebrei. Poi, la missione di testimonianza, attraverso la quale gli ebrei si percepiscono (e spesso sono visti dagli altri) come gli eterni testimoni davanti a Dio della sua esistenza e della sua potenza redentrice nel mondo. Infine la missione di umanità, che comprende la storia biblica degli ebrei come portatrice di un messaggio destinato non soltanto agli ebrei, Essa presuppone un messaggio ed una missione destinati a tutti gli esseri umani.

La missione d’alleanza

Gli ebrei sono la progenie di Abramo, Isacco e Giacobbe, l'incarnazione dell'alleanza di Dio con questi antenati.

Non soltanto Abramo intraprende un viaggio verso la terra di Canaan dopo essere stato chiamato da Dio, ma, quando all'età di 99 anni Dio gli apparve e gli disse:«Cammina alla mia presenza e sii perfetto. Io istituisco la mia alleanza tra me e te, e io di farò crescere senza misura». L'alleanza viene definita come «eterna... perché Dio è tuo e di colui della tua discendenza». L'alleanza implica la Terra di Canaan che è un possesso perpetuo. Esiste un simbolo fisico dell'alleanza: la circoncisione di tutti i maschi l'ottavo giorno della loro vita.

L'alleanza è contemporaneamente fisica e spirituale. Gli ebrei sono un popolo concreto. L'alleanza è una alleanza della carne. La terra è un luogo concreto. Ma esiste anche un'alleanza dello spirito perché essa è legata al «cammino alla Sua presenza».

Gli ebrei sono un popolo chiamato all'esistenza da Dio per una scelta d'amore. Per quale ragione Dio farebbe una tal cosa? La Torah ci racconta la storia di un Dio unico che, così differente dal Dio di Aristotele, non si contenta di contemplare se stesso. Si tratta di un grande mistero, ma Dio, che oltrepassa ogni nostra capacità di comprensione, ha voluto far entrare nell'esistenza un mondo. Egli ha dato alle sue creature un solo comandamento, di non mangiare un certo frutto del Giardino di Eden. Ed esse cosa fanno? Mangiano questo frutto.

E così Dio, che aveva deciso di partecipare il suo essere ineffabile, fu rifiutato. Non fu necessario attendere molto perché la terra divenisse corrotta davanti a Dio. Allora egli ricominciò, distruggendo la creazione, riunendo le acque primordiali e non lasciando sussistere che Noè e la sua famiglia. Ma ciò non è affatto duraturo, perché non appena Noè è uscito dall'Arca si ubriaca e si denuda. Nuovo fallimento - finché la Torah inizia il racconto che segna, che è il cuore della saga biblica: il racconto di Abramo e della sua discendenza, gli ebrei. 

L'alleanza non è una semplice promessa o una generica esortazione alla perfezione. Quando il polo d'Israele è divenuto una comunità enorme ed ha sofferto sotto la schiavitù del Faraone, il popolo è riscattato dall'Egitto attraverso miracoli straordinari. Essi vengono al Sinai e l'Alleanza riceve il suo contenuto: le leggi e statuti sono dati là e poi sotto la Tenda dell'Incontro.

Avete visto con i vostri occhi cosa ho fatto agli Egiziani , e come vi ho trasportato su ali d'aquila e portati verso di me. Ora, se ascoltate la mia voce e osservate la mia alleanza, vi considererò come un mio proprio bene in mezzo a tutti i popoli, perché tutta la terra mi appartiene. Farò di voi un regno di sacerdoti, una nazione santa.

Per gli ebrei non si tratta di lusinga divina, ma del fardello di un obbligo divino. Questa è quindi la definizione teologica degli ebrei: un popolo concreto chiamato a vivere in una relazione speciale con Dio. Questa relazione ha un contenuto specifico. Ci sono ricompense per la sua osservanza e punizioni per il suo abbandono.

Una simile visione degli Ebrei non corrisponde alle comuni definizioni sociologiche di un popolo, di una comunità o di una famiglia. È anche possibile che la maggior parte degli ebrei sia a disagio rispetto a questa sociologia teologica. Comunemente si preferisce presentare gli ebrei come un gruppo etnico o come una comunità religiosa non legata a un popolo. Ma non è questa la nozione degli ebrei nella Bibbia e nella letteratura ebraica successiva. Gli ebrei sono, per il meglio o per il peggio, per la ricchezza o per la povertà, collaboratori di Dio in una narrazione a volte burrascosa a volte idilliaca, in un matrimonio d'amore che lega insieme per sempre Dio e il popolo di Israele e da il senso più profondo possibile all'esistenza ebraica.

