La Santa Sede annuncia l'apertura degli Archivi Vaticani dal 1922 al 1939

Wistrich: "Per conoscere la verità 
non bisogna avere paura del passato"

di Marco Spagnoli

 


 
L' atteggiamento del Vaticano ed in particolare del futuro Papa Pio XII verso la nascita e l'affermazione del nazismo, sia dal punto di vista diplomatico che da quello dottrinale, dovrebbero avere un decisivo chiarimento dalla lettura degli archivi riguardanti i rapporti tra Santa Sede e Germania dal 1922 al 1939, dei quali il Vaticano ha annunciato la libera accessibilità dal 15 febbraio. 

L'apertura degli archivi dal '22 al '39 permetterà quindi non solo di leggere i rapporti di Eugenio Pacelli, all'epoca nunzio apostolico in Germania sull'evolversi della situazione, ma anche sulle sue direttive in qualità segretario di Stato sugli atteggiamenti da tenere nei confronti del governo tedesco. È già stato, inoltre, annunciato che seguirà dal 2005 l'apertura dell'intera documentazione sul pontificato dello stesso Pio XII.

SHALOM ha chiesto di commentare tale apertura al Professor Robert Wistrich, già membro della commissione mista di storici cattolici ed ebrei che doveva valutare l'operato di Pacelli (scioltasi anzitempo più di un anno fa per inconciliabili contrasti a causa della chiusura degli Archivi Vaticani) ed attualmente Direttore del Centro internazionale Vidal Sassoon per lo studio dell'Antisemitismo presso l'Università ebraica di Gerusalemme. 

Professor Wistrich, come spiega quest'apertura "improvvisa" degli archivi?

Credo che negli ultimi tempi il Vaticano abbia dovuto fronteggiare una sempre più insistente richiesta di trasparenza non soltanto dal mondo degli studiosi, ma soprattutto da parte di una larga porzione del mondo cattolico interessato a fare chiarezza riguardo il passato della Chiesa. Personalmente, come ex componente della Commissione, provo un po' di imbarazzo nel ricordare come – sia pubblicamente che in forma privata – ci siano state fornite spiegazioni improbabili riguardo l'assoluta impossibilità di tale apertura degli archivi. Risulta quindi evidente che se non fosse intervenuto personalmente il Papa, la situazione sarebbe rimasta in stallo. 

Nel frattempo anche la beatificazione di Pio XII è ancora 'congelata'...

È vero, la fine forzata dei lavori della Commissione non ha coinciso con "un'assoluzione" piena di Pacelli. L'argomento non è caduto del dimenticatoio e il processo di beatificazione ha subìto una battuta d'arresto. Come è giusto che sia, vista e considerata tale situazione delicata. 

Crede che l'eco "politica" di film come Amen di Costantin Costa Gavras, Il pianista di Roman Polanski ambientato nella Polonia della Shoah, insieme all'ampia saggistica su Pio XII e la crisi della curia romana riguardo i tristi scandali della chiesa americana, abbiano contribuito al mutamento di posizione riguardo l'apertura degli archivi?

Certamente sono tutti elementi che hanno avuto un certo peso. È evidente che in un nuovo secolo ed in un nuovo millennio se la Chiesa vuole sopravvivere a questa crisi deve diventare più flessibile e attenta ai desideri di chiarezza dei suoi membri. I cattolici, i veri credenti, non hanno paura di guardare al passato. Pretendono, quindi, che si faccia chiarezza. La chiesa ha grandi problemi ed è deprimente notare come ci vogliano grandi sconvolgimenti per farla agire. Questa apertura poteva essere operata prima, quando la commissione era in piedi. Ci si arriva oggi, solo per necessità dinanzi alla crisi complessiva del sistema. Dal punto di vista demografico, il peso dei cattolici si sta spostando sempre di più verso il Terzo Mondo. In Europa e in America, invece, il cattolicesimo è in declino. 

Possiamo considerare la beatificazione "improvvisa" di Pio IX l'ultimo atto di una chiesa appartenente al passato?

Sì, quella beatificazione forzata è stato l'ultimo colpo di mano di una Chiesa appartenente ad un'altra epoca. Credo che oggi sarebbe difficile poter compiere qualcosa di analogo, anche se sono passati solo pochi mesi. 

Da questo punto di vista qual è – in retrospettiva – il senso della visita del Papa in Israele?

Israele ha compiuto diversi errori riguardo il trattamento dei cristiani e di alcuni possedimenti della Chiesa sul suo territorio: dall'iniziale permesso di costruire una moschea a Nazareth (anche se poi revocato) fino all'assedio alla Basilica della Natività a Betlemme ci sono stati una serie di sbagli sciocchi, sottolineati poi con troppa enfasi dagli organi di stampa vicini al Vaticano come l'Osservatore Romano. Errori che purtroppo possono verificarsi durante una guerra come quella in corso in Israele, oggi. 

