Mosè parlava con Dio
"e tutto il popolo ne fu testimone ...." (Es 20, 18)
 

Mons. Gianfranco Bottoni
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Responsabile per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso
Arcidiocesi di Milano


Il tema di quest'anno ci propone un colloquio tra Dio e Israele. In realtà a parlare con Dio è Mosè che gode del dono di una vicinanza e una "visione" della trascendenza divina solitamente impossibili e pericolose (Cf Es 19,12; 33,19-23; Esodo Rabbà XXVIII,6; Levitico Rabbà 1,14). L'intero popolo è testimone di questo colloquio che sancisce l'alleanza (berit) tra Dio e Israele: alla consacrazione o separazione divina, che distingue i discendenti di Abramo da tutti gli altri popoli, deve corrispondere una scelta di vita santa nel continuo ascolto degli insegnamenti rivelati. 

L'espressione "se vorrete ascoltare" utilizza la stessa radice verbale ebraica (sh-m- ‘) della professione di fede ebraica: "Ascolta (shema ) Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno!" (Dt 6,4). Pertanto il servizio sacerdotale di Israele fra le genti è l'ascolto attivo e la custodia dell'insegnamento rivelato. 

Per questo tutto il popolo è radunato ai piedi del Sinai dopo l'uscita dall'Egitto: uomini, donne e bambini sono tutti chiamati all'impegno attraverso il proprio assenso (Es 19,16). Dio propone una santità secondo l'esortazione levitica: "Sarete santi, perché Io, il Signore, Dio vostro, sono Santo" (Lv 19,2). Il verbo al futuro "sarete" esprime una tensione e l'idea di una meta da raggiungere. Non a caso Gesù nel "discorso della montagna" afferma di non essere venuto ad abolire la Torà ma a darle pienezza (Cf Mt 5,17-19): infatti i doni divini sono irrevocabili (Cf Rm 9-11).

Il dono della Torà è offerto a Israele e a tutta l'umanità. C'è un commento rabbinico che coglie l'universalità della rivelazione sinaitica nel passo "tutto il popolo vedeva le voci" (Es 20,18) esplicitandola così: "Perché `le voci'? Perché la voce del Signore si trasformava in sette suoni e da questi nelle settanta lingue, affinché tutti i popoli potessero comprendere" (Esodo Rabbà V,9). Tale divisione secondo un numero che nella Bibbia indica universalità ha come orizzonte l'umanità intera secondo la dinamica biblica della relazione e della reciprocità. 

Nel rapporto fra Israele e Dio la mediazione di Mosè avviene secondo l'espressione: "Mosè parlava e il Signore rispondeva con una voce" (Es 19,19). Nel testo masoretico la forma verbale intensiva (iedabber) sottolinea il carattere autorevole e rivelativo della parola di Mosè che media "una voce" di Dio capace di trasformarsi in settanta lingue affinché tutta l'umanità possa comprenderne il senso. 

Nella tradizione rabbinica postbiblica il dono dell'unica Torà sul Sinai è universale perché duplice: il giudaismo infatti prevede 613 mitzwot (precetti) per gli ebrei e 7 precetti noachidi (cioè dati da Dio a Noè dopo il diluvio) per tutti i non ebrei (Cf E. BENAMOZEGH, Israele e l'umanità, Marietti, Genova 1990, pp.181277 ). 

Nel Libro dei giubilei (II sec. a.C.) la Pentecoste ebraica è considerata memoriale dell'alleanza tra Dio e Noè per tutta l'umanità e non solo per gli ebrei (Cf J.J. PETUCHOWSKI, Le feste del Signore, pp.47-48 ).

Proprio durante la Pentecoste ebraica la chiesa madre di Gerusalemme si trova riunita nel Cenacolo (Atti 2). Ci sono i dodici apostoli (con Mattia al posto di Giuda), Maria, madre di Gesù, e altre donne. Gli apostoli, dodici come le tribù di Israele, alludono all'intero popolo che era ai piedi del monte Sinai (Es 19,16-18) e alcuni elementi comuni ai due testi - vento, fuoco, rumore, nube, fumo - indicano la manifestazione di Dio (teofania). 

I giudei e prosèliti che negli Atti provengono "da tutte le nazioni del mondo" corrispondono alle "settanta lingue" della parola di Dio sul Sinai. Le settanta lingue parlano di un messaggio che raggiunge "gli estremi confini della terra": l'unica parola di Dio è rivolta a tutti i (settanta) popoli o nazioni del mondo. Israele, che come primogenito riceve questa Parola, è chiamato, nell'osservanza dei 613 precetti, a preservare la propria particolarità per essere "luce delle Genti" e offrire così una testimonianza universale. Le Genti, che vengono raggiunte dalla parola di Dio fatta carne in Gesù, sono chiamate a "tradurre" l'unica e universale Parola nelle rispettive e particolari culture. 

Unica è la Parola, unica è la polarità particolare-universale, diversa e speculare è la prospettiva "missionaria" di Israele e delle Genti. Il tema della Giornata ci offre la preziosa possibilità di leggere proprio in questa prospettiva il recente documento della Pontificia commissione biblica su "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana" (LEV, Città del Vaticano 2001).

Poiché la Torà "non è più in cielo" ma è "molto vicina" all'umanità affinché possa eseguirla (cf Dt 30,12-14) è compito di ogni uomo e di ogni donna ricercarne tutti i possibili sensi. Se, da una parte, è importante che la tradizione stabilisca dei criteri interpretativi e riconosca chi ha particolare autorità nell'applicarli alla parola rivelata, dall'altra è fondamentale che ogni persona, con la propria unicità, possa portare il proprio contributo nell'orizzonte di una dialettica aperta. In altri termini: se un uomo o una donna non nascono, un senso della Scrittura non viene svelato (cf E. LÉVINAS, La Révélation dans la tradition juive, in AA.VV., La révelation, Bruxelles 1977, pp.5_6-60). 

Ecco perché è importante che tutti possano "vedere" le voci, che tutti possano "fare e ascoltare" secondo le proprie possibilità, magari anche attraverso relazioni significative, così come è accaduto a Ruth, la moabita che nel rapporto con la suocera ebrea Noemi incontra il Dio di Israele e diviene una figura importante all'interno della discendenza davidica (cf Rt 4,13-22). 

Non a caso la tradizione ebraica legge il libro che testimonia la sua vicenda proprio a Pentecoste, nel giorno in cui si fa memoria della rivelazione sinaitica. Saper "vedere" la parola/evento di Dio significa allora impegnare tutte le potenzialità umane: ascolto, azione, razionalità per rendere visibili nella storia i molteplici segni della verità che è la meta finale a cui tutti tendiamo e nei confronti della quale tutti siamo in qualche modo responsabili.

Nell'ottica della Giornata dell'ebraismo ci siamo messi in ascolto di quanto la tradizione ebraica può offrire alla nostra spiritualità cristiana, anche se non parla di Gesù Cristo. La nostra fede in Gesù nostro Signore e unico Salvatore può solo approfondirsi quando scopriamo la ricchezza e l'apertura della prospettiva ebraica che il Nazareno condivise con il suo popolo. 


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