Relazione per la riunione dei Presidenti delle Conferenze episcopali
Jerusalem 2002

    Il benedettino Jean-Baptiste Gourion, vicario del Patriarca latino Michel Sabbah per i cattolici di espressione ebraica, è stato nominato ausiliare il 14 agosto 2003. I fedeli di cui è responsabile sono poco meno di un migliaio e provengono quasi tutti dalla diaspora.

  I.   La Comunità Cattolica Ebraica e la sua storia
II.  All'interno della Chiesa di Gerusalemme e della società israeliana
III. Prospettive per il futuro    
  

Conclusione

 

 

Introduzione     torna su

Sono veramente onorato di essere stato chiamato a presentarvi la comunità di espressione ebraica, che pur essendo una realtà modesta, rappresenta tuttavia una ricchezza per la Chiesa locale come per quella universale.

I. La comunità ebraica e la sua storia   torna su

1. 1. La comunità oggi 

La comunità cattolica di espressione ebraica è composta da:

  • cristiani appartenenti al popolo ebraico e battezzati nel loro paese di provenienza o in Israele

  • cristiani facenti parte di famiglie miste, nelle quali uno o più membri sono cristiani

  • cristiani che per diverse ragioni vivono in Israele in un contesto ebraico, fra i quali non pochi religiosi e religiose. Per costoro, Israeliano o no, Israele è il loro paese e l’ebraico la loro lingua comune.

La comunità è suddivisa in quattro comunità situate nei quattro principali centri urbani del paese: Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa e Beer-Sheva.

Come la società israeliana, così anche la nostra comunità ecclesiale è composta da persone di differenti origini. Fra di esse una menzione particolare va fatta per coloro che provengono dall’ex-Unione Sovietica. In questi ultimi anni diverse centinaia di migliaia di russi hanno fatto la ‘aliah, sono cioè emigrati in Israele. Fra di essi vi è una percentuale non indifferente di cristiani. 

È comunque difficile, se non impossibile, valutare la percentuale esatta dei cristiani di lingua ebraica distribuiti all’interno della popolazione israeliana. Le nostre comunità sono chiamate a rispondere a questi cristiani con una pastorale adeguata.

Desidero sottolineare l’originalità di tale comunità e che è una gioia per noi appartenere a questa Chiesa nascente o rinascente. Una Chiesa cattolica di espressione ebraica che vive come minoranza all’interno del popolo ebraico in Israele. Ciò significa vivere dentro il nostro cuore l’amore di Gesù per il suo popolo, al di là di ogni polemica. 

In questi ultimi tempi il Signore veramente ci sta trasformando tutti, e ci spinge continuamente avanti in una dinamica d’amore. La Chiesa, infatti, si sta progressivamente purificando dalle sue forme antigiudaiche attraverso grandi figure di Pontefici, di profeti, del Concilio Vaticano II, e sta riscoprendo l’amore per il popolo di Israele. Si tratta di una lenta e discreta forma di dialogo interiore, di un processo di riconciliazione e di riavvicinamento, di una riscoperta di un legame profondo ed esistenziale tra Giudaismo e Cristianesimo. È un processo al tempo stesso doloroso e dolce.

1. 2. Lo statuto giuridico 

La comunità ebraica è stata fondata nel 1955, con il nome di “Opera di S. Giacomo”, approvata dal Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Gori, per rispondere alle necessità pastorali dei cristiani giunti in Israele con le immigrazioni seguite alla nascita dello stato israeliano.Gli statuti dell’Opera hanno un duplice scopo, entrambi legati l’uno all’altro:

  • Formare una comunità cristiana di espressione ebraica attraverso gruppi locali, cioè comunità ecclesiali viventi.

  • Adoperarsi per una reale riconciliazione tra ebrei e cristiani ‘désirant être un lien entre le peuple juif et la chrétienté” (vedi allegato I).

L’Opera di S. Giacomo è strutturata nel modo seguente:

  • Presieduta inizialmente dal Vicario patriarcale di Nazareth, dal 1990 ha un vicario episcopale, scelto dalla stessa comunità e nominato da S. B. il Patriarca Michel Sabbah. Egli è il garante della comunione tra le diverse comunità e la sua giurisdizione ricopre tutto ciò che riguarda la vita liturgica e spirituale.

  • Oltre agli statuti, ciascun gruppo è diretto da un consiglio esecutivo, composto da un sacerdote e da almeno tre persone scelte dalla comunità, per una durata di due anni. Il sacerdote ha il servizio di assistente, è il “consigliere spirituale del gruppo e deve curare i rapporti con il parroco locale” (Statuti, 4). In realtà, le comunità locali svolgono in tutto il ruolo di “parrocchia” pur non avendone il titolo giuridico. La sola comunità che è anche giuridicamente parrocchia è quella di Beer-Sheva.

