Andrzej Strus, docente di A.T. alla
Pontificia Università Salesiana di Roma




:: 1. Complessità della problematica
      
1.1. Chi sono i «giudeocristiani»
      
1.2. "Giudeocristiani" presenti in Palestina dopo l'anno 70?
:: 2. Letteratura apocrifa di coloritura "giudeocristiana"
      
2.1. Tratti" giudeocristiani " della letteratura apocrifa del NT
      
2.2. La tradizione giudeocristiana nel Vangelo apocrifo di Giovanni
      
2.3. L 'ambiente giudeocristiano dell'apocrifo «Transitus Mariae»
      
2.4. I «testimonia» giudeocristiani sulla nascita verginale di Gesù
      
2.5. La tradizione giudeocristiana del racconto apocrifo della passione di S. Stefano
      
2.6. Conclusioni        
:: 3. Testimonianze archeologiche del giudeo-cristianesimo
      
3.1. Dati archeologici sul giudeo-cristianesimo nella Palestina nel primo sec. d. C.
      
3.2. Le testimonianze archeologiche sul giudeo-cristianesimo nella Palestina
             pre-bizantina
       
      
3.3. Recenti dati archeologici degli scavi a Khirbet Fattir {Beit Jimal)
:: 4. Conclusioni


                       


1. Complessità della problematica 

   Il tema tocca il periodo affascinante degli inizi della Chiesa. È noto al vasto pubblico, anche non familiare con la conoscenza del cristianesimo primitivo, che le origini della Chiesa si radicano in Palestina, a Gerusalemme, in Giudea e Samaria. Fu questo il primo campo dell'attività missionaria degli apostoli e dei discèpoli del Signore. Ma con Barnaba e Paolo, per citare i nomi più noti dei missionari delle genti, il movimento cristiano oltrepassa i confini di quella piccola provincia romana, che era la Palestina, raggiungendo altre comunità giudaiche prima e poi le popolazioni pagane dell' Asia Minore e dell'Europa. L'incontro tra il messaggio cristiano e le varie culture tribali, provinciali ed imperiali, coinvolge necessariamente anche il ricco bagaglio religioso e culturale proprio di questi primi missionari, tutti provenienti dal ceppo giudaico. La buona novella di Cristo viene comunicata tramite l'involucro delle convinzioni religiose, rituali e giuridiche originate nell' AT e sviluppate nella tradizione giudaica. In tale senso consideriamo per scontato il rivestimento e il colore giudaico del primo movimento missionario cristiano.
     
    
Come risulta dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere di S. Paolo, ben presto alcuni di questi fattori, specie se rituali, vengono abbandonati o modificati; ciò però non impedisce che il rivestimento fondamentale giudaico continui a costituire la nota esteriore caratteristica dell'annuncio cristiano nei primi decenni dopo la Risurrezione. Un esempio evidente ci viene offerto negli Atti da Paolo. Decisamente opposto alla Legge alla quale non attribuisce più il ruolo di sacramento della salvezza, si comporta come un Giudeo praticante il culto e i costumi della religione mosaica. Continua a frequentare il tempio e la sinagoga, scioglie un voto nel tempio di Gerusalemme, fa circoncidere il suo collaboratore Timoteo,1 e raccomanda ai cristiani l'osservanza delle norme dei cibi puri e impuri per non scandalizzare i fratelli.2 Senza rischio di errare, si può affermare che questo atteggiamento di Paolo fu normale e caratteristico dei cristiani di ceppo giudaico almeno fino all'anno 70, cioè fino alla distruzione del tempio. Datazione questa che resta come punto di riferimento valido, anche se in grado diverso, per la vicenda storica sia dei Giudei rimasti fedeli alla tradizione mosaica, sia di quelli che hanno creduto in Gesù come Messia. È noto che il primo capo della comunità di Gerusalemme, Giacomo il Minore, era da tutti considerato un saddiq, un fedele osservante della Legge.3


1.1. Chi sono i «giudeocristiani»

    Per questo primo periodo, cioè fino all'anno 70, la maggior parte degli studiosi è d'accordo circa la coloritura giudaica del cristianesimo sia di Palestina che di fuori della Palestina. È il periodo successivo, cioè gli anni tra il 70 e il 350 circa, che divide gli studiosi, dai biblisti ai patrologi, dagli archeologi agli storici, circa il persistere del giudeo-cristianesimo. Le domande che si pongono sono di vario tipo. Ha la Chiesa di Palestina conservato in detti quattro secoli la sua fisionomia specifica, segnata dalla "cultura" giudaica? Ci sono degli elementi, che autorizzano a qualificare il cristianesimo di Palestina come "giudaico"? Nel caso affermativo, come si distinguono le comunità cristiane "giudaiche" di Palestina da quelle della Grande Chiesa presenti sia in Palestina che nel resto dell'impero romano? È doveroso rispondere, sia pur brevemente, a queste domande per delimitare con più chiarezza il campo della nostra indagine.
    Cominciamo dalla seconda domanda. La definizione genetica, che qualifica come "giudeocristiani" i cristiani nati Ebrei, costituisce un primo punto fermo valido. All'identità etnica sono necessariamente legate le peculiarità della lingua, della mentalità e della cultura, tutti tratti distintivi anche nel giudaismo. In questo senso abbiamo inteso come "giudaiche" le comunità cristiane di Gerusalemme della prima generazione post-apostolica sopra menzionate. Ma il passaggio da tale definizione genetica a quella proposta da J. Danielou,4 che indica come "giudeo-cristianesimo" ogni espressione ed ogni contenuto del pensiero dei cristiani di origine giudaica, appare forzato e rischia di etichettare come "giudeocristiana" tutta la teologia cristiana.5
Nell'ulteriore ricerca dell'identità del movimento si sono espressi: B.J. Malina con la distinzione tra il giudaismo, il giudaismo cristiano e il cristianesimo giudaico;6 S.K. Riegel con la distinzione tra il "giudeo-cristianesimo", il "cristianesimo ebraico" e il "cristianesimo giudaico";7 G. Strecker con una definizione basata su un' autotestimonianza del giudeocristianesimo presente in una fonte delle Pseudoclementine.8
    
Recentemente S. Mimouni ha proposto una sua definizione, precisando che "giudeo-cristianesimo antico" è denominazione recente. Essa designerebbe l'insieme degli Ebrei che hanno accolto Gesù come Messia, accettandone o non accettandone la divinità, e osservando, nella pratica religiosa, la Legge. Le caratteristiche specifiche dovrebbero risiedere nel fatto di aver accolto Gesù come Messia, e di aver conservato l'osservanza della Legge. Siccome poi non tutti coloro che avevano riconosciuto Gesù come Messia hanno accettato la sua figliolanza divina, si deve distinguere tra i giudeocristiani "ortodossi", cioè quelli che riconoscono in Gesù il Figlio di Dio, e quelli "eterodossi" che invece non lo riconoscono.9
    Accettiamo questa definizione, intendendo però il concetto di "osservanza della Legge" come la conservazione delle categorie giudaiche nella teologia e del comportamento religioso e sociale giudaico, il quale comportamento non è però da identificare con la stretta osservanza legale e cultuale giudaica.10 Secondo questa accezione i "giudeocristiani" sarebbe
ro quei cristiani di origine giudaica che hanno riconosciuto Gesù di Nazaret come Messia, accettando o no la sua figliolanza divina, e che hanno conservato la struttura giudaica nella teologia e il comportamento religioso e sociale giudaico.
  