Va anche detto, però, che la Chiesa si è dimostrata sensibile più verso le sofferenze dei palestinesi che riguardo quelle degli israeliani, rimasti un po' nel dimenticatoio nel corso degli ultimi anni. Ho l'impressione, quindi, che nei fatti la visita del Papa non abbia modificato granché l'atteggiamento del Vaticano nei confronti di Israele. In più la presenza dei cristiani sta diminuendo in quella che viene chiamata Terrasanta. E non perché ci siano problemi con gli israeliani, ma perché è abbastanza chiaro a tutti (anche se non viene detto apertamente) che i cattolici non possono attendersi un grande futuro dall'Autorità palestinese. 

Anche se in Israele non si compiono grandissimi sforzi per fare sentire i cristiani parte della società, almeno questi non vengono molestati e minacciati come capita dai musulmani sotto l'egida dell'Autorità palestinese. L'ipocrisia e il silenzio dei cattolici verso questo stato di intimidazione a danno dei loro correligionari è imbarazzante. 

A proposito di imbarazzo: non trova triste che in una questione di natura "storica" e "morale" come la chiarezza riguardo l'atteggiamento di un Papa durante avvenimenti accaduti quasi sessanta anni fa, abbiano ancora oggi tanto peso la politica internazionale e gli scenari locali?

Dal 1945 ad oggi, con l'eccezione del pontificato di Giovanni XXIII, la chiesa non ha mai rivisto la sua posizione politica: il Vaticano è uno Stato a tutti gli effetti con la sua forza di natura politica e la sua influenza economica. Ha una diplomazia propria e si comporta come una Nazione a parte con – in più – la pretesa che il suo capo, ovvero il Papa, sia il rappresentate di Dio sulla Terra. 

Da qui derivano tutti i problemi. Qualche tempo fa un mio studente ingenuamente mi ha chiesto, perché davvero crediamo che Pio XII avrebbe dovuto dire qualcosa in favore degli ebrei durante il messaggio radiofonico del Natale del 1942: la differenza sta nelle pretese di un'autorità morale superiore. Per questo il Papa doveva dire qualcosa di più per aiutare anche chi non apparteneva alla sua chiesa e che veniva deportato sotto le sue finestre. È nella pretesa di un'investitura divina che risiede la necessità di qualcosa di diverso e di più significativo.

Del resto la storia tende a ripetersi: quando Giovanni Paolo II è stato a Damasco e in sua presenza, in pubblico, il presidente siriano ha avuto slanci fortemente antisemiti dicendo: "non solo gli ebrei hanno crocifisso Gesù, ma hanno anche avvelenato Maometto..." e "ora stanno facendo lo stesso con i palestinesi" il Papa non ha detto nulla.

Questo al momento poteva essere comprensibile, forse perché la traduzione non era stata puntuale o per altri motivi di opportunità, ma è scioccante però che, tornato a Roma, Giovanni Paolo II non abbia detto nulla riguardo questo commento, rifacendosi alle dichiarazioni del passato e mantenendo sostanzialmente lo stesso silenzio ambiguo che Pio XII aveva avuto riguardo la Shoah. 

Cosa dovrebbe accadere adesso per farla tornare a lavorare per la Commissione?

Se davvero apriranno gli archivi nel 2005, non credo sia una buona idea ricreare una commissione. Questo strumento di lavoro, infatti, nasce sempre dal compromesso tra interessi politici e personali. I singoli studiosi potranno operare in maniera altrettanto valida, a meno che non ci siano altre basi – come altre commissioni storiche attive recentemente in Europa – in cui vi sia stato un investimento governativo per favorire e facilitare il lavoro dei suoi componenti.

Questa è l'unica base affinché ci sia o meno una commissione, altrimenti non ha senso replicare quella del passato che – io credo – era frutto solo di una manovra di natura politica. 

Una manovra, però, che – alla fine – ha davvero spalancato la porta alla verità, nonostante l'aperta ostilità di alcuni esponenti del Vaticano...

È vero: in maniera forse non intenzionale ha ottenuto un ottimo risultato. Il problema è che non si può lavorare su una scala di valori "bassa". Per quello che riguarda l'atteggiamento ostile di alcuni esponenti della curia romana, spero che con l'apertura degli archivi e la vittoria morale di quei cattolici che credono nella verità e non la temono (qualsiasi essa sia), quei relitti del Ventesimo secolo e di una Chiesa di ispirazione antisemita possano scomparire nell'oblìo.


[Fonte:www.shalom.it]

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