Intervento nel Corso “La Chiesa Cattolica e l’Ebraismo oggi”
Jorge Cardinale Mejía, 23 novembre 2004

Questo testo è una versione non rivista di una conferenza data nell’ambito della serie “La Chiesa Cattolica e l'Ebraismo dal Vaticano II ad oggi” offerta dal Centro Cardinal Bea presso la Pontificia Università Gregoriana dal 19 ottobre 2004 al 25 gennaio 2005 in collaborazione con il SIDIC Roma e con il sostegno dell’American Jewish Committee.

La presente lezione nel nostro Corso su “La Chiesa Cattolica e l’Ebraismo oggi” ha, come si vede dal titolo, due temi e tre oratori. A me, già Segretario della Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo dal 1977 al 1986, corrisponde presentare il primo tema: la fondazione della Commissione, la sua origine, ma anche il suo lavoro durante quei anni, importanti pure per quello che è venuto dopo.

La Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo è stata creata da Paolo VI il 22 ottobre del 1974, esattamente trenta anni fa. [1] Da qui l’attuale commemorazione. È opportuno sapere che la creazione della Commissione è  in un certo senso un punto di arrivo, oltre che un punto di partenza. Mi pare quindi che la presente lezione potrebbe essere divisa in tre parti, e questo non soltanto per ragioni didattiche, ma per ben organizzare la presentazione dell’argomento.

Queste tre parti sono. 1. I precedenti della Commissione e il suo inizio. 2. La sua configurazione nella struttura della Curia Romana. 3. I momenti salienti del suo lavoro tra la sua creazione e la fine del mio periodo come Segretario; e cioè, tra il 1974 e 1 il 1986.

  1. I precedenti. La Commissione non è un inizio assoluto. Già prima del 1974, durante il Concilio Vaticano II, il tema, assai difficile e non poco discusso, dei rapporti con l’Ebraismo, era venuto fuori quando si preparava la redazione del documento oggi conosciuto con le sue prime parole (in latino) “Nostra aetate” , il quale tratta dei rapporti con l’Ebraismo solo nel suo paragrafo n. 4, che ne è il penultimo. Prima tratta anche delle altre religioni non cristiane. Qui dunque l’Ebraismo e la religione ebraica non sono messe a parte di queste altre religioni, eccetto nella presentazione che di essa si fa già nella famosa frase introduttiva: “Scrutando il mistero della Chiesa, questo sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo”, e nel resto del paragrafo. Ma nel dibattito precedente, soprattutto nei vari interventi del cardinal Agostino Bea nonché di altri Padri conciliari, il carattere  speciale dell’Ebraismo e dei suoi rapporti con la Chiesa cattolica, erano stati ben sottolineati. Per questo motivo, quando il papa (oggi Beato) Giovanni XXIII aveva  deciso la creazione del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, come organo di preparazione del Concilio [2] , la questione dell’Ebraismo e dei suoi rapporti con noi, è stata affidata al suo Presidente [3] , il Cardinale Agostino Bea. E questo si deve accuratamente notare per i futuri sviluppi. Da quel momento in poi, infatti, i rapporti con l’Ebraismo sono stati ben distinti e separati dei rapporti della Chiesa cattolica con le altre religioni, e questo nonostante la struttura e il tenore della Dichiarazione “Nostra aetate”, come si diceva un momento fa. [4] Quando poi il Segretariato per l’Unità dei Cristiani è diventato un organismo della Curia Romana, cioè, un Dicastero, i rapporti con l’Ebraismo son rimasti dell’ambito delle sue competenze [5] , benché nel frattempo fosse già stato creato un Dicastero apposito per i Rapporti con le religioni non cristiane, oggi chiamato Consiglio per il Dialogo interreligioso [6] . Alla competenza di questo Dicastero risalgono tutte le religioni non cristiane, fuorché l’Ebraismo. E questo deve essere tenuto ben presente. Infatti, all’interno del Segretariato per l’Unità dei Cristiani si è creato, quasi fin dall’inizio, il 1° ottobre 1969, un apposito Ufficio per i rapporti con l’Ebraismo, affidato dal cardinale Bea, Presidente del Segretariato, al Professore Don Cornelius A. Rijk, che è stato così il primo responsabile, nella Santa Sede, dei rapporti con l’Ebraismo, quando questi rapporti erano una assoluta novità e dovevano quindi ancora trovare la loro strada [7] . L’impegno di Don Rijk era un lavoro di pioniere e sono lieto di ricordare qui il suo nome e i suoi meriti, checché ne sia dei suoi limiti. Tutti quelli venuti dopo siamo, in un modo o nell’altro, indebitati verso di lui.  Il compito di Don Rijk era duplice. Da un parte, lui doveva in qualche modo istituzionalizzare nella Santa Sede, sotto la conduzione del Cardinale Bea, i rapporti assolutamente nuovi, con l’Ebraismo. E dall’altra parte, fornire alla Chiesa cattolica e si suoi organismi direttivi, e in primo luogo alle Conferenze episcopali, gli orientamenti necessari per istaurare questi  rapporti, altrettanto nuovi, per non dire completamente estranei alla stragrande maggioranza degli episcopati del mondo [8] . Si comprende facilmente la difficoltà di ambedue gli impegni. E c’era ancora un altra difficoltà: quella di accertare  gli interlocutori giusti dalla parte dell’Ebraismo, così molteplice e non certo unificato. Trovati questi con la creazione nel 1970 [9] dell’organismo chiamato IJCIC, acrostico delle iniziali in inglese dell’”International Jewish Committe for Interreligious Consultations” che mette insieme rappresentanti delle principali Organizzazioni Ebraiche [10] , e del suo organo di contatto con l’Ufficio del Segretariato l”’International Liaison Committee”, per far fronte alle altre due esigenze, si è pensato fin dall’inizio alla redazione di un documento ufficiale che potesse giovare all’applicazione del contenuto nonché delle aperture di “Nostra aetate”. In vista di questo documento si è tenuta una prima riunione a Roma di alcuni esperti tra il 9 e il 12 aprile 1969, poco dopo la creazione dell’Ufficio per i Rapporti con l’Ebraismo. Su questo progetto di documento si è lavorato negli anni seguenti, anche con la partecipazione che si può chiamare doverosa, dei vescovi membri del Segretariato per l’Unità. Nel frattempo però la Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo era stata creata in ottobre del 1974 ed a essa è risalito il merito della promulgazione del documento in parola, sotto il titolo “Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione conciliare ‘Nostra aetate’”, il 1 dicembre 1974. Documento che è diventato il bigllietto di presentazione della nuova Commissione.

