A Nevé Shalom / Wahat al-Salam è possibile:
costruire e costruirsi tra diversi
Bruno Segre

Fino a che ogni fermento d'odio 
non avrà lasciato il mio cuore, 
non mi riterrò puro. 
Sarò, ai miei occhi, 
come se non fossi mai nato. 
Rabbi Levi ltzchak, maestro rabbinico



Situato in Israele su una collina a metà strada fra Gerusalemme e Tel Aviv , il villaggio ha due nomi - Nevé Shalom in ebraico, Wahat al-Salam in arabo - che significano «oasi di pace». Si tratta di una piccola realtà: venticinque famiglie di ebrei e venticinque famiglie di palestinesi, in tutto cento sessanta uomini e donne, che da poco meno di trent'anni coabitano e lavorano gomito a gomito. Con orgoglio essi considerano Nevé Shalom /Wahat al-Salam la loro casa comune. Ma per quanto condotta in termini civili e democratici, la cogestione del villaggio non è sinonimo di idillio o di assenza di tensioni e di problemi. I membri della comunità, infatti, pur condividendo la cittadinanza (anche gli abitanti arabi del villaggio sono cittadini israeliani), fanno riferimento a universi etnico-culturali che sono storicamente in conflitto. Detto ciò, da molti anni gli abitanti, ebrei e arabi, crescono ed educano in comune i loro figlioli, e per fare questo hanno messo a punto un sistema scolastico che in Israele e nell'intero Vicino Oriente costituisce un unicum, e che da vari anni è fonte d'ispirazione per molte iniziative avviate in luoghi abitati da gruppi etnici in conflitto: per esempio Cipro, la Macedonia, il Kosovo, I 'Irlanda del nord.

Il prodotto d'elezione di Nevé Shalom / Wahat al-Salam è «educazione», e in particolare «educazione alla pace». E nell'ultimo anno e mezzo, da quando israeliani e palestinesi hanno avviato l'attuale stagione della violenza, con tragici picchi di guerra guerreggiata, il villaggio è diventato il punto di riferimento per incontri e consultazioni fra molte delle organizzazioni impegnate a riannodare il dialogo e a promuovere la pace. Più d'una volta dall'inizio delle tensioni e degli scontri, rappresentanti di tali organizzazioni si sono dati convegno nel villaggio onde concordare strategie comuni e indire manifestazioni pubbliche, dotate, grazie agli sforzi congiunti, della visibilità necessaria.

Nevé Shalom / Wahat al-Salam rappresenta la grande «utopia realizzata» di Bruno Hussar, un prete cattolico dell'Ordine dei frati predicatori (domenicani), nato al Cairo nel 1911 da genitori entrambi ebrei. Verso la fine della sua lunga esistenza, questo «uomo di Dio» - che, scomparso nel febbraio 1996, era una figura al di fuori di qualsiasi possibile categorizzazione - ti spiegava con estrema levità che la sua identità era quadruplice. Si considerava ebreo a pieno titolo in quanto figlio di genitori entrambi ebrei; era cristiano «un ebreo discepolo di Gesù», preferiva dire, in quanto aveva ricevuto il battesimo; era israeliano avendo regolarmente acquisito la cittadinanza dello Stato d'Israele; era e si sentiva vicino e in sintonia con gli arabi, con il loro mondo e le loro istanze, grazie al fatto d'essere nato al Cairo e d'avervi trascorso gli anni decisivi dell'infanzia e dell'adolescenza. Quattro identità, ciascuna delle quali sembrerebbe destinata a gravare come un macigno sulle spalle di chiunque se ne faccia carico, e che tuttavia Hussar riusciva a reggere, tutte assieme, senza denunziare alcun sforzo apparente. Quattro identità profondamente conflittuali fra loro in sede storica, ma il cui conflitto Bruno riusciva a gestire, fino ad addomesticarlo, nel proprio foro interiore.

