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Marco Morselli
Università di Modena e Reggio Emilia

La spiritualità ebraica

«Quanta gente è perplessa riguardo alla comprensione della Torah. Non ne percepiscono le verità segrete. La Torah li invita amorosamente ogni giorno, ma loro non ci badano. È proprio come ho detto prima: la Torah mette avanti una parola misteriosa, rivelandosi in questo modo, e poi subito si ritira. Ma questo essa non lo fa che per quelli che la amano e la studiano».(1)

1. La spiritualità ebraica è vita nella Toràh. Il primo versetto della Torah è «Bereshìt barà Eloqìm et ha-shammàyim we-et ha-àretz». Dunque la Torah inizia con una bet, la seconda lettera dell’alfabeto, che ha valore numerico 2. Alef indica l’assoluta unità divina, il Creatore. Ciò che viene creato è invece sotto il segno della dualità, delle opposizioni.

«All’inizio, in principio creò…» abbiamo poi uno dei due Nomi che nella Bibbia indicano il Santo, benedetto Egli sia. Uno è un plurale, l’altro è una sigla impronunciabile. Uno indica l’attributo della sua Giustizia, l’altro della sua Misericordia.

Questi Nomi, come tutti i nomi, sono intraducibili. Nelle circa 2000 traduzioni della Bibbia esistenti, sono invece stati tradotti, facendo ricorso ai nomi delle diverse divinità locali, di modo che il libro che avrebbe dovuto portare al mondo la conoscenza dell’Unità del molteplice è divenuto il ricettacolo di tutte le divinità.(2)

Dunque, che cosa creò il Signore? Lo sanno tutti: i cieli e la terra. Ma nell’originale ebraico prima di queste parole troviamo la particella et, che indica che ciò che segue è un complemento oggetto. Et è formato da una alef e da una taw, che sono la prima e l’ultima delle lettere dell’alfabeto. Che cosa ha creato allora il Santo innanzi tutto? Egli, che è infinito, ha creto l’inizio e la fine.

Eppure no: la prima cosa creata è stata la luce (come Es 20,11 conferma). Rashì (XI sec., il principale commentatore della Torah) scrive: «Questo testo non dice altro che: Interpretami!». I vv. 1-2-3 sono inseparabili, costituiscono un tutt’uno: Al principio della creazione dei cieli e della terra, la terra era turbamento, vuoto e tenebre, il Signore disse: «Sia la luce!».

Questo è solo un piccolo esempio di esegesi ebraica delle Scritture. È significativo anzi che in ebraico non si parli di Scritture, ma di Miqrà, che vuol dire lettura. La Parola del Signore ha infiniti significati, la sua lettura è infinita.

Occorre inoltre tenere presente che non vi è solo la Torah scritta, vi è anche la Torah orale, che precede e accompagna la Torah scritta. In una situazione di estremo pericolo per l’esistenza stessa del popolo ebraico(3) la Torah orale venne messa per iscritto, e abbiamo così la Mishnàh. I commenti alla Mishnah costituiscono il Talmùd. Abbiamo poi ancora il Midràsh e la Qabbalàh.

Elie Wiesel ha definito il Talmud «un oceano vasto, turbolento eppure confortante, che suggerisce l’infinita dimensione dell’esistenza e l’amore per la vita, oltre che il mistero della morte e dell’istante che la precede».

Il Talmud fa parte della storia degli Ebrei da millenni, se consideriamo la sua storia dalle tradizioni orali alla Mishnah, alla discussione della Mishnah, al Talmud orale, al Talmud manoscritto, poi stampato, poi su Internet. Al suo interno, il qui e l’ora sono intimamente connessi con altri tempi e altri luoghi, i Maestri del I secolo discutono con i Maestri del XX secolo, i Rabbini babilonesi con quelli francesi. Più che un libro, è un approccio all’esistenza, nel quale la ricerca e la discussione collegano le realtà di questo mondo alle realtà del mondo a venire.(4)

Quello che il Talmud è per la Mishnah, il Midrash è per la Torah. Il termine deriva da darash, ricercare. Vi sono moltissimi punti oscuri nella Bibbia, incomprensibili senza il riferimento a una tradizione esegetica che precede, accompagna e segue il testo.(5)

La Qabbalah è la mistica ebraica. La realtà è un’unità in cui il visibile e l’invisibile, la materia e lo spirito si compenetrano. Il progressivo disvelamento della Qabbalah ha valenze escatologiche. Vi sono dei momenti privilegiati del passaggio dei segreti dalla sfera esoterica a quella essoterica.

