Amos Luzzato è presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Medico e studioso, ha partecipato a numerosi convegni nazionali ed internazionali sui temi della cultura ebraica. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni. La conversazione che segue riguarda l’Islam e le motivazioni che hanno portato all’attentato dell’11 settembre scorso.


Perché la visione del sufismo, quella branca più pacifica e spirituale dell’Islam non viene mai fuori, è sempre messa in minoranza?

Infatti, infatti. Questo è esattamente il rimprovero che ho rivolto loro, ma non mi hanno risposto e ciò vuol dire che sono d'accordo. Io non voglio dire che ha ragione questo o quest'altro. Dentro di me sono certamente tendenzioso e favorevole al mio amico Mandel sufista di Parigi e non al Bin Laden di non si sa dove, o si sa fin troppo. Ma questa potrebbe essere la mia risposta istintiva e non ragionata. Non è solo Mandel ma anche altri moderati dell'Islam. Anche in Italia.

 Altri chi?

Gliene cito qualcuno: Khaled Fouad Allam a Trieste, Moustafa El Ayoubi di Roma, Scajola, ex ambasciatore italiano. Il problema è che la maggioranza di questi non sono guerrafondai, non desiderano il sangue, non desiderano utilizzare la religione per giustificare i kamikaze: hanno il coraggio di fare testimonianze nobili e molto interessanti. Putroppo però non è più il tempo di testimonianze, bisogna fare "movimento", se non si fa "movimento"… Questo è il mio rimprovero. I sufisti e Mandel, fanno una testimonianza di pace, di amore fra le genti, molto bella, molto nobile, molto distinta, ma che nessuno conosce, che non si fa sentire. Oggi sta scorrendo il sangue. Oggi bisogna che questi riescano a dare vita ad un movimento che prevalga sui violenti. Questo non posso farlo io, lo devono fare loro.

 Ma nei secoli è sempre stato così, i mistici dell'Islam sono sempre stati messi da parte.

Soltanto l'Islam? No, no. Se studiamo la storia del mondo cristiano e andiamo a vedere le rappresentazioni pittoriche vediamo gente con la spada, cavalieri, scudi, elmi, bandiere al vento, nemici che cadono. Questo non vuol dire mica che non c'era un San Francesco. Ma non faceva "movimento". Chi lo faceva e, nel contempo, faceva la storia era chi conquistava l'America, quelli che facevano le crociate. Questo è un fatto abbastanza generalizzato nell'esperienza umana. Questo però non vuol dire che sia un'esperienza eterna. Anche perché oggi veramente stiamo avvicinandoci presto ad uno stato di conflittualità rivolto quasi soltanto contro la popolazione civile che, se portato alle estreme conseguenze di guerra di cultura o di guerre di religioni, può veramente decretare anche la fine della specie umana. Non voglio però essere profeta di calamità. Se scivoliamo in una guerra nucleare, con una bomba atomica che hanno tutti tutti... Signori miei se scivoliamo in quella direzione saremo tutti polverizzati! 

C'è però anche un discorso prettamente economico alle spalle dell'accaduto. Non a caso sono state colpite le due torri gemelle di New York che sono un forte simbolo economico dell'Occidente.

Non c'è dubbio, ma proprio per questo l'attacco alle due torri non è un simbolo da dedicare al potere di Allah, è invece un simbolo di lotta verso quel potere economico lì, fatta con mezzi economici, fatta con le banche e fatta con le tecnologie e i ricavati del petrolio. Allora è una guerra di carattere economico che non posso chiamare Jiihad. È un'altra cosa.

Una delle tesi dette subito dopo l'attacco è stata: abbiamo messo in ginocchio l'economia americana perché abbiamo messo in ginocchio intere compagnie che sono alla banca rotta, abbiamo danneggiato l'economia americana. Questo è stato detto. Non è più un simbolo ma un risultato concreto che in parte hanno ottenuto. Perché io posso capire attaccare un simbolo che può significare far saltare una chiesa o una sinagoga, far saltare per aria il Vaticano. L'attentato al Papa di Alì Agca era un attacco simbolico: era chiaro che il Vaticano non sarebbe stato liquidato se il Papa fosse morto, ne avrebbero fatto un altro. Ma come atto simbolico sarebbe stato altissimo. 

Potrebbe però essere "vestito" come un atto religioso.

Certo, "vestito", ma nella sua essenza non è simbolico. Volevano colpire il cuore economico dell'economica americana. Non erano la stessa cosa gli attentati alle ambasciate? No, quelli erano atti simbolici. 

Che idea si è fatto sulla figura di Bin Laden?

Non mi sono fatto nessuna idea. In giro ci sono tante analisi psicologiche fatte. Ho letto poco fa una analisi fisiognomica del personaggio e mi permetta di mettermi a ridere, perché il lombrosismo tardivo mi fa solo sorridere. No, non mi sono fatto un’idea e credo che non abbia nessuna importanza farsela.