Nella mente e nel cuore di quest'uomo l'idea di Nevé Shalom / Wahat al-Salam germinò all'indomani della guerra dei sei giorni (1967), anche alla luce della svolta epocale che quel conflitto impresse alla struttura geopolitica del Vicino Oriente. Sin dalla fine degli anni Sessanta Hussar era andato animando in Israele gruppi attivi nell'ambito del dialogo interreligioso. Alcuni membri di questi gruppi si affiancarono a lui nella realizzazione della sua idea. Verso la metà degli anni Settanta si era già formato un nucleo di uomini e donne fortemente motivati a dare vita e ad andare a vivere in un villaggio multi-religioso: Nevé Shalom / Wahat al-Salam, appunto. Ma ben presto, dall'idea iniziale di puntare sul dialogo interreligioso si passò a quella di affrontare con particolare impegno le problematiche della convivenza bi-nazionale e bi-culturale. Quando bene il conflitto tra ebrei e arabi troverà una soluzione politica, e uno Stato per i palestinesi vedrà la luce a fianco dello Stato d'Israele - sembravano pensare i fondatori del villaggio -, i due popoli che convivono nella regione dovranno pur imparare ad accettarsi vicendevolmente e a predisporsi, ciascuno con le proprie distinte peculiarità, a costruire un futuro di civile contiguità, di intensi scambi economici e culturali e di larga condivisione del territorio e delle risorse naturali.

Sin dall'inizio, i membri della comunità decisero che all'interno di Nevé Shalom / Wahat al-Salam ebrei e palestinesi dovessero essere presenti in pari numero, differenziando così la composizione demografica del villaggio da quella che era ed è la situazione in Israele, dove i palestinesi rappresentano non più del 20 per cento della popolazione. I fondatori di Nevé Shalom / Wahat al-Salam erano convinti, infatti, che soltanto vivendo in una comunità paritetica (e giusta) sarebbero riusciti a lavorare assieme per il raggiungimento di obiettivi comuni. Essi, tuttavia, si rendevano lucidamente conto del fatto che un' esperienza di quel genere, ristretta a una piccola comunità, avrebbe potuto esercitare un'influenza assai limitata sul resto della società. E per questo decisero di creare strutture educative che li mettessero in grado di coinvolgere anche famiglie e gruppi situati all' esterno della comunità.

Nel villaggio è attiva da oltre quindici anni una Scuola per la pace, molto nota e apprezzata a livello internazionale, che organizza seminari di incontro e di mediazione dei conflitti. La sua attività consiste in laboratori residenziali (della durata di quattro-cinque intense giornate), attraverso i quali sono finora passati più di 25 mila persone tra allievi ( 16-17 anni) dei licei ebraici e arabi di Israele, studenti universitari, insegnanti, leader locali e altre categorie di professionisti. Quando gli accordi di Oslo del 1994 incominciarono a entrare in vigore, gli operatori della Scuola si diedero a coinvolgere negli incontri anche arabi provenienti dai territori amministrati dall'Autorità palestinese. Ma oggi, naturalmente, la maggior parte dei seminari è frequentata da ebrei e palestinesi con cittadinanza israeliana. I laboratori per i gruppi giovanili sono più strutturati che non quelli destinati agli adulti. Il lavoro si suole svolgere in piccoli gruppi binazionali di 14-16 partecipanti, e per ognuno di questi microgruppi vi sono due coordinatori o «facilitatori», di cui uno/a è ebreo/a e l'altro/a è palestinese.

L 'idea di creare strutture scolastiche che potessero esprimere e diffondere gli ideali di coesistenza ed eguaglianza di Neve Shalom /Wahat al-Salam nacque nella comunità assieme alla nascita dei primi figli. Nel rendere operativo (1980) il primo asilo-nido misto per fanciulli palestinesi ed ebrei, gli abitanti del villaggio non esitarono a decidere che vi sarebbero dovute essere due maestre - una palestinese e una ebrea - e che ognuna di loro avrebbe dovuto rivolgersi a tutti i bambini nella propria lingua madre. Con il crescere dei fanciulli, l'asilo-nido divenne anche scuola materna e poi, nel 1984, fu aperta la scuola elementare, frequentata nei primi anni solo dai figlioli della comunità. Successivamente cominciarono a iscriversi anche ragazzi provenienti dai centri circostanti, tanto che oggi gli allievi che frequentano quotidianamente l' asilo e la scuola sono oltre trecento, più del 90 per cento dei quali viene da una ventina di villaggi e città arabi ed ebraici, che distano talvolta da Nevé Shalom / Wahat al-Salam anche trenta-quaranta chilometri. Nella scuola del villaggio (binazionale e bilingue), le docenze e i ruoli direttivi sono distribuiti in numero eguale tra palestinesi ed ebrei. Yossi Sarid, quand'era ministro dell'Educazione nel governo diretto da Ehud Barak, riconobbe al sistema educativo promosso dalla comunità la qualifica di «scuola modello a raggio interregionale», proponendo di estenderne l'operatività all'istruzione secondaria di livello inferiore.

