... da Shalom di febbraio 2001

L'importanza del rispetto reciproco alla base del dialogo tra le fedi

Ratzinger, gli ebrei e alcuni dubbi
di Riccardo Di Segni *

L'Osservatore romano del 29 dicembre 2000 ha pubblicato un articolo con la firma autorevole del cardinale Joseph Ratzinger, intitolato "L'eredità di Abramo dono di Natale". L'articolo si occupa del rapporto tra Chiesa cattolica ed ebraismo discutendo temi di fede, di antigiudaismo e di prospettive di dialogo.

La pubblicazione dell'articolo ha avuto vasta eco sulla stampa, che ha voluto interpretarlo come un tentativo di ricucire i rapporti ebraico-cristiani, messi a dura prova nello scorso autunno dalla beatificazione di Pio IX e dalla contemporanea pubblicazione del documento ufficiale "Dominus Jesus", a firma dello stesso cardinale Ratzinger. Nel documento, come si ricorderà, si sosteneva con forza la peculiarità della salvezza ottenuta attraverso la fede in Gesù e si dava un'interpretazione del dialogo interreligioso come finalizzato a trasmettere all'interlocutore la testimonianza della verità della fede, così come è intesa dal cattolicesimo.

È opportuno un esame attento del recente articolo, per verificare se i commenti positivi formulati su alcuni giornali (v. il Foglio del 30/12, la Repubblica del 29/12, a firma di Orazio La Rocca, e La Stampa del 3/1 di Enzo Bianchi) siano giustificati dal punto di vista ebraico.

In realtà si può vedere come gli argomenti sostenuti dal card. Ratzinger non solo non siano una novità rispetto a quanto sostenuto nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica degli ultimi 40 anni, ma per alcuni aspetti rappresentano una regressione.

1. Il cardinale scrive: "Compito del popolo eletto è ... di donare il loro Dio, il Dio unico e vero a tutti gli altri popoli". Viene espresso quindi un dovere di riconoscenza ai "nostri fratelli ebrei" che "hanno conservato la fede in questo Dio e lo testimoniano di fronte agli altri popoli". Ma lo stesso articolo parla del "dono supremo", e di Gesù di Nazareth come dono che gli ebrei "hanno fatto a noi". C'è rispetto della testimonianza ebraica di Dio; se ne conferma l'importanza attuale. Ma il ruolo ebraico si ferma sempre al messaggio della Bibbia scritta (ignorando tutto ciò che c'è insieme e dopo). In questo modo è come se gli ebrei fossero solo dei testimoni e donatori inconsapevoli; e tutto questo in perfetta coerenza con molte tesi patristiche antiche sul ruolo degli ebrei.

2. Si sottolinea, in opposizione alle tesi di Marcione e degli gnostici, che il Dio della Bibbia degli ebrei, "a volte di una tenerezza infinita, a volte di una severità che incute timore" è anche il Dio di Gesù Cristo e degli Apostoli; la "coscienza neotestamentaria... che culmina nella definizione giovannea 'Dio è amore' non contraddice il passato". È molto importante che questo concetto sia ribadito oggi, anche se il fatto che si debba ribadirlo dimostra purtroppo che la tradizione cristiana non ha affatto accolto tranquillamente quest'idea, e tantomeno educato in questo senso i suoi fedeli.

3. Il cardinale si sofferma a commentare l'immagine della donna che viene descritta nel capitolo 12 dell'Apocalisse, e spiega che si tratta di Israele che "si trasforma nel nuovo Israele, madre di nuovi popoli". Aggiunge il cardinale che l' "unificazione di tre significati - Israele, Maria, Chiesa - mostra come per la fede dei cristiani, erano e sono inscindibili Israele e la Chiesa". In questo modo riafferma il legame tra la Chiesa e le sue origini da Israele; ma contemporaneamente sottolinea il tema della novità, di un nuovo Israele. "Nuovo" può significare molte cose, in opposizione al vecchio e all'antico, e non esclude lo spettro di quella teologia cristiana che pur rispettando le origini dal "vecchio" Israele lo considera ormai esaurito nella sua funzione, e sostituito nel disegno e nel ruolo di portatore della salvezza.

4. Sul tema dell'antigiudaismo, viene esposta la dottrina ufficiale degli ultimi documenti sulla Shoà, i cui limiti sono stati ampiamente messi in evidenza, e che non vengono certamente superati in questo articolo, che abbonda di cautele espressive (le sottolineature sono mie): "...le relazioni ... degenerarono... dando origine in molti casi addirittura ad atteggiamenti di antigiudaismo che ha prodotto nella storia deplorevoli atti di violenza" . Sulla Shoà: "...non si può negare che una certa insufficiente resistenza da parte di cristiani a queste atrocità si spiega con l'eredità antigiudaica presente nell'anima di non pochi cristiani". Il nazismo – che non è nominato - viene ridotto a "un'ideologia anticristiana che voleva colpire la fede cristiana nella sua radice abramitica"; anche se questo può essere in parte vero, la sottolineatura di questo solo concetto porta quasi ad una paradossale conclusione: che gli ebrei avrebbero pagato, solo loro per conto dei cristiani, un odio che non li riguardava nemmeno tanto direttamente.