1.2. "Giudeocristiani" presenti in Palestina dopo l'anno 70?

   Affrontiamo ora la prima domanda, e cioè: si può affermare che la Chiesa di Palestina abbia conservato fino al IV secolo, almeno in una parte, la sua fisionomia specifica, fortemente contrassegnata da elementi distintivi "giudaici"? Una risposta parziale ci viene data dalle testimonianze dei Padri. Essi conoscono, ancora nel tempo di Epifanio e di Girolamo, varie sette "giudaiche" in seno al cristianesimo palestinese;11 inoltre fanno riferimento ad alcune (a dir vero poche!) località in cui vivevano ancora all'inizio del V sec. dei giudeocristiani eretici. Va da sé, però, che questi ultimi non rappresentavano il cristianesimo palestinese di carattere giudaico e pertanto che le sette come tali non possono costituire una testimonianza esauriente circa I' eventuale presenza di giudeocristiani in Palestina, intesi nel senso precisato sopra. Dobbiamo ulteriormente chiederci se i cristiani "ortodossi" di questa provincia romana, in stragrande maggioranza di origine ebraica, pur credendo in Cristo come Figlio di Dio, abbiano effettivamente conservato le tradizioni e la cultura "giudaica" anche
dopo il 70, almeno fino all'avvento dell'impero romano d'oriente. Raggiungiamo così l'ultima domanda che riguarda la possibilità di costatare e precisare le differenze distintive dei cristiani "giudei" rispetto agli altri cristiani di origine e cultura greco-romana. Ambedue queste domande vanno intese come complementari tra loro. In altre parole: è possibile ricavare dalla letteratura cristiana del tempo e dalle ricerche in campo archeologico dati di carattere storico relativi alle domande formulate sopra?
    Va detto subito che a tutt'oggi manca tra gli studiosi l'accordo circa la presenza, intesa nel senso specificato sopra, di "giudeocristiani" in Palestina dopo la dispersione degli Ebrei avvenuta nel 135 d.C. La scuola francese dei PP. Domenicani di Gerusalemme, p.es., rifiuta tale ipotesi, ritenendola non suffragata da alcuna testimonianza archeologica o epigrafica. Al contrario, la scuola biblica dei PP. Francescani della Flagellazione (Gerusalemme) dà per scontata la presenza di giudeocristiani in Palestina, adducendone numerosissime prove sia in campo archeologico, che in quello letterario.12
    Si può affermare che l'ipotesi a favore si fa sempre più strada tra i biblisti e gli archeologi, anche se non mancano strenui oppositori, come per esempio J.E. Taylor con il suo recente libro del titolo significativo: Cristiani e i luoghi santi. Il mito delle origini giudeo-cristiane.13 Ma anche per chi accetta la presenza di giudeocristiani in Palestina durante tutti i primi quattro secoli rimane il problema della loro "identificazione". Si può infatti solo supporre che la maggior parte di essi fossero ortodossi quanto alla dottrina cristiana, ma, conservando le categorie teologiche proprie del giudaismo intertestamentario, siano rimasti per lungo tempo fedeli anche alle tradizioni religiose giudaiche. Non si può specificare di più. Non è possibile cioè precisare se essi furono dei cristiani giudaizzanti, dei giudei cristianizzati, o dei cristiani sintonizzati con la dottrina della grande Chiesa, ma intaccata da elementi giudaici. Su questi punti possiamo costatare solamente la complessità della problematica che è lungi dall'essere risolta. Non è nostro compito qui proporre delle soluzioni. Vorremmo solo soffermarci su alcuni dati di tipo archeologico e letterario apocrifo, che potrebbero forse meglio illuminare l'ipotesi della presenza, nella Palestina romana, di cristiani "giudei", in qualche modo differenziati dal cristianesimo della Grande Chiesa.


2. Letteratura apocrifa di coloritura "giudeocristiana"  

   I testi apocrifi del NT, cioè gli scritti non accettati nel canone della Chiesa, alcuni noti da tempo, altri scoperti recentemente, ed altri ancora da scoprire, sono numerosissimi e spesso sfuggono ad ogni tentativo di sistematizzazione. Non è possibile passarli qui in rassegna uno ad uno, ma di quasi tutti si può dire che hanno in comune la tendenza a raccontare episodi della vita di Gesù e delle persone a Lui vicine, integrando così i dati degli scritti canonici. Per uno sguardo d'insieme possiamo raggrupparli in 4 categorie: a) racconti riguardanti l'infanzia di Gesù e la sua famiglia, b) episodi della vita di Gesù, della sua passione e risurrezione, riuniti sotto il titolo di "vangeli" o di "atti", c) racconti della dormizione della Madonna, chiamati Transitus Mariae, d) scritti apocrifi di maestri della Legge diventati cristiani, come Stefano, Gamaliele, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea.

2.1. Tratti" giudeocristiani " della letteratura apocrifa del NT

    
Le affinità con l'ambiente giudeocristiano possono essere stabilite dall' esame del linguaggio e dei temi caratteristici del giudaismo intratestamentario. L' appartenenza a questo ambiente può essere pure confermata per quegli scritti che esaltano personaggi del Giudaismo o riportano usanze conformi alla Legge mosaica.
    I racconti relativi alla nascita e all'infanzia di Gesù e a quella di Maria, alla vita e alla morte di Giuseppe evidenziano caratteristiche giudaiche. Perciò è lecito affermare che alcuni di questi racconti riflettono la tradizione conservatasi nell'ambiente della famiglia di Gesù. È vero che la mescolanza con materiale leggendario e fiabesco, oltre che con materiale di carattere gnostico, rende difficile la verifica del loro sfondo storico. Il fatto però che la Grande Chiesa, pur rigettandoli, ne abbia conservato vari elementi nella liturgia e nella pietà (per esempio le antiche feste mariane a Gerusalemme ispirate al Protovangelo di Giacomo) indica senza ombra di dubbio un dato importante per la nostra questione, cioè che essi avevano in se la garanzia di autenticità tramandata da coloro che li avevano ereditati sin dall'inizio, cioè dai cristiani di ceppo giudaico.
   Lo stesso vale per il gruppo dei Vangeli e degli Atti apocrifi, tra cui alcuni sono certamente di origine giudaica, come per esempio il Vangelo degli Ebrei, scritto in aramaico, o il Vangelo chiamato degli Ebioniti, cioè di cristiani ebrei eterodossi, o ancora il Vangelo dei Nazareni o Nazorei, usato dalle comunità più ortodosse. Altri Vangeli, e particolarmente gli Atti di vari Apostoli, sono di chiaro stampo eretico, come gli Atti di Andrea, Giovanni e Paolo che circolavano tra i manichei, o il Vangelo di Tommaso, testo gnostico ritrovato tra gli scritti copti, così che non possono dar prova se sono stati scritti nell'ambiente delle tradizioni giudeo-cristiane, oppure se fatti a posta per legittimare le eresie.