Impegnati ad offrire un'educazione bilingue, gli insegnanti di Nevé Shalom / Wahat al-Salam devono confrontarsi quotidianamente con la condizione di «asimmetria politica» (per così dire) che contraddistingue il rapporto tra le due lingue entro la più ampia realtà israeliana. E ciò, ad onta del fatto che nella loro scuola bi-nazionale gli scolari palestinesi e quelli ebrei siano presenti in pari numero. La situazione esterna, infatti, dove l'ebraico rappresenta la lingua più forte, cioè quella della maggioranza, si riflette sul lavoro scolastico e rende problematico il raggiungimento dell'equilibrio nelle competenze linguistiche degli allievi ebrei e di quelli palestinesi. I bambini palestinesi che vivono a Nevé Shalom / Wahat al-Salam dimostrano di fatto d'essere perfettamente bilingui, mentre per gli ebrei risulta faticoso l'esprimersi in arabo. Questo fenomeno si accentua via via che i ragazzi crescono. Gli ebrei, in realtà, fanno sempre più fatica a parlare l'arabo, mentre gli arabi si rivelano sempre più fluenti in ebraico, cosicché a volte si esprimono addirittura meglio in questa lingua che nella loro lingua madre. La circostanza, poi, che gli insegnanti arabi tendano a parlare ebraico, mentre i maestri ebrei abbiano di solito scarse competenze nella lingua araba, complica ulteriormente la situazione. In teoria sarebbe opportuno che tutti gli insegnanti sapessero esprimersi correntemente in entrambe le lingue.

Ma oltre all'asimmetria esistente tra le lingue, il sistema educativo di Nevé Shalom / Wahat al-Salam deve fare i conti anche con problematiche pedagogiche d'altra natura. Un quesito che, in particolare, si ripresenta puntualmente è quello che concerne le modalità per gestire le celebrazioni nazionali e le festività delle tre religioni: islam, cristianesimo ed ebraismo. Per esempio, in occasione dello Jom ha-Zikaròn (il giorno in cui Israele commemora i propri caduti), che cosa devono fare i bambini arabi, e come devono celebrarlo i bambini ebrei? Con quale approccio va ricordato, nella scuola di Nevé Shalom / Wahat al-Salam, lo Jom ha-Atzmaùth ( cioè il giorno in cui lo Stato d'Israele festeggia la propria indipendenza), quando per la metà dei suoi studenti tale giorno è simbolo della Nakba - in arabo, il «disastro»? Nel giorno dei caduti d'Israele, gli insegnanti lavorano separatamente con i ragazzini palestinesi ed ebrei, e in ognuno dei due gruppi gli allievi parlano delle emozioni e delle sofferenze che provano nel commemorare questa ricorrenza. Il giorno appresso, i bambini ebrei celebrano la festa dell'Indipendenza in assenza dei bambini arabi, che invece commemorano per conto loro la Nabka.

 Anche circa la funzione educativa di queste celebrazioni, tuttavia, non mancano aspetti problematici o punti di vista contrastanti: vi sono genitori, infatti, che chiedono se non vi sia una modalità che consenta di vivere la festa dell'Indipendenza assieme, o se non vi sia il modo di celebrare una sorta di festa dell'Indipendenza alternativa. Un'esigenza di questo tipo è avvertita soprattutto dai genitori ebrei, mentre i genitori palestinesi sono scettici circa la possibilità che vi sia una simmetria anche in questo ambito. «Il giorno dei caduti», dicono i palestinesi, «è una ricorrenza per gli ebrei, mentre la nostra Nakba è tutt'altra cosa. Noi palestinesi siamo anche contrari alla celebrazione di una festa dell'Indipendenza alternativa, poiché sino ad oggi la Palestina non risulta godere di indipendenza».

