Cercare il bene nella Shoah
Matteo Luigi Napolitano, su Avvenire 29 settembre 2005

È ora di pensare a nuove ricerche sulle figure dei Giusti: prosegue il dibattito che ha preso il via su «Avvenire». Il caso del libro di Martin Gilbert, che ha setacciato gli eroi dell’Olocausto ma che non trova editori in Italia. Vanno inaugurati studi comparati e costituita una rete mondiale di esperti di tutti i genocidi

Il 28 ottobre 1974 uno studioso ebreo non ancora quarantenne, che si trova a Gerusalemme per ricerche negli archivi dello Yad Vashem, decide di concedersi una passeggiata verso il Monte Sion. All'improvviso, mentre attraversa un cimitero cristiano, s'imbatte in una lenta processione funebre. Curioso, pensa, dato che gran parte dei partecipanti gli sembrano «ebrei polacchi sopravvissuti alla Shoah». Con discrezione ferma alcuni del corteo: «Scusate, perché state entrando in un cimitero cristiano?». E costoro: «Siamo ebrei polacchi e stiamo andando a rendere il nostro omaggio a un cristiano che ci ha salvato la vita». Era il funerale di Oskar Schindler.

Uno di coloro che ne seguiva il feretro era Moshe Bejski, ossia il creatore del «Giardino dei Giusti», il «tribunale del bene» di Yad Vashem. Col tempo, questo giudice israeliano incaricato di esaminare le pratiche dei «Giusti» divenne ottimo amico dello studioso, tanto che lo incoraggiò «a scrivere la storia dei gentili Giusti, di eroi come Schindler e dei molti sconosciuti». Sir Martin Gilbert, quel giovane studioso divenuto poi uno dei massimi storici della Shoah, ha narrato questa storia in un'intervista pubblicata da www.vaticanfiles.net, in occasione dell'uscita del suo libro dedicato ai Giusti, ovvero (come recita il sottotitolo), alla «storia non raccontata degli eroi dell'Olocausto».

Il libro di Gilbert (The Righteous, Black Swan 2002), frutto di lunghi anni di lavoro, è una delle migliori ricerche organiche apparse sui «Giusti», e il fatto che il libro abbia qualche difficoltà ad affermarsi sul mercato italiano è eloquente. Ma la serie di articoli sui «Giusti» italiani e la Shoah, inaugurata da Avvenire, dimostra come il tema non è affatto dimenticato o estraneo al pensiero storiografico contemporaneo. Un carattere di estrema novità, che crediamo di riscontrare nelle riflessioni dello storico di Yad Vashem Dan Michman, sta nel fatto che ormai autorevoli voci ebraiche sono giunte a scindere il vecchio antigiudaismo cattolico, di antica matrice teologica, dall'antisemitismo, che invece ha radici nuove che affondano nell'illuminismo, nel socialismo e nello scientismo positivista. È molto importante, perché le conclusioni di Michman sembrano convergere con quelle che la storiografia cattolica da tempo ha proposto.

Un'altra pista di ricerca suggerita da Yad Vashem è quel paradigma che riassumeremmo con la formula «unicità-riproducibilità». Se la Shoah è «un fatto senza precedenti ma non l'unico, perché può essere ripetuto», allora dobbiamo non solo concentrarci sugli altri genocidi della nostra epoca, per indagarne le cause, ma anche sorvegliare le troppe forme di antisemitismo strisciante in certi ambienti culturali. È auspicabile, pertanto, che Yad Vashem inauguri una pista di ricerca comparata, costituendo una rete mondiale di studiosi sul genocidio. Una ricerca sui «Giusti» italiani si colloca senz'altro in tale nuovo filone e chiama gli storici di ogni orientamento a un dialogo molto franco. È venuto «il tempo della Storia» e ciò, avvertiva Gian Maria Vian da queste colonne, deve significare superamento del «peccato storico dell'anacronismo».

Il pericolo di trattare temi passati con le categorie del nostro tempo è infatti assai insidioso. Lo sanno molti di coloro che si sono occupati dei «Giusti» e che hanno visto il loro lavoro spesso disturbato da categorie polemiche spicciole, che ovviamente riguardano anche la Chiesa cattolica. Molti cattolici si trovarono a salvare ebrei, si è detto, ma non per ordine del Papa. Poi un libro di Laurus Robuffo, dedicato al «Giusto» Giovanni Palatucci, ha rivelato l'esistenza, fin dal 1940, di istruzioni papali (con allegati assegni circolari), al fine di aiutare gli ebrei italiani (tali le carte del Ministero degli Interni si trovano in appendice al libro). Pio XII non diede nessun ordine di aiutare gli ebrei, si dice. Ma poi il «Giusto» don Aldo Brunacci ha confermato a chi scrive, con una chiara e ferma testimonianza videofilmata, di come lui stesso vide gli ordini papali al vescovo di Assisi di fare tutto il possibile per assistere gli ebrei; mentre altri documenti (anche la preziosa serie Inter Arma Caritas) attestano la «diplomazia umanitaria» di cui fu capace la Chiesa.

«I correligionari massacrati dai nazisti sono stati 6 milioni, ma avrebbero potuto essere ben più numerosi se Pio XII non fosse intervenuto efficacemente - ebbe a scrivere il dirigente dell'organizzazione ebraica Delasem, Raffaele Cantoni -. Le cose e la verità parlano da sé e la storia non si cambia e l'azione della Chiesa e del papa Pio XII resterà come quella di un Pontefice che ha fatto tutto il possibile per salvare gli uomini». Non a caso proprio il libro di Gilbert, la cui trattazione divide salvatori e salvati per Paesi, ha un capitolo intitolato significativamente «L'Italia e il Vaticano».

Superare le polemiche è difficile ma è ormai tempo di iniziare questa «ricerca sul bene» senza pregiudizi. I «Giusti» italiani non sono che un capitolo, ma occorre scriverlo e farlo metodicamente. Sventando però un timore: che l'avvio di questa massiccia «ricerca sul bene» significhi trascurare, o sminuire in qualche modo, la doverosa ricerca sul male

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