2.2. La tradizione giudeocristiana nel Vangelo apocrifo di Giovanni

    
Studi recenti permettono di affermare con più certezza che alcuni di questi apocrifi, come per esempio il Vangelo di Pietro, le Ricognizioni Clementine, l'apocrifo detto Vangelo di Giovanni, risalgono al II sec.,14 e costituiscono una preziosa eredità mistico-religiosa della Chiesa di Siria, in questo periodo compOSta in buona parte da cristiani di estrazione ebraica, prevalentemente mesopotamica. In particolare il vangelo apocrifo di Giovanni, l'unico tra i vangeli apocrifi o meno che traccia la missione di Gesù dalla nascita alla predicazione degli apoStoli, oggi conosciuto nella versione etiopica ed araba, a giudizio di L. Moraldi, dimostra «una nuova conoscenza dell' Antico Testamento, lo sente in modo sottile e profondo e ne addita in Gesù non solo la chiave, ma l'avvio al compimento delle sue linee portanti».15 Esso inizia con la creazione del mondo, il primo peccato e l' espulsione dal paradiso, per poi passare quasi subito all'elezione di Maria, «santa e doppiamente vergine ». Con Maria Dio fa il SUo ingresso nel mondo; sulla via della Passione-Morte-Risurrezione  di Gesù va segnato in maniera definitiva il trapasso dall'Antico al NUoVo Testamento. «La linea seguita in questo vangelo: per quanto riguarda l' AT», afferma ancora Moraldi, «è vicina al vangelo di Matteo, ma più estesa, approfondita e sottile ».16 In questo vangelo Gesù è stretto, anche sulla croce, dai resti simbolici dell' Antico Testamento: il legno dell'arca e la tunica di Aronne. Il vangelo apocrifo di Giovanni è una preziosa testimonianza del giudeo-Cristianesimo che tramanda uno schema assolutamente nuovo di predicazione evangelica, cioè lo schema che va dalla creazione dell'universo fino ai primi protagonisti dell'evangelizzazione cristiana. Il quadro del vangelo coglie alcuni eventi dell' AT e dà l'avvio all'ingresso di Maria nella storia della salvezza.

2.3. L 'ambiente giudeocristiano dell'apocrifo «Transitus Mariae»

   
L'accenno a Maria nell'apocrifo di Giovanni apre una nuova problematica particolarmente interessante, quella del ruolo della Madre di Cristo nella letteratura attribuibile all'ambiente giudeocristiano. Il racconto degli ultimi giorni della vita di Maria, della sua dormizione morte e dell'assunzione al cielo, ha trovato un'accoglienza tutta particolare nella letteratura cristiana di edificazione. Oggi conosciamo ben 67 apocrifi che hanno a tema il racconto, chiamato Transitus Mariae. Essi hanno avuto uno straordinario successo di diffusione in varie recensioni nelle chiese di Oriente e di Occidente. Gli studi sull'apocrifo della Dormizione hanno raggiunto una nuova svolta con la monografia di F. Manns dedicata allo studio storico-letterario del manoscritto greco della Biblioteca Vaticana.17 L' autore adduce prove convincenti, a livello sia linguistico che contenutistico, per la sua datazione tra il II e IV sec., sicuramente prima del concilio di Nicea. L' ambiente di origine dell'apocrifo è da cercare in Palestina, nelle comunità vicine all'insegnamento dell'apostolo Giovanni, di cultura e mentalità giudaica.18 Ma Manns distingue tra la data d'origine del racconto e la tradizione che ne ha veicolato il contenuto a livello orale: questa risalirebbe certamente a un periodo più remoto. L' apocrifo fa uso dei simboli legati alla festa delle Capanne (succot) e presenta Maria come una donna che osserva le prescrizioni della Legge: ad es. fa il bagno rituale in una miqueh (ambiente per i bagni rituali prescritti
per le varie circostanze) nella vigilia della festa. Il linguaggio teologico dell'apocrifo, che è quello della comunità giovannea, risulta molto vicino alla Bibbia e all'ermeneutica dei midrashim. Il racconto dell'assunzione di Maria al cielo segue da vicino lo schema assunzionista comune agli apocrifi dell' AT come la Vita di Adamo e di Eva, il Testamento di Abramo e il Testamento di Giobbe. Tutto questo farebbe pensare all'apocrifo della Dormizione di Maria come a un Testamento ispirato a Gv 19,27. L'ambiente delle «comunità giovannee in Palestina», conclude Manns, «ha conservato un vivo interesse per la sorte finale di Maria, fino a metterne per iscritto il racconto, approfondendo le Scritture alla maniera dei midrashim e ricorrendo a motivi apocalittici propri della letteratura giudaica».19
    Queste conclusioni sono importanti in quanto rimettono in questione la tradizionale definizione degli apocrifi, e in quanto aprono il discorso sulla tradizione cristiana orale coltivata negli ambienti giudaici. Infatti, è proprio sulla base del racconto della Dormizione che si dovrebbe ridefinire la categoria "apocrifo". Il termine non va cioè inteso come il contrario di "canonico", bensì come un'espressione letteraria diversa da quella "canonica", spesso complementare a quella e appartenente agli ambienti cristiani ortodossi. Questi scritti, intaccati ben presto da errori dottrinali, sono stati poi esclusi, in tempi successivi, dalla letteratura religiosa della Grande Chiesa.
    Per quanto riguarda l'apocrifo in questione, esso sarebbe da attribuire a cristiani provenienti dalla sinagoga, ed esprimerebbe, con il ricorso a categorie e generi letterari giudaici, un' antica tradizione delle comunità cristiane di Gerusalemme, che avevano una venerazione particolare per Maria, celebravano la sua Dormizione e conservavano il ricordo della sua tomba.
    Si può allora affermare che l'apocrifo ci trasmette dei ricordi autentici sulla fine della vita di Maria a Gerusalemme? È difficile poterlo dimostrare in un racconto midrashico, dove
possono sì esistere dati storici autentici, ma essi essendo subordinati, in questo tipo di narrazione, alla finalità didattica, non si lasciano punto individuare con certezza. Resta però il fatto che alcuni dati, estrapolati dall'involucro narrativo-Ieggendario, hanno trovato curiosamente conferma, anche se non in senso assoluto, nelle ricerche archeologiche. Così H. Hagatti, studiando la disposizione e la struttura della tomba di Maria a Gerusalemme, vi ha trovato gli elementi raccontati nell'apocrifo?O Da parte sua, l'archeologo benedettino H. Pixner, scavando sotto la chiesa della Dormizione, che conserva il ricordo della casa dove abitava Maria, ha trovato sotto il tempio i resti di una povera casa giudaica del I sec., con una piccola vasca da bagno per le abluzioni rituali. Identificando questi resti con la casa di Maria, egli vi vede la conferma dell'apocrifo che parla del bagno rituale che Maria aveva fatto nella sua casa alla vigilia della festa delle Capanne 21
    Ovviamente, le interpretazioni dei dati accostati in questo modo sono rischiose, in quanto non oggettivamente controllabili, ma esse pongono la domanda circa il valore storico della tradizione orale conservata nelle comunità cristiane giudaiche e sottostante al materiale apocrifo.
    H. Pixner difende in varie pubblicazioni la tesi dell'esistenza di un'haggadah, cioè di un'interpretazione giudaica delle Scritture, di carattere cristiano, che provava, sulla base scritturistica, il compimento delle promesse veterotestamentarie nella persona di Gesù, il Messia. Questa haggadah avrebbe avuto all'origine i fatti della vita di Gesù conservati da Maria stessa e dai suoi parenti, e sarebbe stata tramandata nell'ambiente del gruppo familiare di Gesù, abitante a Gerusalemme.22 Alcuni elementi dell' haggadah della famiglia del Salvatore avrebbero trovato posto nei vangeli canonici di Matteo e di Luca; altri invece finirono nei vari racconti apocrifi. A conferma di questo vi sarebbe il fatto che il Transitus Mariae, pur escluso dal canone, è stato tenuto nella Chiesa sempre in grande considerazione sia per lo sviluppo dei dogmi, che per la liturgia e per l'iconografia.