Un altro aspetto controverso è quello sollevato dalle feste religiose. Nella scuola di Nevé Shalom / Wahat al-Salam si è infatti stabilito che ogni bambino deve celebrare le festività della propria religione d'appartenenza. Ma mentre i ragazzini ebrei sono tutti correligionari, tra gli arabi vi sono bambini sia cristiani che musulmani. Dunque, in occasione delle ricorrenze religiose il gruppo palestinese si ritrova a essere diviso. E pertanto i genitori e gli insegnanti palestinesi lamentano che la procedura educativa adottata indebolisce di fatto lo spirito e la coesione del loro gruppo. D'altro canto, gli abitanti di Nevé Shalom / Wahat al-Salam desiderano che ogni bambino sia consapevole e anche orgoglioso della sua identità nazionale, nonché di tutti gli elementi che concorrono a comporre tale identità: in particolare della componente culturale che, lato sensu, è comprensiva anche di quella religiosa.

Un altro problema con cui la scuola del villaggio deve fare i conti sorge dal fatto che le norme sociali invalse fra i palestinesi sono diverse, palesemente, da quelle prevalenti fra gli ebrei. La società palestinese, per esempio, ha una struttura patriarcale più marcata di quella ebraica, per cui i ragazzini palestinesi accettano più facilmente il ruolo d'autorità dell'insegnante, anzi esigono che l'insegnante sia autoritario, giacché solo in questo modo riescono a compiere il proprio dovere. I bambini ebrei, invece, sono più critici rispetto alle direttive del maestro. Ci si chiede allora quale strategia educativa debba adottare un docente che sia alle prese con una classe mista: dovrà forse assumere un comportamento severo con gli scolari arabi e aperto con quelli ebrei?

Come si vede, su molte questioni la scuola di Nevé Shalom / Wahat al-Salam non ha ancora formulato conclusioni definitive. Ma quelle sin qui menzionate sono difficoltà, per così dire, di pura routine. Ben diversa è la natura dei problemi che gli educatori e gli abitanti del villaggio si trovano ad affrontare da quando è in corso la cosiddetta lntifada di al-Aqsa. Certo, vivere di questi tempi in una località in cui ebrei e arabi si trovano a collaborare e a coabitare su un piede di eguaglianza non è facile. Fra gli abitanti sono frequenti le esplosioni d'ira, di frustrazione, e talvolta i docenti arabi, allorché entrano in classe, non riescono a trattenere le lacrime. Ciò nondimeno, una visita a Neve Shalom / Wahat al-Salam offre l'opportunità - oggi invero rarissima - di scoprire che la coesistenza fra i due popoli è ancora possibile. «Per parte nostra», dicono gli abitanti, «stiamo ben attenti che la bufera che produce devastazioni là fuori non travolga anche noi altri».

Minuscola isola al centro di un oceano in tempesta, Nevé Shalom / Wahat al-Salam vede i suoi abitanti compiere sforzi quotidiani per non lasciarsi travolgere dai marosi che li assalgono da ogni parte. Di questa strenua resistenza, Daphna, una donna ebrea (originaria dello Yemen) che fu tra le prime associate alla comunità, dà un'idea con un sospiro: «Ogni mattino», afferma, «contiamo fino a dieci, cerchiamo di contenere la nostra ira e, tutti insieme, tiriamo avanti sulla nostra strada».

Rami, un palestinese diciassettenne, vive a Nevé Shalom / Wahat al-Salam da quando aveva quattro anni. E da allora prende puntualmente parte ai festeggiamenti per il bar mizwà dei vari ragazzi ebrei della comunità. Ori, un suo amico e coetaneo ebreo, nato nel villaggio, non manca di associarsi ogni anno ai ragazzi musulmani nelle celebrazioni per la fine del Ramadan: «L 'essere nato e cresciuto a Nevé Shalom / Wahat al-Salam», afferma Ori, «mi offre molte opportunità di cui la stragrande maggioranza degli israeliani non può godere. La più importante è quella di incontrare e interagire quotidianamente con i miei coetanei arabi». Rami, per parte sua, ricorda con soddisfazione che «da noi, quando ci sono dei conflitti d'opinione, e nel villaggio ne insorgono tutti i giorni, riusciamo a gestirli mediante il confronto, il dialogo. Insomma, evitiamo con scrupolo qualsiasi ricorso alla violenza».
________________
[Tratto dagli atti del XXIII Colloquio ebraico-cristiano di Camaldoli, dicembre 2002]
Cfr. anche MALKA, Così parlavano i Chassidim, Paoline, Milano 1996, p. 28.
 
                                                                                   

| home | | inizio pagina |