  1. La Commissione: il suo posto nella Curia Romana e la sua struttura. La creazione di una siffatta Commissione era una novità nella Curia Romana ed è uno dei pregi del grande pontefice che fu Paolo VI di aver preso questa misura in ambito istituzionale, in piena coerenza e continuità con la sua teoria del dialogo nella sua enciclica inaugurale ”Ecclesiam suam [11] . Allo stesso tempo, il papa aveva creato una Commissione simmetrica nell’ambito del Segretariato per i Non Cristiani, per i Rapporti religiosi con l’Islam [12] . In questo modo l’Ufficio preesistente diventava una Commissione con un’identità e una struttura propria. A questo proposito, è importante notare tre cose:    

           A) La Commissione, come l’Ufficio precedente, è rimasta nell’ambito del Segretariato per l’Unità dei Cristiani (oggi Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani). Se quindi l’Ebraismo può essere qualificato anch’esso di religione non cristiana, non lo è però nel senso delle altre religioni che possono essere così qualificate. Il suo rapporto con la Chiesa cattolica e con la realtà cristiana in genere è di un altro ordine e di tutt’altra natura [13] . E questo si è voluto affermare creando la Commissione non in seno al Dicastero che si occupa appunto di queste altre religioni ma con quello che si occupa degli altri cristiani, La soluzione non è forse ottima, perché potrebbe creare l’equivoco  che tali rapporti mirano anch’essi ad una “unione”, come con gli altri cristiani, il che, come si sa, non è assolutamente il caso con l’Ebraismo. Da un altro punto di vista però vi è un vero rapporto tra l’impegno ecumenico propriamente tale e le relazioni con l’Ebraismo, almeno nel senso che tale relazione è una vocazione comune a tutti i cristiani e può davvero giovare alla riconciliazione tra loro.      