La pratica conseguenza di tutto ciò è che la prima missione degli ebrei è verso gli ebrei. Ciò comporta che la comunità ebraica è determinata a preservare la sua identità. Poiché questo non avviene da sé, ne deriva che gli ebrei parlano costantemente tra loro di forze istituzionali e della capacità della comunità di educare i suoi fanciulli. Ciò crea orrore del matrimonio misto. Ciò esprime la passione per lo studio della Torah. La posta in gioco nella comunità ebraica è alta e per non abbandonare Dio, la comunità ebraica dispiega una grande quantità di energie per vegliare su ciò a cui va incontro la comunità dell'alleanza.

La missione di testimonianza

Isaia parla di un ruolo che gli ebrei rivestono e che li oltrepassa. « Siete voi i miei testimoni, Oracolo del Signore, voi siete i i servi che io mi sono scelto »

Gli ebrei sono i Suoi testimoni, i quali testimoniano che c'è, nel mondo, un Dio che è Creatore, che Egli è unico e che gli idoli non hanno potere - « Sì, davanti a me ogni ginocchio si piegherà, per me giurerà ogni lingua » -, e che la potenza di Dio è una potenza redentrice, più forte di quanto gli esseri umani possano concepire

Come si manifesta la potenza di Dio? Nella vita delle nazioni, compresa la caduta e la ricostituzione della nazione d'Israele. È ben noto, attraverso la Torah ed i Libri Profetici, che la sofferenza di Israele è intesa come testimonianza dell'alleanza di Dio con Israele.

Ciò che non è compreso, in ogni caso non abbastanza, è che Dio vuole che le nazioni vedano la redenzione d'Israele e siano impressionate. C'è, per esempio ciò che Dio vuole che Faraone e gli Egiziani vedano. Apparentemente non basta accontentarsi di riscattare il popolo d'Israele dalla schiavitù. La redenzione è prevista per essere pubblica, piena di segni e di miracoli. Poiché essa deve insegnare alla grande nazione d'Egitto la potenza, la gloria e l'interesse del Dio d'Israele a riscattare gli schiavi.

È anche in questo senso che il profeta Isaia parla degli ebrei come della “luce delle nazioni”. « Io innalzo le tribù di Giacobbe e conduco i sopravvissuti d'Israele. Faccio di te la luce della nazioni per la mia salvezza arrivi alle estremità della terra. » Le nazioni guarderanno e vedranno la redenzione del popolo d'Israele e saranno sorprese. Esse apprenderanno anche, se non l'avessero fatto prima, che il Signore Dio d'Israele restituisce al Suo popolo la Sua terra.

Il messaggero di gioia dice a Sion: « Ogni vallata sia colmata, ogni montagna e ogni collina abbassata, che i luoghi accidentati si trasformino in pianura e i dirupi in ampia vallata ». Non si tratta di retorica a proposito di una manifestazione mistica qualunque di Dio che trasforma la natura. Si tratta di un'immagine vigorosa che parla della creazione di una grande strada straordinaria che deve ricondurre gli esiliati nei loro paesi...

Quando trascorriamo molto tempo a pensare ai nostri peccati, il messaggio di Dio non è la sofferenza. Il messaggio di Dio è il potere del pentimento e quello del Suo amore manifestato nella redenzione d'Israele. Così uno dei maggiori bisogni della teologia è quello di distaccarsi dal messaggio della sofferenza. Il grande messaggio di Dio è la potenza della redenzione. La grande speranza degli ebrei è la loro redenzione e la ricostruzione del loro Stato-nazione. La testimonianza da dare è quella di Dio che riscatta il suo popolo.

La missione di umanità

Il messaggio della Bibbia non è un messaggio ed una visione soltanto per gli Ebrei ma anche per tutta l'umanità. Isaia parla, a due riprese, degli ebrei come luce delle genti e abbiamo già fatto riferimento a questa citazione del capitolo 49. Cos'altro vuol dire quando parla degli ebrei come « popolo dell'alleanza e luce delle nazioni » ? Il commentatore medioevale David Kimhi, vede nella luce che avanza la luce che esce da Sion. Come il messaggio della Torah è pace, la luce che s'avanza è portatrice del messaggio di benedizione della pace che dovrà regnare nel mondo intero. La visione messianica è: « Egli annuncerà la pace alle nazioni. » Così, Isaia nota che in quei giorni « Egli giudicherà tra le nazioni, sarà giudice di numerosi popoli. Essi spezzeranno le loro spade per farne dei vomeri e le loro lance per farne delle falci. »

È un errore pensare, come Giona, che Dio non si occupa che degli ebrei. Quando l'ha invitato ad andare a Ninive, un grande città pagana, Giona rifiuta l'ordine di Dio di dire al popolo di Ninive di pentirsi. È con sofferenza che egli apprende che la parola di Dio è destinata anche agli abitanti di Ninive. Finalmente, egli ci va, e il popolo di Ninive proclama un digiuno. Piccoli e grandi si vestono di sacco, perfino il re. Essi non si contentarono di digiunare, poiché la Bibbia dice che « essi si distolsero dalla loro cattiva condotta ».

