...da Avvenire del 19 Aprile 2002


DIBATTITO
Resistenza passiva invece dei kamikaze: fa discutere la provocazione di Galli della Loggia
UN GANDHI PALESTINESE?

Fouad Allam:
«Spesso la violenza islamica imita quella occidentale».
Fabbrini:
«Ebrei e musulmani hanno i loro pacifisti».
Igor Man:
«Difficile ora la scelta nonviolenta»

Maurizio Cecchetti




Il terrorismo palestinese che immola i suoi kamikaze tra la folla inerme d'Israele? Non l'extrema ratio imposta dalla disperazione di un popolo, ma la prova della «perenne incapacità» del mondo palestinese «di essere all'altezza della sfida storica che quella presenza gli pone», la presenza israeliana. Con questo «j'accuse» Ernesto Galli della Loggia ha chiuso l'editoriale pubblicato ieri dal «Corriere della Sera». Un editoriale scritto per dimostrare che poteva (e forse può) esserci un'alternativa al terrorismo, cioè diverse forme di protesta che vanno dallo sciopero alla disobbedienza civile, fino al martirio, quello, per esempio, di Jan Palach che si diede fuoco a Praga contro l'occupazione sovietica (e uccise solo se stesso). Ma tutto questo, conclude Galli della Loggia, in quell'area del Medio Oriente non è possibile, perché «la coscienza nazionale palestinese, nei limiti in cui esiste, è stata tutta costruita su un inestinguibile odio antiebraico che mira allo sradicamento del nemico sionista anziché alla ricerca di una pacifica convivenza con esso».

È chiaro il punto di vista dell'editorialista del «Corriere»: il terrorismo dei kamikaze è un'arma impropria che i palestinesi usano su civili innocenti. Soprattutto: i kamikaze sono l'iceberg terribile della mentalità antidemocratica del mondo islamico di oggi.

«In realtà - spiega il sociologo Khaled Fouad Allam, del quale sta per uscire da Rizzoli il saggio L'islam globale - chi studia l'islam politico e in particolare l'evoluzione dell'islam contemporaneo può affermare che sin dagli anni Trenta nel mondo islamico si è sviluppata una cultura della violenza come reazione all'Occidente. Il motivo principale è dettato dal sentimento della progressiva espulsione dai processi storici mondiali, che ha suscitato una violenza mimetica in certi settori dell'islam: essi avrebbero voluto essere ciò che è l'altro, senza esserlo in realtà. I kamikaze sono gli eredi di questa trasformazione. Ma non si dimentichi che in passato ci sono stati tentativi da parte dei palestinesi di creare movimenti per la pace, di cui fu protagonista la figura di un Gandhi palestinese, quasi sconosciuto in Occidente, Mubarak Awad, che fondò il "Palestinian Centre for the Studies of Non-violence"».

Anche lo storico Fabrizio Fabbrini è cauto: «Non posso - dice - dare giudizi morali su situazioni ove l'umanità è allo stremo, dove alla persona non è riconosciuto alcun valore. Nei kamikaze vedo soltanto disperata ribellione, un deserto da cui si alza un urlo senza voce. Da Occidente si levano lezioni di nonviolenza, magari dopo aver approvato i bombardamenti aerei... Ma la nonviolenza non è un passepartout per tutti gli usi, ha delle regole precise: è amore per la vita, rispetto della persona e delle istituzioni, affermazione del diritto sopra le leggi scritte. Non posso fare azioni di pace se odio l'avversario, se non lo considero mio fratello e mio Dio. I loro capi, da una parte e dall'altra, hanno insegnato terrorismo e odio a generazioni, e noi li abbiamo anche coccolati perfino con premio Nobel».

Su un punto Galli della Loggia a ragione, commenta il giornalista Igor Man: «Purtroppo l'Autorità palestinese non ha mai avuto una vera direzione politica, essendo un gruppo di fazioni finanziate e armate dai Paesi arabi. Ma è anche vero che Arafat ha lottato tutta la vita per cercare di mantenere un minimo di legittimità alla sua Autorità palestinese. Trovo difficile pensare che i palestinesi oggi possano lottare facendo sit-in e attuando forme di disobbedienza civile. Forse, questo, poteva anche darsi prima dell'assassinio di Rabin, oggi invece dobbiamo fare i conti con un fenomeno nuovo, il caso aberrante dei suicidi. Il salto di qualità si è verificato con l'avvento al potere di Khomeini, l'espressione di un islam di protesta. Khomeini sostenne che uccidersi per uccidere l'infedele non era peccato, era un martirio e come tale apriva la porta al paradiso. Ne era così convinto che spediva i bambini iraniani a piedi nudi a sminare i campi minati»

Galli della Loggia contrappone, implicitamente, islam e cristianesimo notando che la resistenza inerme dei martiri è un portato della civiltà cristiana e occidentale. «Su questo ho dei dubbi - replica Fabbrini - perché mi pare evidente dal punto di vista storico che le civiltà cristiane occidentali non sono state capaci di azioni nonviolente, se si eccettuano rari casi, come la resistenza danese al nazismo. Mentre si possono documentare azioni nonviolente sia nel mondo ebraico sia in quello islamico, e Gandhi costruì la sua lotta proprio sulla base della massa islamica cui egli seppe dare voce (contro il "tradimento del Califfato" perpetrato dagli inglesi). Perciò l'islam ha gli stessi diritti dell'Occidente per rivendicare una prassi non violenta. Forse si può aggiungere che coi leader di oggi è improbabile che si verifichi qualsiasi politica nonviolenta. Ma guardiamo anche a una tragedia che dura da mezzo secolo riconoscendo le nostre vergognose menzogne, che hanno fomentato l'odio da entrambe le parti».

Contrapporre islam e civiltà cristiana dà immediatamente alla questione terroristica uno sfondo religioso. «A me pare che sia improprio parlare di kamikaze per i palestinesi che si suicidano compiendo attentati - dice Igor Man -. I kamikaze erano, per come li abbiamo conosciuti nell'esercito giapponese, soldati che s'immolavano per uccidere altri soldati. Mentre in Palestina c'è qualcosa che sfugge al nostro metro, sia esso cartesiano o evangelico, perché sembra affermare una sorta di "teologia del massacro". Ricordo di aver visto in Vietnam, sulla piazza di Saigon, tre terroristi che aspettavano di essere premiati per l'azione compiuta. Ma il generale Giap li guardò e negò loro ogni riconoscimento affermando che il terrorismo era un'arma stupida.

Se pensiamo alla questione religiosa, dobbiamo anche dire che in nessun testo sacro coranico vi è una legittimazione del kamikaze. Per il Corano il suicidio è peccato, e noi percepiamo questo nuovo fenomeno come una mostruosità: quelli che s'immolano per uccidere molti altri in genere sono giovani di buona famiglia, con buoni studi alle spalle, che si sentono toccati dalla grazia e vanno alla morte sorridendo. È questo che rende ancor più aberrante la loro prassi».

Maurizio Cecchetti

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