           B) La Commissione tuttavia, a differenza del precedente Ufficio, è “distinta” dal Segretariato, oggi Pont. Consiglio, ma ad esso “collegata” (sono i termini stessi della sua creazione [14] ). Possiede quindi una propria struttura che in parte coincide con quella del Pontificio Consiglio: lo stesso Presidente, il cardinale Walter Kasper, dopo i cardinali Bea, Willebrands e Cassidy. Il segretario del Pontificio Consiglio è invece il vice presidente della Commissione: oggi Sua Ecc.za Mons. Brian Farrell dopo Mons. Charles Moeller, Sua Ecc.za Ramón Torrella (recentemente deceduto arcivescovo emerito di Tarragona in Spagna), Mons. Pierre Duprey e per un breve tempo, Sua Ecc.za Mons. Marc Ouellet, oggi cardinale arcivescovo di Québec. La Commissione ha un suo proprio segretario, oggi il caro Don Norbert Hofmann, dopo (in ordine cronologico) P. Pierre Marie Stanislas de de Contenson OP, sul quale ritornerò tra un momento, chi adesso vi parla, Don Pierfrancesco Fumagalli, qui presente, e P. Remi Hoeckman OP, adesso in pensione in Belgio la sua patria.    

            
    C) Il mandato della Commissione ha fin dal suo inizio, la competenza per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo. Ci si può chiedere cosa significa questa qualifica  annessa al titolo e come la si deve interpretare. Vorrei dira prima di tutto che essa non è necessariamente una limitazione ma forse al contrario una liberazione. L’Ebraismo è una religione e una religione mondiale, nel senso che è presente nei cinque continenti e si può ben dire che ha una vocazione universale, se non precisamente missionaria. Ma si presenta come avente un rapporto unico con uno Stato, lo Stato d’Israele, Stato che esisteva già da vari anni (1948) , quando si preparava in Concilio la Dichiarazione “Nostra aetate”. Uno Stato la cui vita non è stata certo pacifica né purtroppo pacificamente accettata da altri stati, in particolare i suoi vicini  nel Medio Oriente. Uno Stato poi che non ha avuto rapporti diplomatici con la Santa Sede, benché sempre riconosciuto come tale e cioè come Stato, fin dal 1993. C’erano quindi dei risvolti politici ed era opportuno e necessario distinguere tra essi, competenza semmai della Segreteria di Stato, e la grande tradizione religiosa dell’Ebraismo così  vicina alla nostra. E questo si è voluto sottolineare con l’aggiunta dell’aggettivo “religiosi” nel titolo della Commissione. Il quale viene così adeguatamente interpretato.

  1. I primi anni della Commissione.  Don Cornelius Rijk, nonostante fosse rimasto ancora per un tempo nell’allora Segretariato per l’Unità dei Cristiani, non è stato nominato primo segretario della Commissione. L’incarico è stato affidato ad un altro officiale del medesimo Segretariato, P. de Contenson OP, già menzionato. A lui è capitato l’onere e il pregio di mettere in moto il nuovo organismo, nella sua triplice dimensione relazionale: con la Curia Romana, con la Chiesa universale, con i rappresentanti dell’Ebraismo. Nel primo compito è stato orientato e assistito dai suoi Superiori nel Segretariato, il cardinale Willebrands e Mons. Moeller. Nel secondo poteva contare sul lavoro già svolto da Don Cornelius. Trovava infatti pronti gli organismo di dialogo a cui ho fatto prima riferimento. E inoltre poteva contare su un gruppo di consultori, ufficialmente designati tra gli esperti più o meno conosciuti dei rapporti con l’Ebraismo.  Per il terzo compito, l’animazione nella Chiesa universale dei medesimi  rapporti, poteva contare con vari sacerdoti e laici di diversa origine, impegnati nel medesimo lavoro in varie parti del mondo. Ma soprattutto a lui è toccata la gioia di vedere pubblicato il testo degli “Orientamenti e Suggerimenti” preparato da Don Cornelius con il valido e alle volte decisivo aiuto degli esperti e approvato dai vari Uffici della Curia che è necessario sentire per la pubblicazione di documenti come quello della Commissione, emanati cioè dalla Santa Sede.   Così P. De Contenson ha messo le basi, dopo Don Cornelius Rijk, sulle quali dopo di lui tutti abbiamo costruito fino al presente. Se lo nomino qui in modo speciale è perché lui si ha in tal modo dedicato alla sua missione, mentre era incaricato nel contempo dell’edizione leoniana delle opere di San Tommaso d’Aquino, e non soltanto, che la sue forze fisiche non hanno retto. Dopo due anni è deceduto santamente, vittima di due infarti.  Si racconta che a un suo confratello che gli avrebbe chiesto sul letto di morte se nel suo lavoro era stato assistito dallla fede di Ebrei e Cristiani nello stesso Dio e Signore, avrebbe risposto: “oui, le même, mais avec une petite différence”. Noi crediamo infatti nel Dio-Trinità.

