André Chouraqui ritraduce e commenta i comandamenti

"Leggi simili si trovano in molte filosofie, ma mai in una sintesi così perfetta E dopo 3300 anni restano attuali"
Autore di una magistrale traduzione in francese della Bibbia e del Nuovo Testamento (in 26 volumi), commentatore del Corano, André Chouraqui a 82 anni ha pubblicato nel 2000 in Francia un nuovo studio che ha fatto e fa discutere: s'intitola I dieci comandamenti oggi: dieci parole per riconciliare l'Uomo con l'umano (Robert Laffont). A cavallo tra mondo occidentale e orientale, l'erudito dalla doppia cittadinanza francese e israeliana non ha mai ignorato il lato pratico della realtà: è stato vice-sindaco di Gerusalemme e consigliere del presidente Ben Gurion. Da posizioni non sempre facili ha dedicato tutta la sua vita a promuovere il dialogo tra giudaismo, islam e cristianesimo.
Cultura, entusiasmo e virtù della comunicazione sono riuniti ancora una volta in un testo affascinante che lo stesso André Chouraqui, per qualche giorno a Parigi, lontano da Gerusalemme dove vive stabilmente, ha avuto la gentilezza di presentarci.
[Tratto da Avvenire del 4.5.2000]

Professore, per quale ragione ha deciso di tradurre e commentare i dieci comandamenti?

"All'alba del XXI secolo ho voluto ritrovare il senso che potevano avere all'epoca di Mosè e poi nella Bibbia e nelle tre religioni nate dalla sua fecondità. Non ho fatto che sottolineare la straordinaria attualità dei dieci comandamenti, che per 3.300 anni sono stati il testo di riferimento di ebrei, cristiani e musulmani; un testo che riassume l'intera legge etica dell'universo e che abbiamo imparato a memoria nelle sinagoghe, nelle chiese e nelle moschee".

Mosè, come lei ha sottolineato, ha avuto il dono della sintesi...

"Leggi simili si ritrovano in Asia e un po' in tutte le filosofie, ma in nessun caso si riassumono in dieci frasi, che racchiudono le realtà terrestri e celesti. Dieci è un numero sacro, dieci sono le dita della mano, dieci sono le virtù cardinali. Il primo libro che ho tradotto in francese più di cinquant'anni fa, I doveri del cuore, che è stato scritto in arabo e in ebraico, una sintesi folgorante della vita dell'uomo, è anch'esso redatto in dieci capitoli. Ciò detto, tutti e dieci i comandamenti sono ugualmente trasgrediti".

Che cosa ha ritrovato nell'antica lingua ebraica?

"Penso che gran parte della forza contenuta nella lingua originale si sia perduta con la traduzione nelle lingue greche e latine. Il primo comandamento in ebraico incomincia con la formula "Io stesso": una divinità misteriosa ci parla dicendo "Io stesso", utilizzando il linguaggio degli uomini e ottenendo un'eco straordinaria. Il ritorno alla lingua delle origini ha l'effetto di rendere più che mai viva la legge di Dio".

Quali sono le principali differenze intervenute nel passaggio dalla cultura ebraica a quella greco-latina?

"Il Dio della Bibbia, indicato con il tetragramma , che significa "l'essere supremo che è, che sarà e che fa essere", è stato tradito dalla traduzione: la divinità che non ha nome, che non ha storia, che non ha forma, tradotto in "Zeus" o in "Dominus Deus" cambia di universo culturale. Trasportata dal monte Sinai alle colline dell'Acropoli, questa entità puramente trascendente si è trasformata in un essere immanente".

Dio ha dettato a Mosè una lista di doveri, non ha fatto un elenco di diritti...

"Si tratta di un punto molto importante. In qualsiasi religione il dovere di non uccidere, di non rubare, di non imbrogliare, di non tradire, di non adorare degli idoli (cosa che facciamo tutti!) è molto importante. Chi ha dei doveri è un "io stesso" che si sottomette volontariamente all'ordine naturale delle cose. Questi doveri fanno dell'uomo non un animale, ma il figlio del Creatore, associato al dovere di creazione di Dio stesso".

Nel passaggio dalle leggi divine a quelle umane che reggono gli Stati, gli uomini dimostrano ambizioni meno alte.

"Sì, ma se le Nazioni unite obbedissero alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che ha avuto come principale redattore il professor Réné Cassin, a cui ho dedicato il mio libro sui dieci comandamenti, ci salveremmo dal peggio".

Che cosa dice a ebrei, cristiani, arabi, che pur avendo a fondamento delle loro religioni la legge di Mosè si sono combattuti e ancora si combattono in nome della religione?

"Onoriamo gli stessi profeti, accogliamo le stesse leggi, ma ciò che ci avvicina è il tradimento della legge comune, piuttosto che la costruzione del mondo che esse reggono.
Un rimedio si impone. Una volta chiesero a Confucio: se tu ne avessi il potere, che cosa faresti per rimediare ai mali del mondo? Egli rispose: "Ridarei tutto il loro senso alle parole".
È ciò che ho cercato di fare con l'edizione dei dieci comandamenti: ritrovare il senso delle parole".

Da dove incominciare?

"Per secoli le religioni cosiddette monoteiste hanno nutrito la convinzione di essere le sole a detenere la verità; per servire questo principio si sono fatte una guerra senza pietà. E tuttavia per salvare la fede rabbini, pastori, parroci ed imam non hanno altra soluzione che smettere ogni opposizione e unirsi nel rispetto delle leggi universali ed eterne. Credenti o atei, ogni uomo deve assumersi la responsabilità di vivere in armonia con i dieci comandamenti, che iniziano con la frase "Io stesso"".

Quali impressioni ha avuto sul viaggio del Papa in Israele?

"Ho incontrato Giovanni Paolo II quattro volte e ogni volta l'ho ufficialmente invitato a venire in Israele; sono felice che sia vissuto abbastanza per realizzare infine il suo desiderio più forte. Penso che questo Papa sia uno dei più grandi della storia, perché ciò che fa è davvero rivoluzionario. Considero magnifica la sua opera, che ora è continuata col pellegrinaggio alle sorgenti della fede. La venuta del Pontefice a Yad Vashem è stato un gesto profetico. Bisogna leggere e rileggere i Vangeli: il fossato tra questi testi e ciò che è stato vissuto da duemila anni, ovvero la storia della Chiesa e quella dell'umanità, è troppo profondo. È tempo di ridare senso alle parole, appunto. Ed è ciò che ha fatto Giovanni Paolo II venendo in Israele".

Crede nella pace in Medio Oriente?

"Non abbiamo altra scelta che la pace e sono convinto che sia io che il Papa, benché già avanti con gli anni, potremo festeggiarla".

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