2.4. I «testimonia» giudeocristiani sulla nascita verginale di Gesù

    
Nella stessa linea sembra muoversi E. Norelli, che in un recente studio. sull'apocrifo cristiano Ascensione d'lsaia individua alcuni dati provenienti dalle antiche tradizioni della vita di Gesù, tradizioni alle quali sono debitori anche i vangeli canonici di Matteo e di Luca.23 A giudizio di Norelli queste tradizioni conservavano e veicolavano, nelle prime comunità cristiane, materiali di origine e di orientamento teologico diversi, riguardanti la nascita, la missione e l'insegnamento di Gesù. Il racconto della concezione e della nascita verginale di Gesù presente nell' Ascensione di Isaia non dipenderebbe dal Vangelo di Matteo, come comunemente si afferma, ma da un racconto più antico, che sarebbe servito come fonte sia per Matteo che per l'autore dell'apocrifo.24
    Studiando queste tradizioni, presenti anche in altri apocrifi, ad es. gli Atti di Pietro e Simone, Norelli dimostra come i vari testi sviluppino la stessa dottrina sotto diversi punti di vista, adoperando a tale scopo tutta una serie di citazioni della letteratura giudaica. Ad es., per il racconto della nascita verginale di Gesù, Matteo fa uso di una sola citazione (Is 7, 14 ), l' Ascensione d'lsaia ne sfrutta tre, gli Atti di Pietro e Simone ricorrono a ben undici citazioni, di cui sette dai libri canonici dell' AT e quattro da testi apocrifi sconosciuti. Di qui la conclusione che già nel I sec. dovesse esistere una raccolta di profezie sia canoniche sia apocrife relative alla nascita di GesÙ da Unii vergine. Questa raccolta avrebbe veicolato l'insegnamento sulla concezione e nascita verginale di Gesù in modo indipendente dai racconti di Matteo e di Luca, i soli più tardi diventati canonici 25 La raccolta di Testimonia per la cristologia da parte dei cristiani delle primissime comunità di Gerusalemme sarebbe parallela, come genere letterario, all'haggadah cristiana dell'ambiente della famiglia di Gesù supposta da B. Pixner.

2.5. La tradizione giudeocristiana del racconto apocrifo della passione di S. Stefano

    
A conferma di queste considerazioni si aggiungono ora altri dati provenienti dai racconti apocrifi attribuiti o relativi ai grandi maestri d'Israele diventati cristiani. Come si è accennato sopra, vi sono alcuni scritti sorti in ambiente giudeocristiano, che riguardano i grandi rabbini d'Israele: Gamaliele, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, ed anche il diacono Stefano, il protomartire della Chiesa di Gerusalemme. In alcuni racconti del suo martirio, Stefano è chiamato esplicitamente «uomo saggio e istruito, membro del Sinedrio».
   Nel quadro dell'ampia ricerca che stiamo facendo sulla tradizione della morte, della sepoltura e del ritrovamento del corpo del santo Protomartire, abbiamo potuto analizzare anche il testo apocrifo della sua Passione conservato in due manoscritti greci, ancora inediti, della Biblioteca Ambrosiana di Milano e della Reale Biblioteca dell'Escorial di Madrid. I due codici risultano essere recensioni diverse di una fonte comune, scritta o orale.26 Confrontandoli con altre recensioni non greche, già conosciute, siamo giunti alla conclusione che il testo dell' Ambrosiana è una rielaborazione posteriore della versione più antica rappresentata dal testo dell' Escorial.
     Prescindendo dal confluire di alcuni dati storici molto antichi, di materiali dottrinali, di alcune allusioni di carattere gnostico e di ricco materiale leggendario nella versione più antica, si nota il carattere composito del racconto. I frammenti in origine indipendenti, ma coagulati in un solo racconto, contengono alcuni elementi in comune, tra cui: la dottrina cristologica di Stefano, il suo discorso sulla nascita verginale di Gesù, il materiale anti-paolino e la tradizione di Pilato. I tratti spiccatamente giudaici appaiono con chiarezza nel codice con il testo più antico. Il discorso di Stefano sulla nascita verginale di Gesù si avvale di sei citazioni considerate prese "da Profeti, Giudici e Salmi". Tra queste, tre provengono dai testi canonici, mentre altre tre appartengono a fonti sconosciute: un libro della Seconda Legge (deuteronomion «lasciato a noi» dice l'apocrifo), un libro di Natan e un libro di Baruc, diverso dagli scritti di Baruc, canonici o no, a noi noti. Una delle citazioni da fonte sconosciuta è vicina tematicamente a quelle studiate da Norelli. Abbiamo quindi un'altra prova delle testimonianze bibliche e pseudo-bibliche a favore della nascita verginale di Gesù, facenti parte della raccolta in circolazione negli ambienti giudeocristiani. Può darsi che la precisazione dell' apocrifo «il libro lasciato a noi» si riferisca a questa raccolta di citazioni-testimonia.
    
I testimonia del nostro apocrifo contengono un'altra preziosa informazione, l'unica di questo genere, e cioè la citazione di Sal 132,8 a prova della nascita dalla vergine. Nella citazione del Salmo, Sorgi, Signore, Tu e l'arca della tua santità!, l'espressione "l'arca della tua santità" viene riferita alla Madre di Cristo. Avremmo per la prima volta un riferimento esplicito dell'arca dell'alleanza a Maria, riferimento presente solo implicitamente, secondo l'opinione dei biblisti, in Lc 1,39ss e in Gv 1,12-14. 27
Quale potrebbe essere la data d'origine dell'apocrifo della passione di S. Stefano? Alcuni dettagli storici, come p.es. la menzione della «celebre città di Tiberiade», diventata appunto celebre nel II sec. d.C. come sede del sinedrio, o la curiosa citazione di Gen 3,28 come prova biblica della verginità di Maria, attestata anche da Tertulliano, o ancora l' appellativo di «seduttore" dato dai Giudei a Gesù, presente in alcuni apocrifi cristiani ma soprattutto nel Testamento di Levi e nel dialogo di Giustino con Trifone,28 sembrerebbero far convergere sul II sec. Per prudenza tuttavia possiamo ampliare la datazione ai secoli II-III, ma non oltre, perché nella cristologia del discorso di Stefano mancano ancora alcuni articoli di fede formulati dal concilio di Nicea.
    Vi sono però chiari indizi per sostenere che dietro il racconto scritto doveva esserci una tradizione orale, la cui origine va ricercata nel I sec. Ne elenchiamo due:

  1. Nella lunga descrizione del giorno del giudizio, che fa da commento all'articolo di fede «Egli veuà a giudicare i vivi e i morti», Stefano afferma: allora «si siederà il Signore Dio, il Pantocrator, e il suo glorioso Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e lo Spirito dell'alleanza insieme con Lui». Il titolo «Spirito dell'alleanza» invece di «Spirito Santo» si ispira all' AT, e siccome non ricoue ne nel NT ne in altri scritti posteriori, potrebbe implicare un' origine assai remota, se non addirittura pre-canonica; invece il titolo «Pantocrator», presente ben nove volte nell' Apocalisse,29 conferma le affinità lessicali tra l'apocr'ifo e l'ambiente giudaico del I sec.<(li>

  2. Il secondo indizio è l'interpretazione midrashica dell'affermazione di Stefano: Vedo i cieli aperti e il Figlio di , Dio che sta alla sua destra (Atti 7,56), combinata con la citazione di Sal 110, 1: Siedi alla mia destra, finche io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Tale interpretazione si ha nelle parole di Garnaliele: «Avete dunque conosciuto, o figli d'Israele, come l'uomo santo e degno di onore ha visto il Figlio di Dio, ritto alla sua destra, che sdegnato dice al Padre: "Guarda, Padre, come ancora impazziscono i Giudei contro di me! E non cessano di tormentare coloro che confessano il mio nome." E il Padre gli dice: "Siedi alla mia destra finche io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi"». Nel primo dei due discorsi di Stefano la suddetta citazione del Sal 110 ricorre nel contesto del giorno del giudizio, presentato non come la Parusia, ma, secondo l'apocalittica giudaica, come la fine dell'universo consumato nel fuoco; fino a quel giorno il Figlio rimane ritto alla destra del Padre. Ora, secondo le parole di Gamaliele, Stefano vede il Figlio di Dio ritto alla destra del Padre e sdegnato perché i Giudei «ancora impazziscono» contro i suoi fedeli, mentre il Padre gli risponde: «siedi ( ora) alla mia destra». L' avverbio "ancora", da una parte, e l'atto ormai imminente di mettersi seduto alla destra del Padre, dall'altra, indicano che siamo nella prospettiva del giorno del giudizio ormai vicino. Non si può non vedere qui lo stesso clima di attesa dell'imminente giudizio, che Paolo nota, attorno agli anni '50, nell'atteggiamento dei Tessalonicesi, e al quale allude la seconda Lettera di Pietro (3,8-10).

2.6. Conclusioni

   
L'apocrifo della Passione di Stefano, come i vangeli apocrifi di Gamaliele, di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea, mette in risalto la conflittualità tra i Giudei che credono in Cristo e quelli che Lo rifiutano. Questa conflittualità, nota anche da altre fonti antiche, determina la linea di divisione all'interno del popolo giudaico: è la cristologia che divide i Giudei. Nel nostro apocrifo, gli uni, specialmente il sinedrio, i sommi sacerdoti e una folla anonima con Saulo in testa, non accettano Gesù, Figlio di Dio glorificato alla destra del Padre;
gli altri, pure una folla sempre più crescente, ma soprattutto i grandi maestri come Gamaliele, Nicodemo e Stefano stesso, lo annunciano con convinzione come Figlio di Dio, pronti a patire per questa verità. Essi diventano personaggi-bandiera per le comunità cristiane di ceppo giudaico, ed anche, in certo senso, la veritas hebraica per i cristiani venuti dal paganesimo. La loro testimonianza si aggira attorno a poche, ma fondamentali verità-chiave: Gesù è il Messia promesso ai padri; Gesù è il Figlio di Dio nato da una vergine secondo la carne, essendo la sua nascita annunziata dalla Legge, dai Salmi e dai Profeti; Gesù patì sul legno della croce per togliere I'ignominia dell'antico legno del paradiso, ma risuscitando ridonò a tutti la vita; infine, «Colui, che voi avete appeso sul legno», verrà a giudicare i vivi e i morti.
    Il fatto che noti uomini saggi d'Israele professino queste verità significa che tutta la controversia si concentra sull'accoglienza o non-accoglienza della vera sapienza d'Israele già preannunciata nell' AT. Non si tratta di essere o non essere Giudeo, ma di essere Giudeo nella verità o Giudeo nell'errore. È molto significativo l'appello di Saulo fatto a Stefano: «Ti piaccia che siano custodite le nostre tradizioni patrie!», al quale il diacono risponde: «Smettila, Saulo! Non contaminare la nostra razza apostatando dal Dio vivente e rinnegando il Figlio di Dio, speranza della salvezza del mondo». L 'uno e I'al-tro si appellano alla tradizione e alla razza, ambedue vogliono difenderle, ma la verità sta dalla parte dei maestri istruiti e saggi, tanto che anche a Saulo, pure lui maestro della Legge, Stefano predice: «Dopo non molti giorni dovrai anche tu bere questo calice e diventare servo di Gesù il Nazareno».
    Stando a questi dati, possiamo dire che dalla letteratura apocrifa emerge un'immagine di cristiani di origine giudaica radicati sì nelle loro tradizioni patrie, ma, forti delle prove scritturistiche, attaccati anche alla verità di Gesù il Nazareno, il Figlio di Dio nato, secondo la carne, da una vergine, dalla loro stirpe.

3. Testimonianze archeologiche a favore del giudeo-cristianesimo 

   Mentre i dati letterari sono in grado di offrire alcuni lineamenti della struttura teologica "giudaica" dei giudeocristiani, i dati archeologici si limitano a fornire prove della loro presenza nello spazio e nel tempo della Palestina "romana". L' archeologia ha infatti un certo vantaggio, ma anche un grosso limite nel rendere il suo servizio di appoggio alle ricerche bibliche e post-bibliche in Palestina. Il vantaggio sta nel fatto che l'archeologia può fornire delle prove inconfutabili in quanto verificabili; nello stesso tempo però essa denuncia i propri limiti, perché spesso incapace d'interpretare i dati in modo univoco e oggettivo. I reperti archeologici non sono corredati, ordinariamente, di informazioni che ne indichino la funzionalità in riferimento a una determinata struttumt' ra culturale o teologica.
   
I dati archeologici che possono essere riferiti ai giudeocristiani riguardano essenzialmente due periodi: a) quello tra la risurrezione di Gesù e l'anno 70 d.C.; b) quello tra la dispersione degli Ebrei dalla Palestina e Costantino.