Conclusione. Non è il caso ch’io allunghi troppo questa relazione con una cronaca di quanto i successori di P. De Contenson sono stati in grado di fare. Questo è già storia contemporanea. Per quello che riguarda il tempo del mio mandato mi limiterò a tre brevissimi cenni.  

Primo: la mia nomina si è dovuta soprattutto all’emergenza creata per la scomparsa improvisa di P. de Contenson. Mi son trovato dalla mattina alla sera davanti ad una simile responsabilità, con la scarsa preparazione del mio precedente lavoro di segretario del Dipartimento del CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano) per i rapporti ecumenici e interreligiosi e i miei anni di professore di Sacra Scrittura e di lingua ebraica alla Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica Argentina. Più che mai ho potuto allora rendermi conto come si era debitore a coloro che mi avevano preceduto, di quanto si poteva fare in questo novissimo campo di lavoro pastorale che erano (e tuttora sono) i rapporti della Chiesa cattolica e in modo particolare della Santa Sede, con l’Ebraismo. I predecessori nell’incarico e gli esperti che mi aiutavano, tra altri, il Professore Tomasso Federici, il P. Roger Le Déaut e chi è adesso il cardinale Carlo Maria Martini, allora Rettore della Pontificia Università Gregoriana. 

Secondo: col loro aiuto e la comprensione e il paziente acccompagnamento dei miei Superiori di quel tempo, in particolare di Mons. Ramón Torrella, vicepresidente, si è arrivati alla pubblicazione di un secondo documento più complesso e  anche  più completo del primo ma che necessariamente lo presuppone: le ”Note per la corretta presentazione di Ebrei e Ebraismo nella catechesi e la predicazione della Chiesa cattolica”, promulgato il 24 giugno 1985. Penso che questo documento, dove per la prima volta si cerca tra l’altro di spiegare il senso che per noi può avere il nesso, sul quale gli Ebrei facievano e fanno tuttora costantemente leva, tra la religione, la terra e lo Stato, è tuttora valido e opportuno [15] . Questi due o tre brani sono frutto di una feconda collaborazione tra la Commissione e la Segretaria di Stato, sempre auspicabile per il lavoro della Commissione, che dipendeva allora del cardinale Casaroli nonché dall’attuale cardinale Silvestrini, ai quali va qui il mio ricordo riconoscente. 

Terzo e ultimo: la visita del Santo Padre alla Sinagoga o Tempo Maggiore di Roma, il 13 aprile 1986, uno dei tre momenti storici fin adesso, nel Suo pontificato, nei rapporti tra Chiesa cattolica ed Ebraismo. Gli altri due come tutti sappiamo, sono il viaggio apostolico in Israele durante l’anno del Grande giubileo, con la preghiera nel Muro Occidentale e la domanda di perdono quell’anno stesso per i torti che gli Ebrei hanno sofferto da parte nostra lungo la nostra comune storia, per non menzionare lo stabilimento di rapporti diplomatici con Israele nel dicembre del 1993.

La visita del Santo Padre alla Sinagoga di Roma è stata una sua iniziativa che a me è capitato di dover realizzare. E con questa visita, alla quale ho avuto il privilegio di accompagnare il Santo Padre, è finito anche il mio mandato: ero stato ordinato vescovo il giorno precedente la visita, e trasferito al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace come vice presidente.

La fiaccola è così passata ad altre mani che hanno potuto già e potranno certamente in futuro, come adesso sentirete, continuare e ampliare il lavoro della Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo fin quando il Signore vorrà. O forse meglio, fin quando Egli finalmente verrà. E allora il lavoro della Commissione non avrà più alcun senso.

Grazie

16 novembre 2004
Jorge Cardinale Mejía


[1] Cfr. la comunicazione ufficiale nell’”Information Service” del Segretariato (oggi Pont. Consiglio) per l’Unità dei Cristiani 1974/3 p. 22: “Taking into account the development of closer relations concerning matters of religion between the Catholic Church and Judaism and the Catholic Church and Islam, the Holy Father has decided to create two Comissions for relations with these religions.”.Per il riferimento all’Islam, cfr. infra. 

[2] Cfr. Acta Apostolicae Sedis 52 (1960) p. 436.

[3] Cfr. Agostino Card. Bea. La Chiesa el il popolo ebraico (Morcelliana Brescia 1966 sec. ed.) p. 21: “...nell’udienza concessami il 18 settembre 1960 il papa Giovanni XXIII dava al Segretariato per l’Unione dei Cristiani  l’incarico di preparare una Dichiarazione riguardante il popolo ebraico...”; in vista ovviamente del futuro Concilio: Cfr. anche St. Schmidt, Agostino Bea, Il Cardinale dell’Unità (Città Nuova Editrice Roma 1987) pp. 351-357, esp. p. 355.