Mentre si poteva pensare che Giona sarebbe trasportato dal suo successo, egli è disperato - e probabilmente ci sono due ragioni per questo. All'inizio credeva che il peccato dovesse essere punito e che la misericordia di Dio non dovesse eliminare il castigo. Successivamente, chi era il popolo di Ninive? Che diritto esso aveva di aspettarsi l'intimo interesse di Dio ed il suo amore indulgente?

Giona lascia la città e si siede ad est, facendo una capanna (riparo di frasche) e sedendosi alla sua ombra. Ed il Signore fa crescere un ricino su di lui, per donare ombra alla sua testa. Giona era così felice! Finché all'alba dell'indomani, Dio fece sì che un verme attaccasse la pianta finché non si seccò. Poi, Dio fece alzare un leggero vento dell'est, e il sole si abbatte sulla testa di Giona fino a farlo venir meno. Ed egli voleva morire.

Allora Dio dice a Giona: «Hai ragione ad essere sdegnato per questo ricino? ... Tu ti dai pena per questo ricino, che non ti è costato alcun lavoro e che tu non hai fatto crescere, che è è spuntato in una notte e in una notte è perito. E io, non dovrei essere in pena per Ninive, la grande città, nella quale ci sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere tra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali? »

Il Dio della Bibbia è il Dio del mondo. Le sue visioni sono per tutta l'umanità. il suo amore è un amore che si estende a tutte le creature.

L'uomo sofferente delle Scritture, Giobbe, non è affatto presentato come un ebreo. C'è da meravigliarsi? La sofferenza umana non è appannaggio di alcun popolo in particolare. L'alleanza può può fare di questa questione, un fatto particolarmente inquietante per gli ebrei, ma ognuno di noi cerca di arrivare ad un accordo col problema del giusto che soffre. Giobbe è un essere umano universale. La chiamata che Dio gli rivolge dopo la tempesta, è la chiamata che Dio rivolge, nel mondo intero, ai giusti che cercano di comprendere il senso del loro destino.

Il Dio che ha amato Abramo - «E tu, Israele, mio servo, Giacobbe, che io ho scelto, stirpe di Abramo, mio amico » - ama tutti i popoli. Perché egli è il Creatore del mondo. Adamo ed Eva erano le Sue prime creature e sono stati creati molto prima dei primi ebrei. Sono stati creati a « immagine di Dio », come tutti i loro figli, per l'eternità. Solo la creatura umana è immagine di Dio.

Dio ha creato il mondo con olo essere originario, dice il Talmud, per insegnare che chiunque distrugge una sola anima, distrugge si può anche dire il mondo intero. Chiunque salva una sola anima, salva si può anche dire il mondo intero. Ciò insegna il concetto di pace nel mondo, di modo che nessuno dovrebbe dire: mio padre è più grande di tuo padre.

« Non siete forse per me come dei Kusciti figli d'Israele? - oracolo del Signore - Non ho forse fatto salire Israele dal paese d'Egitto, e i filistei da Kaphtor e gli Aramei da Ur ? » 

Quando Abramo solleva davanti a Dio la questione della giustizia divina e della pietà, egli prende la difesa degli abitanti di Sodoma, un gruppo malvagio. Abramo accorda la sua fiducia a Dio in ragione dell'agire giusto di Dio. L'innocente non dovrebbe soffrire. Ne risulta la sfida di alcuna relazione speciale che discende dall'alleanza di Dio con gli ebrei. La Bibbia considera piuttosto che esistono una giustizia ed una pietà divine che la portano nel mondo intero.