3.1. Dati archeologici sul giudeo-cristianesimo nella Palestina nel primo sec. d. C.

   Alcuni dati archeologici hanno gettato luce sulla presenza della comunità giudeocristiana a Gerusalemme, tra l'altro grazie alla possibilità di una loro interpretazione più attendibile, perché sostenuta dalle informazioni di Giuseppe Flavio e dagli scritti di Qumran. Cosl dalle scoperte archeologiche è scaturita la convinzione della presenza di giudeocristiani nel quartiere sud-ovest di Gerusalemme, sul cosiddetto Sion cristiano, nella vicinanza immediata del quartiere esseno. I dati archeologici hanno riproposto a livello topografico lo stesso quadro che si era notato attraverso gli studi degli scritti di Qumran. Come nelle fonti letterarie si sono rilevate qua e là
somiglianze lessicali e talvolta tematiche tra l'insegnamento degli Esseni ed alcune espressioni della teologia cristiana, così anche i dati archeologici hanno rivelato, se non altro, almeno la vicinanza topografica tra la comunità essena e quella cristiana. Sempre da questi dati si apprende che i primi cristiani di Gerusalemme avevano una loro sinagoga, come luogo di culto, la vera Chiesa-Madre, perché primissima in ordine di tempo, e probabilmente continuavano la prassi delle abluzioni rituali giudaiche, come dimostrano alcune miqueh trovate nel loro quartiere. I titoli cristologici "Gesù", "Salvatore", "Signore dell'autocrator", trovati incisi sul pavimento della chiesa-sinagoga situata nel luogo dell'attuale Cenaco10,30 alludono ad alcuni temi del primo discorso di Pietro a Gerusalemme (Atti 2,14-36). Diversi segni trovati sugli ossari della vasta necropoli del Monte degli Ulivi (Dominus Flevit) sono stati interpretati come crittogrammi giudeocristiani dai PP. Bagatti e Testa.31 L 'interpretazione dei PP. Francescani, accolta all'inizio con una certa diffidenza, ha trovato successivamente conferme in altri scavi. Perciò è legittimo sostenere che la necropoli Dominus Flevit appartenesse in gran parte ai giudeocristiani del I e della prima metà del Il secolo.

3.2. Le testimonianze archeologiche sul giudeo-cristianesimo nella Palestina pre-bizantina

    
Per quanto riguarda il periodo tra l'anno 135 e il IV sec., l'archeologia non dispone di molti dati per contribuire alla conoscenza del giudeo-cristianesimo. Le ricerche dei PP . Francescani di Gerusalemme hanno messo in luce vario materiale epigrafico, in gran parte composto di segni simbolici e di crittogrammi, che risalgono a questo periodo. Forse la loro interpretazione ha esagerato nell'etichettare vari oggetti come "giudeocristiani", ma non si può negare che la tipologia di alcuni segni e la loro presenza nei luoghi venerati più tardi dai bizantini si spiega solo se attribuita a quei cristiani, che, scomparsi nel IV -V sec., hanno portato con se nella tomba l'arcano linguaggio della loro simbologia. È in base all'interpretazione di questi segni che gli archeologi francescani hanno constatato la presenza di giudeocristiani a Gerusalemme, Betlemme, Emmaus, Nazaret, Cafarnao, Cana, Sefforis e un po' dappertutto in Giudea e in Galilea (fig. 1).32 Purtroppo dai dati molto frammentari non si può ricavare altro, oltre il fatto che i cristiani del ceppo giudaico usavano la ricca simbolica trinitaria, cristologica, soteriologica e sacramentaria. Non si può dedurre nulla circa la loro osservanza o meno della Legge giudaica, ne circa il modo in cui si effettuò il passaggio dal giudeo-cristianesimo al cristianesimo dei Gentili. L 'ipotesi di uno slittamento soft, sostenuta dalla scuola francescana, si basa sulla continuità dello stesso culto. Ciò indicherebbe un passaggio quasi naturale; le comunità giudeo-cristiane sarebbero state gradualmente assorbite dai cristiani della grande Chiesa. Tuttavia non è da escludere che il fenomeno religioso fosse rimasto legato di più ai fenomeni politici e sociali, dei quali i resti archeologici non hanno conservato traccia, e perciò non si può dire se il passaggio sia stato pacifico o più sofferto e marcato da conflitti.
    Archeologi israeliani hanno trovato in due cimiteri antichi, presso Beit Guvrin e a Gerusalemme, simboli giudaici e cristiani incisi gli uni accanto agli altri e risalenti al III e IV secolo.33 Secondo la loro interpretazione si tratta però di due fasi cronologicamente diverse, così che i segni della religione mosaica sono propriamente giudaici, mentre quelli cristiani sarebbero stati aggiunti successivamente da nuovi e diversi proprietari. Ci sarebbe quindi una chiara cesura tra il giudaismo e il cristianesimo in Palestina.
   L' archeologa francese Claudine Dauphin interpreta simile fenomeno, notato in alcune località del Golan, in senso esattamente opposto. Studiando i simboli giustapposti sugli stessi oggetti, come la croce e il candelabro a sette braccia (menorah), il ramo di palma (lulav) e il pesce, il grappolo d'uva e il calice, ella ha concluso che essi sono contemporanei e appartengono alla stessa popolazione.34 Questa popolazione giudeocristiana, risalente al periodo tra il Il e l'inizio del V sec., sarebbe, secondo l'archeologa, non ortodossa, da identificare con quegli Ebioniti che ancora ai tempi di Epifanio abitavano a nord-est del Lago di Genezaret. Avrernrno dunque una prima testimonianza archeologica della presenza di cristiani di ceppo giudaico sopravvissuti fino all'inizio del V sec., ma separati dalla grande Chiesa per motivi dottrinali. La loro scomparsa fu occasionata dal confronto non tanto con altri giudeocristiani ortodossi, quanto con l'ortodossia della Chiesa. Contrariamente a quanto sostengono gli archeologi israeliani, la cesura in questo caso non sarebbe tra il giudaismo e il cristianesimo, ma tra il giudeo-cristianesimo eretico e il cristianesimo ortodosso.

3.3. Recenti dati archeologici degli scavi a Khirbet Fattir {Beit Jimal)

    
Un nuovo e recentissimo contributo per questa ricerca viene dagli scavi a Beit Jimal, presso Bet Shemesh in Israele, condotti da 6 anni sotto il patrocinio di questa Università Salesiana. La campagna dell'anno scorso, realizzata sotto la direzione di P. Piccirillo e mia, ha offerto alcuni risultati di particolare interesse per il giudeo-cristianesimo, che vorrei presentare in anteprima in questa pubblicazione.
   La ricerca a Beit Jimal riguarda innanzitutto la tradizione bizantina del culto di S. Stefano Protomartire. Beit Jimal potrebbe essere il luogo della sepoltura del Santo e l'identificazione con Beit Jimal della località della sepoltura, conosciuta nella tradizione bizantina sotto il nome di Caphar Gamala,35 è stata proposta da vari studiosi nel secolo scorso e all'inizio di questo secolo, Gli scavi condotti nell'area di Khirbet Fattir, distante 1,3 km da Beit Jimal, hanno messo in luce una chiesa bizantina del V-VI sec. con la cappella delle reliquie e con numerose testimonianze dei pellegrinaggi fatti a questo piccolo santuario. Tuttavia non si è potuto precisare a chi era dedicata la chiesa e quali santi furono oggetto di venerazione da parte dei pellegrini.
    Durante la campagna del 1994 abbiamo scoperto, oltre a vari resti del periodo bizantino, reperti del periodo anteriore al bizantino. Questi reperti sottostanti alle strutture bizantine hanno documentato la presenza di due livelli di architettura sovrapposti in rapporto di discontinuità. 

I risultati del confronto dei due livelli, quello bizantino del V -VI sec. e quello romano del secolo IV (terminus ad quem), hanno evidenziato una radicale ristrutturazione dell'ambiente. Fino al IV sec. vi era un'ampia sala con un arco a fianco, una particolare finestra in funzione di collegamento con una misteriosa tomba, un grande tavolo di roccia con un antistante canale all'interno dell'edificio; più tardi questo complesso è stato trasformato in due stanze adibite a scopi agricolo-industriali, precisamente a mulino per macinare le ulive. La chiusura maldestra della finestra con il muro appositamente spostato ha confermato la supposizione che si tratta di cambiamento fatto di proposito, per eliminare la memoria dell'uso precedente dell'edificio.    