[4] Non è il caso di entrare qui nel difficile “iter” della Dichiarazione nei dibattiti  pre-conciliari e conciliari; su questo, cfr. Agostino Card. Bea, u. s. (nota 3) pp. 22-25. La futura Dichiarazione, prima soppressa dal programa conciliare, è diventata dopo il capitolo quarto dello schema del futuro Decreto sull’Ecumenismo fino a quando trovò la propria strada durante la seconda e la terza sessione del Concilio, grazie soprattutto al lavoro paziente del medesimo Cardinale Bea. Cfr. anche S. Schmidt, l. c. (nota 2) pp. 564-613 la cui relazione è molto affidabile, sia per le sue capacità di storico fedele, sia per la sua vicinanza costante al protagonista di tutta la vicenda, il medesimo Cardinale Bea, di cui era il segretario.

[5] Cfr. la Costituzione Apostolica “Pastor Bonus” (28/6/1988) art. 138: “Presso il Consiglio (per la’Unità dei Cristiani) è costituita  una Commissione per studiare e trattare le materie che riguardano dal punto di vtsta religioso gli Ebrei: essa è diretta dal Presidente del medesimo Consiglio”; già in “Regimini Ecclesiae Universae” (15/8/1967) art. 94.

[6] Creato con Motu proprio il 19/5/1964, poi costituito organismo della Santa Sede in “Pastor Bonus”, artt. 159-162.

[7] Don Rijk incomincia già i contatti con un “International Consultative Committee of Organisations for Christian-Jewish Cooperation” a Vienna, il 6-8/12/1967. Cfr. “Information Service” 1968/4 p, 13 con un breve rapporto sull’incontro.

[8] Pure se esistevano già allora, in vari paesi le cosiddette “Amicizia/Amitié/Amistad/Freundschaft” Ebraico-Cristiane. Ma di vere e proprie Commissione episcopali in seno alla Conferenze si parla soltanto verso il 1974.

[9] La prima riunione ufficiale di questo organismo col Segretariato per l’Unità dei Cristiani ha avuto luogo tra il 20 e il 23 dicembre del medesimo anno 1970 dove si è redatto un cosidetto “Memorandum of Understanding” per ben precisare il contenuto ed i limiti degli incontri con l’IJCIC da tutte e due le parti. Cosí s’inaugura l’”International Liaison Committee” tra la Chiesa cattolica e l’IJCIC, i cui incontri sono poi continuati più o meno regolarmente fino all’ultimo, il diciottesimo., svoltosi a Buenos Aires nel luglio del presente anno.  Cfr. “Information Service” 1971/2 p. 11.

[10] Le Organizzazioni rappresentate in seno all’IJCIC hanno una certa continuità senza però che ci siano state sempre le stesse. Se qualcuna predomina tra esse è senza dubbio il “World Jewish Congress” col cui presidente storico, il Dott. Nahum Goldman, il Cardinale Bea si era già incontrato privatamente il 26 ottobre 1960, e cioè subito dopo aver ricevuto da papa Giovanni XXIII l’incarico di occuparsi dei rapporti con l’Ebraismo (cfr. S. Schmidt. Il Cardinale Agostino Bea, cit. sopra nota 2, pp. 355-356, con il riferimento all’autobiografia dello stesso Dott. Goldman)

[11] Cfr. il testo citato in n. 1 con il relativo commento dello stesso “Information Service” ib. pp. 22-23.

[12] Cfr. “Pastor Bonus” art. 162. E già il testo citato in n. 1.

[13] Cfr. a questo proposito “Information Service” 1967/3 p. 24., con tutte le necessarie precisioni., delle quali la più importante e la ragione teologica. “3)theologically, since the Church still considers the Old Testament as a sacred work inspired by God and forming part of the basis of her faith, this forms an essential link between her and Judaism which recognises the Old Testament as the ground for its existence”. Si potrebbe meglio dire, dal punto di vista teologico, che le due religioni sono vincolate propriamente al livello della propria identità religiosa.

[14] I termini son ripresi dall’ Annuario Pontificio per l’anno 2004, p. 1718, dove si presenta la Commissione. Il testo citato in n.1 diceva: “The two Commissions (per l’Ebraismo e per l’Islam) come under respectively, the Secretariat for promoting Christian Unity and the Secretariat for Non-Christians”.

[15] Cfr. il n. 25 delle “Note”.

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