Ovviamente l'articolo non fa alcun nome di enti o persone responsabili, complici o silenziosi.

5. Sul dialogo i toni duri della Dominus Jesus sono scomparsi, ma i dubbi teologici no. Il dialogo era in quel documento il mezzo per presentare agli altri (semplici ascoltatori) la fede in Cristo. Ora il dialogo deve essere preceduto da una preghiera: prima di tutto perché doni ai cristiani "maggiore stima ed amore verso questo popolo" i cui attributi sono definiti dalle parole della lettera ai Romani di Paolo, citate per esteso. I doni divini ad Israele, aggiunge Paolo, "sono irreversibili". Il richiamo alle parole di Paolo è già presente nella famosa Nostra aetate.

È certamente importante che il cardinale lo ricordi ai fedeli e per questo va ringraziato. Ma dal punto di vista teologico queste affermazioni servono a ribadire per Israele una nobiltà ereditaria, un ruolo 'solo in funzione di', e il passaggio di testimone. La stima e l'amore per Israele discendono da una visione unilaterale e limitativa, che ignora totalmente la storia, la cultura e la fede degli ultimi 20 secoli. La seconda preghiera del cattolico, che deve precedere il dialogo, è che "doni anche ai figli d'Israele una maggiore conoscenza di Gesù di Nazareth". Riconferma del tema del dialogo a senso unico, su un obiettivo non condivisibile. Che senso ha allora l'idea della fusione finale ribadita in forma sfumata: "preghiamo che il nostro cammino avvenga su linee convergenti"? Su quale obiettivo?

6. Forse per riparare agli incidenti autunnali nei quali gli ebrei sembravano aver perso anche la qualifica di interlocutori speciali di un dialogo (per quanto a senso unico), una parte importante dell'articolo del cardinale riporta il confronto ebraico-cristiano sul piano del rapporto unico e speciale. Ma anche qui la presunta correzione di tiro esprime dati poco convincenti; la specialità del rapporto deriva dal fatto che "la fede testimoniata dalla Bibbia degli ebrei... per noi non è un'altra religione, ma il fondamento della nostra fede". Non sembra condivisibile l'entusiasmo espresso in alcuni commenti per questa affermazione. Il concetto non è certo una novità, ma base del pensiero cristiano; se è tanto importante e clamoroso doverlo affermare, significa che dopo duemila anni la Chiesa cattolica fa ancora fatica a riconoscere le sue basi bibliche! Quanto poi questo significhi per i cristiani si riduce, nella frase successiva dell'articolo, al fatto che i "cristiani - ed oggi sempre più in collaborazione con i loro fratelli ebrei - leggono e studiano con tanta attenzione, come parte del loro stesso patrimonio, questi libri della Sacra Scrittura". Tutto qui? La realtà del dialogo è ben diversa, e se solo si pensa al fatto che tanti cristiani studiano oggi non solo la Bibbia ebraica (come hanno sempre fatto, tranne molti cattolici) ma tutta l'altra produzione religiosa e culturale dell'ebraismo, se il cardinale non ne parla significa o che non ne è a conoscenza, o che - più probabilmente - non lo approvi affatto.

7. Sul tema della salvezza, infine, causa di non poco turbamento per come era stato esposto nella Dominus Jesus, in questo articolo compare solo un fugace accenno : "la salvezza che aveva come protagonista iniziale Israele" (mia sottolineatura). Il problema non è stato risolto, ma soltanto evitato.

In conclusione: le difficoltà emerse non sono state risolte in questo nuovo intervento, che ha ribadito posizioni dottrinali più antiche che recenti. L'immagine proposta per gli ebrei, per quanto positiva e rispettosa, ignora i progressi raggiunti nel dialogo degli ultimi decenni, riducendo il ruolo degli ebrei a quello di testimoni della fede, portatori del "dono", depositari e insegnanti di Bibbia, e potenziali conoscitori di Gesù, sul quale prima o poi "convergere". In ogni caso, è molto importante che si parli di confronto e si insegni il rispetto reciproco. Per questo bisogna ringraziare comunque il cardinale Ratzinger, almeno per lo sforzo che ha fatto nei limiti della sua visione teologica.
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* Già Direttore del Collegio Rabbinico Italiano, oggi Rabbino Capo di Roma

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