Quando Amos chiede «che il diritto scorra come l'acqua, e la giustizia, come un torrente che non inaridisce », è perché esiste un Dio del mondo intero che lo chiama alla giustizia. Quando Isaia chiede, in termini retorici, quel è il significato del giovane religioso, risponde che Dio auspica che gli esseri umani « spezzino le ingiuste catene, sciolgano i legami del giogo; rendano liberi gli oppressi, e spezzino ogni giogo ? [In cosa consiste il giovane, se non a] dividere il suo pane con l'affamato, ospitare nella sua casa i poveri senza riparo, se vedi un uomo nudo, vestirlo, non sottrarti a colui che è la tua propria carne? »

L'ebraismo considera che tutti i popoli sono tenuti a osservare una legge universale. Questa legge, chiamata i Sette Comandamenti di Noè, si applica ad ogni essere umano. Queste leggi sono: (1) stabilire corti di giustizia perché la legge governi la società, e la proibizione (2) sulla blasfemia, (3) sull'idolatria, (4) sull'incesto, (5) sullo spargimento del sangue, (6) sul furto e (7) sul magiare la carne di un animale vivo.

Malgrado il dato dell'alleanza, Maimonide e i successivi giudici affermano che « gli uomini pii di tutte le nazioni del mondo hanno un posto nel mondo a venire. »

Quindi, nell'ebraismo, il valore assoluto degli essere umani, la loro creazione a immagine di Dio, insieme alla preoccupazione originaria di Dio per la giustizia e la misericordia sono alla base di una comunità universale di creati, una comunità chiamata a rispondere all'amore di Dio amando gli altri esseri umani, realizzando strutture sociali che incentivano la pratica della giustizia e della pietà e impegnandosi senza posa nella ricerca religiosa della guarigione del mondo frantumato.

Una delle preghiere centrali dell'ebraismo così lo esprime : « Noi speriamo in te, Signore nostro Dio, per vedere presto la bellezza e la potenza, perché gli idoli scompaiano dalla terra e i falsi dei siano distrutti, per perfezionare il mondo e farne il Regno dell'Onnipotente, in cui ogni carne invocherà il tuo nome, in cui tutti i malvagi della terra saranno rivolti verso di te. »

Il taken olam b’malkhut Shaddai, per fare il mondo e farne il Regno dell'Onnipotente. Tikun ha-olam, perfezionare o riparare il mondo è un compito comune agli Ebrei e a tutta l'umanità. Benché gli ebrei si considerino viventi in un mondo non ancora riscattato, Dio vuole che le sue creature partecipino alla riparazione del mondo.

Cristiani ed Ebrei

Dopo l'esame della triplice nozione di “missione” nell'ebraismo classico, ci sono alcune conclusioni pratiche che ne derivano, che suggeriscono anche un programma d'azione comune per i cristiani e per gli ebrei.

Dovrebbe essere evidente che ogni missione dei cristiani diretta verso gli ebrei è in diretto contrasto con la nozione ebraica che l'alleanza è essa stessa missione. Nello stesso tempo, è importante sottolineare che nonostante l'alleanza le nazioni del mondo non hanno bisogno di abbracciare l'ebraismo. Finché vi sono verità teologiche come la fede nell'unicità di Dio e virtù sociali pratiche che conducono alla creazione di una società giusta, di cui tutta l'umanità possa usufruire, l'ebraismo non è indispensabile per riscattare l'individuo o la società. Gli uomini pii di tutte le nazioni del mondo hanno un posto in tutto il mondo a venire.

Tuttavia anche l'idea che il mondo abbia bisogno di perfezione è importante anche se i cristiani e gli ebrei comprendono in maniera molto differente l'attesa messianica implicita all'interno di questa perfezione, sia che noi aspettiamo ancora il messia - come credono gli ebrei - o la seconda verità del messia - come credono i cristiani -, noi condividiamo la fede nel fatto che viviamo in un mondo non ancora riscattato che sogna una riparazione.

Perché non mettere a punto un programma comune? Perché non unire le nostre forze spirituali per affermare e agire appoggiandoci ai valori che abbiamo in comune e che conducono alla riparazione del mondo non riscattato? In passato abbiamo collaborato portando avanti la causa della giustizia sociale. Abbiamo marciato insieme per i diritti civili; ci siamo fatti campioni della causa dei lavoratori e degli agricoltori; abbiamo indirizzato petizioni ai nostri governi affinché sovvengano ai bisogni dei poveri e dei senza casa; abbiamo inviato il capo del nostro paese a ricercare il disarmo nucleare. Non sono che alcune delle tante questioni che abbiamo trattato d'accordo gli uni con gli altri, ebrei e cristiani.

Per indicare che cosa potremo ancora fare insieme, prendiamo in considerazione alcune maniere concrete dell'ebraismo classico di prendere idee teologiche e trasformarle in stili di vita. E se esse possono costituire delle pietre di un pavimento sul quale possiamo camminare insieme, allora saremo capaci di costruire una grande strada che condivideremo e che conduce alla riparazione del  mondo e alla sua perfezione. 