1. 3. La situazione patrimoniale 

A Gerusalemme la comunità è attualmente ospitata in un bel edificio, proprietà dei francescani. A Giaffa le funzioni vengono svolte in un appartamento in affitto. Ad Haifa abbiamo un edificio, ma non la cappella. Solo Beer-Sheva è dotata attualmente di una vera casa parrocchiale con cappella.

A livello finanziario siamo autonomi, grazie alla generosità di benefattori tedeschi e statunitensi.



II. All’interno della Chiesa di Gerusalemme e della società israeliana  
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2. 1. Nel contesto del mosaico dei cristiani di Terra Santa 

Possiamo dire che ciò che caratterizza la presenza cristiana in Terra Santa è la sua varietà, che si esprime nelle sue differenti tradizioni ecclesiali, nelle diverse situazioni culturali e politiche, nell’origine dei suoi membri e nelle differenti società in cui è inserita. La Chiesa dunque è ben lungi dall’essere monolitica. Un cristiano ortodosso di Galilea, ad esempio, differisce da un latino dei territori occupati o da un Melkita giordano. Noi siamo situati all’interno di questo contesto.

2. 2. All’interno della società israeliana 

La nostra comunità vive all’interno della società israeliana, e assume così la ricchezza, la varietà e il dinamismo di tale società, ma anche i limiti e le difficoltà, in particolare l’opposto e paradossale movimento di secolarizzazione e di ritorno alla religiosità. In questo contesto la nostra comunità vuole mantenersi fedele allo spirito evangelico.La memoria di questa società è segnata dalla storia dolorosa e tormentata dei rapporti tra ebrei e cristiani. I cristiani in Israele devono generalmente fare i conti con una grande ignoranza riguardo al cristianesimo e con pregiudizi negativi e a volte addirittura ostilità, poiché il cristiano viene visto come un potenziale nemico o un missionario in cerca di proseliti.

A livello di Istituzioni Pubbliche si deve riconoscere che la libertà di coscienza e di culto sono garantite dalla legge. Devono ancora essere applicate alcune parti dell’accordo tra la S. Sede e lo Stato d’Israele. Diversi episodi coinvolgenti le minoranze cristiane fanno sorgere alcuni dubbi sulla reale accettazione di tale accordo. Una larga fetta della popolazione israeliana manifesta un vero interesse e un autentico spirito di apertura nei confronti del cristianesimo. Si tratta di una forma permanente di dialogo ebraico-cristiano, fatta sul terreno e che può contribuire, nel suo piccolo, alla riconciliazione tra ebrei e cristiani.

2. 3. Il conflitto locale 

Anche la nostra comunità, come tutti qui, ha a che fare con il conflitto israelo-palestinese, da una prospettiva diversa, rispetto alla comunità cristiana palestinese. La nostra comunità non subisce le restrizioni pubbliche ed economiche alle quali sono sottomesse le comunità palestinesi. Essa vive, come tutti i cittadini israeliani, sotto il rischio continuo di inammissibili attentati, all’insicurezza e al degrado che il conflitto provoca all’interno della società israeliana.

2. 4. Differenti approcci 

I nostri cristiani come tutti gli israeliani sperano di vivere in pace e in sicurezza in Israele. Allo stesso tempo essi sono partecipi alle aspirazioni delle comunità palestinesi di realizzare la possibilità di vita secondo giustizia, in libertà e nella pace.

Le aspirazioni nazionali non possono essere un valore ultimo di riferimento poiché oltre alla propria identità culturale, vi è anche l’identità cristiana.

2. 5. Una svolta 

Due avvenimenti recentemente hanno segnato la vita della nostra comunità.

  • Il sinodo 
    Come già affermato, la nostra comunità costituisce una piccola minoranza all’interno della Chiesa locale (arabo-palestinese), e vive in un contesto completamente differente da quello dei nostri fratelli arabi e con problematiche pastorali e spirituali del tutto diverse.Il nostro cammino sinodale, dunque, si è svolto in maniera diversa ed autonoma, ma sempre sotto la guida del Patriarca e in parallelo con il resto della Diocesi. In questo modo si è evidenziata la nostra particolarità all’interno della Chiesa Locale. Nostri delegati hanno preso parte all’assemblea finale del Sinodo (Betlemme 1999). 

    Alla conclusione del Sinodo abbiamo chiesto che il carattere ecclesiale delle nostre comunità venga riconosciuto anche ufficialmente e che l’organizzazione interna sia ristrutturata in vista di una pastorale più appropriata. Dopo il Sinodo, come segno della nostra partecipazione alla vita ecclesiale della diocesi, il vicario episcopale è membro invitato dell’assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa.

  • La visita del S. Padre 
    Il pellegrinaggio di S. S. il Papa Giovanni Paolo II in Terra Santa nel marzo del 2000 ha suscitato un reale entusiasmo in Israele e ha marcato una svolta positiva nel rapporto tra Chiesa e Israele, segnando un passaggio da un pregiudizio negativo nei confronti della Chiesa ad un approccio positivo e ravvicinato con la Chiesa. 