Credo che ci sia una rete di terroristi di cui ci sfugge la direzione globale che probabilmente c’è. Certo che c’è Bin Laden, ma non è l’unico ad essere coinvolto. È una rete troppo estesa, troppo finanziata, troppo tecnologicamente avanzata. Non ci raccontiamo storie sull’eroismo puro e semplice perché gente che sa pilotare e dirottare un aereo perché "…presi dalla disperazione, si misero a pilotare un aereo". Questo lo raccontiamo ai miei nipoti. Quello che io non so, può darsi che altri lo sappiano. Dire che tutto è diretto da una caverna in Afghanistan dove il fanatico Bin Laden infiamma le masse e fa succedere tutto quello che ha fatto succedere, scusate ma io non ci credo. Perché dal fanatismo di Bin Laden non nascono i kalaschnicov, non nascono le trame finanziarie, non nascono gli esperti di alta tecnologia che riescono a mandarsi messaggi in codice con sforzi d’informatica a livello internazionale. Qualcosa mi sfugge. Dalle notizie che seguo e che mi preoccupano seriamente, devo dedurre che esiste una rete qualificata, organizzata e potente di cui Bin Laden fa parte dei vari cervelli che ne tirano le file, ma non è l’unico. 

È pessimista per gli sviluppi della situazione?

Io sono preoccupato, sono seriamente preoccupato. La vedo molto lunga, molto lunga… Molto lunga e molto sanguinosa, siamo appena all’inizio. 

E si allargherà?

Oh, certo. 

C'è una analogia secondo lei tra questo avvenimento e il conflitto israelo-palestinese, cioè come un riscatto del mondo orientale verso l'occidente?

No, è totalmente strumentale. Tant’è vero che il conflitto israelo-palestinese Bin Laden l'ha tirato fuori solo tardivamente, non l'ha detto subito. E questo già dice qualcosa. Di fronte all’entità di questo fenomeno sono convinto che di quella causa non gliene importi proprio nulla: con il suo comportamento ha messo in pericolo i palestinesi, ha messo in difficoltà il fronte palestinese in Israele. Credere nella leggenda di Bin Laden, fondamentalista, fanatico, amante dei suoi fratelli palestinesi, che ha messo in piedi tutto questo per aiutarli? Nooo!!

Certo, esistono elementi di forte simbologia nel conflitto israelo-palestinese e gliene dico uno, il più simbolico di tutti: Gerusalemme. Persino oggi che si è ingrandita è comunque una piccola città. Quando poi è cominciata quella guerra, Gerusalemme come entità materiale era poco più di un nostro capoluogo di provincia, non molto di più. Era una città che economicamente aveva bisogno di essere sostenuta perché non aveva mezzi propri di sostentamento. Da ragazzo ci sono vissuto, l’acqua andava portata dalla pianura due volte alla settimana e bisognava farne una riserva. Una realtà materiale fragilissima. Eppure è una realtà simbolica importantissima. È molto più potente come simbolo che come potenza materiale, economico, sociale. Di questi simboli non ce ne sono molti al mondo. Oserei dire che Gerusalemme per questa discrepanza è forse il numero uno.

Esiste poi una grande capacità di mobilitazione di quel territorio che generalmente chiamiamo Palestina, una nostalgia ed una disponibilità a fare uno sforzo per quel territorio enorme: è una terra santificata da tre religioni e da tre esperienze che non si sovrappongono tutte. Anzi direi di più. L’ebraismo e il cristianesimo hanno degli elementi comuni nel loro rapporto con quella terra. L’Islam è venuto dopo quando questi elementi erano già stabiliti. Per ora non ce ne è una quarta. Chissà, col tempo, magari i Baha’i, chissà, non si sa mai…Questo primo elemento specifico non ha niente a che fare con le torri gemelle. Il secondo elemento è certamente la shoà che è stata il culmine di un processo in cui si è detto che non c’è spazio per una soluzione ebraica nazionale in Europa. Lo avevano detto e fatto capire bene anche prima. Poteva esserci una soluzione ebraica in Europa con l’affermazione del principio delle nazionalità, ma per una nazionalità ebraica non c’era spazio. Il che ha significato cercarsi il proprio spazio altrove. A questo punto c’è stato un errore duplice. Da parte ebraica, quello di non capire che in Medio Oriente c’era un’altra realtà con la sua storia e le sue cose, con i quali bisognava fare i conti subito cercando di capire cosa succedeva. Da parte del mondo arabo islamico, l’errore è stato il permanente rifiuto a qualsiasi insediamento ebraico. Si è poi scambiato un movimento di fuggiaschi con un movimento di imperialisti. L’imperialismo richiede una metropoli: l’imperialismo inglese è andato in India ed aveva una metropoli, persino quello italiano aveva una metropoli. L’imperialismo sionistico era privo di metropoli.

Ma aveva dietro gli Stati Uniti.

Ah, ma quando quello si era già insediato, quando si erano insediati gli ebrei in Palestina e gli ebrei negli Stati Uniti, quando tutto era già fatto. I sionisti cercavano un appoggio a Londra e non a Washington, questi sono dati di fatto. Waissman era residente a Londra.

 Davide Pelanda


Fonte: Amicizia Ebraico Cristiana di Torino

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