Una moneta del periodo costantiniano, trovata al livello romano, ha permesso di datare la presenza dei primi occupanti del sito fino al secolo IV. Tre altri oggetti con iscrizioni hanno offerto indizi per l'identificazione degli abitanti del luogo fino al IV secolo. Si tratta di un manico di anfora con il monogramma composto delle lettere greche chi e iota, di un tappo di ampolla con la lettera ebraica het, e di un frammento di un peso di bilancia con inciso sopra un crittogramma. I segni del crittogramma sono stati identificati con le lettere greche mi, alfa, ni, omicron, ypsilon, eta, lambda, affiancate dalle lettere iota e chi. Le lettere del crittogramma potrebbero quindi rappresentare i nomi lesous, Xristos, lmanouel. Secondo la tipologia dei crittogrammi dei giudeocristiani, il monogramma del manico contiene l'abbreviazione dei nomina divina «lesous, Xristos». Quanto alla lettera ebraica het, l'unica interpretazione che si impone è quella del valore simbolico della cifra 8, anche questa utilizzata presso i cristiani di ceppo giudaico come un simbolo sacro, e cioè il simbolo dei nomi Xreistos e lmanouel. In conclusione, i tre oggetti trovati nella tomba e sotto il banco di roccia, quindi a livello romano, portano i segni di una tipologia giudeocristiana. Siccome essi si lasciano interpretare in senso religioso, la loro presenza in un luogo, la cui struttura non indica l'uso industriale o di abitazione, può confermare il carattere religioso dell'ambiente.



Le iscrizioni di Khirbet Fattir (1994, disegno di U. Mazzilli):
a) Un manico di giara; 
b) Un tappo di ampolla; 
c) Frammento di un oggetto di uso domestico
   (peso di bilancia?).

   Sulla base dei dati biblici e dell' Onomasticon di Eusebio risulta che la località di Fattir, con i segni di una presenza giudeocristiana, ha molte probabilità di poter essere identificata con l'antica Fatura menzionata da Eusebio e Girolamo, e ancora ricordata dai pellegrini del XVI e XVII sec.36 Un villaggio di nome Fatura appare una sola volta nella Bibbia, ed è collegato con il profeta e mago Balaam (Nm 22,5 Il Dt 23,5), conosciuto per la profezia della stella di Giacobbe di carattere messianico. Questo potrebbe indicare che i giudeocristiani di Fatura avevano qualche legame con la Mesopotamia e con il ricordo di Balaam. Ci chiediamo se non si tratti della setta degli Elchasaiti, giudeocristiani eterodossi, sorti in Mesopotamia e conosciuti per la pratica delle abluzioni rituali che ricordano il battesimo per immersione, e per le divi nazioni e la magia. Allo stato attuale degli scavi non siamo in grado di dare una risposta soddisfacente. Una cosa è certa: quei giudeocristiani sono scomparsi nel primo periodo bizantino e i loro ambienti di culto furono rimpiazzati con strutture agricoloindustriali.

4. Conclusioni 


    Per concludere, ci permettiamo alcune considerazioni generali:

  1. I giudeocristiani erano parte attiva della complessa realtà ecclesiale di Palestina, e vi sono rimasti fino al IV o agli inizi del V sec. Dalla letteratura che hanno prodotto e dalla simbologia che hanno adoperato risulta che la cristologia costituiva il perno della loro fede.
  2. Non è facile chiarire per quale motivo la loro teologia divenne terreno particolarmente adatto per la penetrazione delle varie speculazioni gnostiche; ma dagli apocrifi loro attribuiti si deve concludere che vari di questi gruppi hanno assunto posizioni teologiche eterodosse, dichiarate più tardi dalla Grande Chiesa. La presenza in Palestina di giudeocristiani eterodossi è confermata dai dati archeologici.
  3. Il passaggio dal giudeo-cristianesimo alla Chiesa dei Gentili si è effettuato in Palestina verso la fine del IV sec., in parte in modo pacifico, in parte con un confronto ostile, specialmente nel caso dei giudeocristiani eretici. Rimane tuttavia poco chiaro quale fu il loro rapporto con il giudaismo tradizionale, e quale influsso essi ebbero sui rapporti tra la Chiesa e il Giudaismo in genere.
  4. Da vari scritti apocrifi risulta che, almeno nel primo periodo, si è polarizzata la conflittualità tra loro e i loro fratelli di fede mosaica, causa la cristologia, e precisamente la nascita verginale di Gesù e la sua risurrezione. A dividerli dai Giudei non cristiani non è stata tanto la fedeltà o meno alle pratiche della Legge quanto piuttosto l' annuncio di Gesù Nazoreo/Nazareno come Messia e Emmanuele, nato da una vergine secondo la carne, e sentito da loro in modo molto personale, in quanto Messia promesso ai loro padri e venuto al mondo nella loro razza.

________________________
1 Cf. At 9,20; 13,14ss; 16,3; 21,24-26; 24,18.
2 Cf. Rm 14,14-23.
3 Circa le testimonianze della tradizione cristiana riguardanti Giacomo il Minore, "fratello del Signore", vedi B. PIXNER, lakobus der Herrenbruder, in: R. RIESNER (ed.), Wege des Messias und Stiitten der Urkirche, GieBen, Brunnen Verlag 1991, 335-347; ID., Simon BarKleopha, der zweite Bischof lerusalems, in Wege des Messias, 358.
4 Theologie dujudeo-christianisme, Paris 1958.
5 La definizione di Danielou è evidentemente più articolata perché considera il giudeo-cristianesimo come un' ombrella che copre tutte le forme di cristianesimo legato in qualche modo al giudaismo. Essa include particolarmente: un gruppo eterodosso, rappresentato dagli Ebioniti che non ammettevano la figliolanza divina di Gesù Cristo; un gruppo ortodosso, identificato con la comunità gerosolimitana di Giacomo; altri gruppi di pensiero fondamentalmente giudaico: cf. R.A. KRAFf , In Search of "lewish Christianity" and its "Theology", in: Judeo-christianisme. Recherches historiques et theologiques offertes en hommage au Cardinal lean Danielou (= Recherches de Sciences Religieuses 60), Paris, Beauchesne 1972, 87s.
6 lewish Christianity or Christian ludaism: Toward a Hypothetical Definition, in «JSJ» 7 (1976) 46-57.
7 lewish Christianity: Definitions and Terminology, in «NTS» 24 (1978) 410-415.
8 ludentum und Gnosis, in: K.-W. TROGER (ed.), Altes Testament FriihjudentumGnosis, Giltersloh, Mohn 1980,262-265. L'autore propone due tratti distintivi del giudeo-cristianesimo: a) la fede in Cristo; b) la struttura giudaica della teologia e dell'atteggiamento personale: cf. p.263.
9 Cf. S.C:. MIMOUNI, Pour une definition nouvelle de ludeo-christianisme ancien, in «NTS» 38 (1992) 161-186.
10 Un buon esempio di tale categoria religiosa e culturale in seno alI'ebraismo possono essere i gruppi di cristiani ebrei moderni, assai numerosi attualmente in Israele, ma non appartenenti alla Chiesa cattolica. Essi riconoscono il NT e la sua dottrina, sono in accordo con la più parte della verità della fede cristiana, ricevono alcuni sacramenti, ma nello stesso tempo osservano lo shabbat e le grandi feste della religione ebraica, senza essere tuttavia rigorosi osservanti della Legge, cf. F. Rossi DE GASPERIS, Un nouveau judeo-christianisme, in «Etudes» 378/6 (1993) 795-804.
11 Un'ottima opera su questo argomento è la monografia di A.F.J. KLIJN -G.J. REININK, Patristic Evidence for lewish-Christian Sects, Leiden, Brill 1973.
12 Un'eccellente rassegna degli studi sull'argomento pubblicati negli ultimi 20 anni è offerta da P. MANNS, A Survey of Recent Studies on Early Christianity, in: P. MANNS -E. ALLIATA (ed.), Early Christianity in Context. Monuments and Documents. Essays in Honour of E. Testa, (= SBP, Collectio Maior 38), Jerusalem 1993, 17-25.
13 J.E. TAYLOR, Christians and the Holy Places. The Myth of Jewish-Christian Origins, Oxford, Oxford University Press 1993. Una serrata critica delle conclusioni della Taylor riguardo a Cafarnao in S. LOFFREDA, La tradizionale casa di Simon Pietro a Cafarnao a 25 anni dalla sua scoperta, in: Early Christianity, 43ss.
14 Per la datazione dei due ultimi scritti vedi rispettivamente: F.S. JONES, The Pseudo-Clementines: A History of Research l, in «Sec Cent» 2 (1982) 1-33; L. MoRAlDI, "Primo incontro tra Cristianesimo e lslamismo". Da un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, in: Early Christianity, 503.
15 T. MORALDI Primo incontro, 507
16 Ibid, 507