    Il cambiamento di attitudine della Chiesa nei confronti del mondo ebraico è stato percepito come autentico. Il Papa ha dato una testimonianza di umiltà, di verità e di apertura di cuore, rivelando allo stesso tempo alla società israeliana un volto di Chiesa prima completamente sconosciuto. Spetta a noi ora dare continuità alla testimonianza del S. Padre.




III. Prospettive per il futuro    
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La nostra comunità si trova ora di fronte a più sfide.

3. 1. Una posizione particolare 

La comunità deve potersi affermare all’interno di questa società. Insistendo sull’importanza della visibilità della Chiesa nella società israeliana, il cardinale Moussa Daud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha affermato nel suo intervento del 13 dicembre scorso, nel contesto del “Incontro sul futuro dei cristiani in Terra Santa” a Roma: “All’interno della maggioranza etnico-culturale, quella di lingua ebraica, la Chiesa non è attualmente molto visibile e non ha voce… Eppure una tale presenza visibile ed udibile all’interno della realtà culturale e sociale ebraica, pare indispensabile per il futuro stesso della presenza cristiana in un paese in rapida evoluzione”. 

L’esistenza di questa comunità riguarda anche la vita della Chiesa universale: la nostra comunità ha iniziato da tempo un’ampia riflessione sulla relazione e l’unità tra i cristiani provenienti dalla Circoncisione e quelli provenienti dalle Nazioni. In questo contesto storico, teologico e contemporaneo, la nostra comunità non è chiamata a fare una semplice inculturazione, poiché il cristianesimo proviene dal popolo ebraico e continua ad essere innestato sull’ulivo buono, secondo l’espressione dell’Apostolo. 

La comunità coinvolge anche la vita della Chiesa locale:

La Chiesa di Gerusalemme è unica e complessa ed essa resterebbe mutilata, separata dalle sue radici storiche, non perfettamente fedele alla sua missione se non riconoscesse le comunità ebraiche come parte integrante della Chiesa locale. Da parte sua la nostra comunità ebraica intende ancor più coltivare la coscienza di essere parte della Chiesa locale ed universale.

Lo stesso cardinale Daud, convinto di tale necessità, ha affermato: “Quale potrà essere, di fatto, la ‘struttura ecclesiale’ più adatta a rispondere al problema? Il Codice di Diritto Canonico prevede una scelta tra le diverse soluzioni giuridico-istituzionali (Cf CIC 372)”.

3. 2. Sfide pastorali 

La comunità ebraica vive inserita all’interno del mondo ebraico, con la sua cultura e la sua mentalità. Dal punto di vista religioso essa deve cercare una espressione adeguata della propria fede, in funzione della situazione in cui essa vive. Per il bene spirituale dei fedeli e la testimonianza della Chiesa dentro la società è indispensabile impostare una pastorale particolare in tutti i settori: strutture, finanze, ecc.

Tale pastorale ha diversi imperativi:

  • La formazione e la catechesi

  • Il sostegno ai giovani che sono chiamati a vivere la propria fede in un contesto che non li sostiene

  • L’accoglienza degli immigrati dell’ex URSS e la loro integrazione dentro la vita ecclesiale

  • Il dialogo ecumenico con le comunità messianiche. Esse sono di sensibilità evangelica, e piuttosto reticenti verso le Chiese istituzionali.

Gli strumenti indispensabili per una tale pastorale sono:

  • l’adattamento della liturgia 

  • la traduzione di testi della Chiesa e di autori spirituali

Una delle difficoltà che incontriamo riguarda il mancato coordinamento degli sforzi delle persone che si prendono cura di questa pastorale.

3. 3. Un ruolo profetico per la pace 

La Chiesa si trova a vivere in un contesto di conflitto ed è perciò chiamata a svolgere, in fedeltà al Vangelo, un ruolo profetico per la necessaria, indispensabile, riconciliazione. La nostra comunità nel suo piccolo è aperta a questa difficile opera. Ci siamo incontrati più volte in Gerusalemme con cristiani palestinesi per momenti di preghiera e di condivisione, in arabo ed ebraico. Insieme ci siamo rivolti al Padre per invocare la pace sulla nostra regione, ma soprattutto la grazia di vivere come testimoni di amore e di perdono.


Conclusione      torna su

La conclusione del nostro intervento al sinodo è ancora attuale:

“I cristiani di questa comunità, nonostante la distanza sociologica e culturale che li separa dalla maggioranza della comunità cristiana locale, nonostante la differenza di sensibilità, nonostante le difficoltà della situazione politica, sono membri della Chiesa di Gerusalemme. Devono essere riconosciuti come tali, con la loro specificità e così, nell’unica fede e nella stessa carità, noi potremo essere fermento di giustizia e di pace”.


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