Alcuni pensieri talmudici sulla riparazione del mondo

Anche se l'attenzione profetica per il bisognoso è ben nota, bisogna sottolineare che nel Talmud i dettagli della buona azione sono esposti in modo tale da divenire le pietre angolari della vita.

Tzedakah (giustizia che diviene carità) e gli atti di bontà pesano nella bilancia tanto quanto tutti i comandamenti della Torah. L'obbligo della carità è diretto verso il povero e gli atti di bontà spettano al povero e al ricco. La carità Ha a che vedere con i viventi e gli atti di bontà riguardano i vivi e i morti. La carità fa appello al nostro denaro, mentre gli atti di bontà fanno appello al nostro denaro ma anche al nostro essere. 

Già all'epoca del Talmud istituzioni caritative che si occupavano dei poveri erano una parte stabilita ed essenziale della vita della comunità. Quando, ad esempio, la Mishnah insegna che un ebreo deve celebrare il seder di Pasqua con quattro coppe di vino, essa nota che la pubblica assistenza (tamhui) deve fornire questo vino al povero. Il povero deve celebrare e sperimentare la dignità di essere con gli altri un popolo libero - e ciò è responsabilità della comunità. Ma anche se le istituzioni caritative sono un elemento centrale della vita della comunità, Maimonide afferma che la forma più elevata di carità è quella di permettere a qualcuno di guadagnarsi da vivere.

L'enorme sezione del Talmud che tratta della legge civile e criminale, Nezikin o i Danni, stipula e tutela il compenso degli operai. Essa da' una forma concreta ai divieti della Torah contro l'usura ed estende le leggi che proibiscono l'usura per includervi numerosi tipi di transazioni finanziarie che sembrano essere usura anche se non lo sono. Tutto ciò intende creare un'economia in cui gli uomini siano incoraggiati ad aiutarsi finanziariamente gli uni gli altri, per dare il senso della comunità piuttosto che indicare un modo di guadagnare denaro. Vengono creati strumenti finanziari per permettere ai non abbienti di divenire soci degli altri piuttosto che debitori - un'altra maniera di proteggere la dignità umana e di incoraggiare la crescita di una società in cui tale dignità si manifesti nella vita di tutti i giorni

Gli atti di bontà richiesti e descritti dettagliatamente dalla legge comprendono gli obblighi di visitare i malati e consolare gli afflitti. Gli ebrei devono riscattare i prigionieri e fornire doti, seppellire i morti e accogliere le persone alla loro tavola. Il Talmud riporta in dettaglio l'obbligo per gli ebrei di rispettare le persone anziane. « Alzarsi » e manifestare segni particolari di rispetto sono risposte ai problemi fisici dell'età. Quando il sentimento di dignità di una persona diminuisce la comunità è invitata a rafforzare la dignità dell'individuo.

Certo la legge ebraica riguarda gli ebrei e la sua prima preoccupazione è quella di incoraggiare l'espressione dell'amore nei confronti dei membri della comunità. Essa non si occupa di sentimenti ma in primo luogo di azioni. È tuttavia importante notare che molte di queste azioni sono obbligatorie nei confronti di tutti gli uomini Così, il Talmud dice: « occorre sovvenire ai bisogni del povere non ebrei come a quelli del povero ebreo. Bisogna visitare il malato non ebrei come si visita il malato ebrei. Bisogna occuparsi della sepoltura di un non ebrei come di quella di un ebreo. [Questi comandamenti sono universali] perché sono le vie della pace. »

Le vie della pace della Torah rappresentano una risposta pratica alla sacralità della creazione dell'umanità a immagine di Dio. Esse aiutano a perfezionare il mondo per farne il Regno dell'Onnipotente.

L'umanità non ha forse bisogno di un cammino comune che cerchi le vie della pace? L'umanità non ha forse bisogno di una visione comune della natura sacra della nostra esistenza umana che possiamo insegnare ai nostri figli e che possiamo incoraggiare nelle nostre comunità per servire le vie della pace? L'umanità non ha bisogno di un impegno da parte dei suoi capi religiosi, in ogni religione e al di là di ogni religione, a darsi la mano e creare dei legami che ispireranno e guideranno l'umanità verso la sua promessa santa? Per gli ebrei e i cristiani che hanno ascoltato la chiamata di Dio ad essere una benedizione e una luce per il mondo, la sfida e la missione sono chiare.

Ciò che si esige da noi non è niente di meno che questo - e questo è il vero senso della missione alla quale noi tutti dobbiamo partecipare.
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[Traduzione dall'originale inglese e cura di Le nostre Radici]

Fonte: http://www.jcrelations.net

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