17 P. MANNS, Le recit de la Dormition de Marie (Vatican grec 1982) (= SBP, Collectio Maior 33), Jerusalem 1989.
18 Ibid.,118;204.

19 Ibid., 224.
20 Cf. B. BAGATTI, M. PICCIRILLO, A. PRODOMO, New Discoveries at the Tomb of Virgin Mary in Gethsemane, Jeru8alem 1975.
21 B. PIxNER, Maria sul Sion dopo la Risurrezione, in: A. STRUS (a cura), Maria nella sua terra, Cremisan-Betlemme 1989, 128.
22 B. PIXNER, ibid., 20-23; Lukas und Jerusalem in: Wege des Messias, 3808.
23 Cf. E. NORELLI, Avant le canonique et l'apocryphe: aux origines des rè'cits de la naissance de Jèsus, in «Revue de Theol. et de Phil.» 126 (1994) 306.
24 bid., 3068.
25 lbid., 319.
26 La pubblicazione di ambedue i manoscritti apparirà in «Salesianum» 58/l (1996) sotto il titolo La passione di Santo Stefano in due manoscritti greci.
27 Cf. R. LAURENTIN, Structure et théologie de Luc I-II, Paris 1957, 68-71; 79-81; 136-137.
28 Cf. F. MANNS, Le recit de la Dormition, 110.
29 Una sola volta questo titolo appare fuori del1' Apocalisse, cioè in 2Cor 6,18, in una citazione di testi del1' AT. Per l'uso del titolo nel1'antica letteratura cristiana, cf. F. BERGAMELLI, Sulla storia del termine "pantokrator": dagli inizi fino a Teofilo di Antiochia, in «SalesianulD» : 46 (1984) 439-472.
30 Cf. E. PuECH, La synagogue judeo-chretienne du Mont Sion, in «Le Monde de la Bible» 57 (1989) 18-19.
31 B. BAGAlTI, The Churchfrom the Circumcision (= SBF, Collectio Minor 2), Jerusalem, Franciscan Printing Press 1971; E. TESTA, The Faith of the Mother Church (= SBF; Collectio Minor 32), Jerusalem, Franciscan Printing Press 1992.

32 Cf. I. MANCINI, L' archeologie judio-chretienne. Notices historiques (= SBF, Col1ectio Minor 10), Jerusalem, Franciscan Printing Press 1977.
33 Cf. A. KLONER, Maresha, in «JEJ» 36 (1986) 277-279; O. AVNI, Christian Secondary Use o! lewish Burial Caves in lerusalem in the Light o! New Excavations at the Aceldama Tombs, in: Early Christianity,265-276.
34 C. DAUPHIN, Encore des judeo-chretiens au Golan?, in: Early Christianity, 69-84.
35 Per la storia dell'invenzione della tomba di S. Stefano a Caphar Gamala e per l'identificazione di questa località, cf. A. STRUS, Beit-Gemal può essere il luogo di sepoltura di Santo Stefano?, in «Salesianum» 54 (1992) 453-478

36 Il nome Fatura si ritrova nelle carte geografiche del XVI e del XVII sec., collocato nella zona degli scavi di Kh. Fattir: cf. K. NEBENZAHL, Maps o/the Holy Land. lmages of Terra Sancta through Two Millennia, New York, Abbeville Press 1986, le carte a pp. 97, 110, 119, 132, 140.


Indicazioni di alcune opere relative all'argomento trattato:

  1. Le pubblicazioni più note dello Studium Hiblicum Franciscanum a!avore dei giudeocristiani sono:

    TESTA E., Nazaret giudeocristiana, Gerusalemme, Franciscan Printing Press 1969.
    HAGATTI H., The Church from the Circumcision (= SHF, Col1ectio Minor 2), Jerusalem, Franciscan Printing Press 1971.
    MANCINi I., L 'archeologie judeo-chretienne. Notices historiques (= SHF, Collectio Minor 10), Jerusalem, Franciscan Printing Press 1977.
    HRIAND I., L 'Eglise Judeo-Chretienne de Nazareth, Jerusalem, Franciscan Printing Press 31979.

  2. Tra altre pubblicazioni del campo archeologico pro e contro i giudeocristiani vanno annoverate:

    PIXNER H., Wege des Messias und Stiitten der Urkirche. Jesus und das Judenchristentum im Licht neuer archaologischer Erkenntnisse, Giessen, Hrunnen Verlag 21994.
    DAUPHIN C., Farj en Gaulanitide: refuge judeo-chretien?, in «Proche-Orient Chretien» 34 (1984), 233-245.
    ID., De l'Eglise de la Circoncision à l'Eglise de la Gentilité. Sur une nouvelle voie hors de l'impasse, in «Liber Annuus» 43 (1993) 223-242.
    TAYLOR J.E., Christians and the Holy Places. The Myth of Jewish-Christian Origins, Oxford, Clarendon Press 1993.

  3. Sulla problematica della presenza dei giudeocristiani in Palestina:

    PRlTZ R.A., Nazarene Jewish Christianity. From the End of the New Testament Period Until Its Disappearance in the Fourth Century, Jerusalem Leiden, Magnes Press -E.J. Bri11 1988.
    F. MANNS, A Survey of Recent Studies on Early Christianity, in: F. MANNSE. ALLIATA (edd.), Early Christianity in Context. Monuments and Documents. Essays in Honour of E. Testa, OFM (= SBF, Collectio Maior 38), Jerusa1em, Franciscan Printing Press 1993,17-25.


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