Nell’anno 1240, corrispondente all’anno 5000 nella datazione ebraica, ha avuto inizio il sesto millennio, e ha fatto la sua comparsa lo Zohar, il principale testo cabbalistico. Altra data importante è il 1840, corrispondente al 5600. Siamo ora nell’anno 5766, in un’epoca in cui la preparazione messianica si intensifica.(6)

2. Per millenni l’ebraismo è stato accusato di essere una religione particolaristica. Rav Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900) è tra coloro che più si sono adoperati per dimostrare l’infondatezza di tale accusa. Come sarebbe mai stato possibile che da tale particolarismo scaturissero due religioni universali (o meglio: aspiranti all’universalità) come il cristianesimo e l’islamismo? Vi è nell’ebraismo una duplice struttura, articolata in mosaismo e noachismo. L’alleanza con Noè non è in nulla inferiore all’alleanza con Mosè. Colui che si convertiva doveva presentarsi davanti a tre rabbini e dichiarare di voler appartenere alla religione noachide. È probabile che la conversione fosse accompagnata dal battesimo, ossia dall’immersione nelle acque del miqweh. Il noachide si impegna a rispettare sette comandamenti: 1) istituzione di tribunali (= ogni società umana ha bisogno di giustizia); 2) divieto di blasfemia; 3) divieto di idolatria; 4) divieto di adulterio; 5) divieto di omicidio; 6) divieto di furto; 7) divieto di mangiare una parte di un animale vivo (= divieto di crudeltà nei confronti degli animali). Rispettando tali comandamenti il noachide entrerà nel mondo a venire, ossia avrà parte alla vita eterna.(7)

La Torah è dunque un libro da fare: 613 mitzwot per gli Ebrei e per chi voglia entrare nell’alleanza di Mosè, 7 mitzwot per chi voglia entrare nell’alleanza di Noè, con la libertà di osservare, volendo, anche un certo numero delle restanti.

Il Santo, benedetto Egli sia, nella sua trascendenza è assolutamente inconoscibile. Di Lui possiamo conoscere ciò che Lui ha voluto rivelarci: la sua volontà. Aderendo alla sua volontà noi ci avviciniamo a Lui. Come Lui è santo, così noi cerchiamo di santificarci, anche nelle minute attività della nostra vita quotidiana.

Ciò che la Torah ci indica, più che una ortodossia, è una ortoprassi. Il primato dell’etica non è un rifiuto della Rivelazione, ma proprio il contenuto della Rivelazione, con il quale la teologia dovrebbe confrontarsi.

3. So per esperienza che non è facile parlare davanti a un uditorio cristiano dell’antiebraismo cristiano, e dunque non lo farò. Posso rinviare ad alcuni testi che consentono di avviare una riflessione su questo aspetto delle relazioni ebraico-cristiane.(8) Posso anche aggiungere che l’importanza dell’argomento è tale che ne dipende la Redenzione. Posso infine cedere la parola a due cristiani.

Il primo è il Cardinale Jean-Marie Lustiger: «Il massacro e la persecuzione d’Israele ad opera dei pagani [cioè dei goyim] – bisognerebbe dire dei pagano-cristiani – sono la prova della loro menzogna o della loro presunta adorazione di Cristo. […] L’atteggiamento concreto dei pagano-cristiani verso il popolo d’Israele è il sintomo della loro reale infedeltà a Cristo o della loro menzogna nella loro pseudo-fedeltà a Cristo. È la confessione involontaria del loro paganesimo e del loro peccato».(9)

Il secondo è il Pastore Martin Cunz: «Auschwitz è la negazione più assoluta dell’uomo, o più precisamente dell’uomo al cospetto di D. come ce lo presenta il popolo ebraico. E la negazione del popolo ebraico è la negazione più assoluta del D. d’Israele. Se i non ebrei battezzati avessero avuto la minima idea del D. d’Israele e il minimo amore per lui, non avrebbero lasciato morire gli ebrei».(10)

4. A partire dal Concilio Vaticano II ha avuto inizio il percorso di teshuvah dei cattolici (e più o meno contemporaneamente dei cristiani di altre confessioni). Possa questo cammino dell’abbandono della teologia della sostituzione e dell’insegnamento del disprezzo proseguire, nella sequela di Rav Yeshua ben Yosef (= Gesù), fino a raggiungere il monte Sion, il luogo in cui viene imbandito il banchetto messianico: «Sul monte Sion il Signore dell’universo preparerà per tutte le nazioni del mondo un banchetto imbandito di ricche vivande e di vini pregiati. All’improvviso farà sparire su questo monte il velo che copriva tutti i popoli» (Is 25,6-7).
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(1) Zohar, in S. Avisar, Tremila anni di letteratura ebraica, Carucci 1980, vol. I, p. 555. Per una prima introduzione: L. Sestieri, La spiritualità ebraica, Studium 1986; Ead., Gli ebrei nella storia di tre millenni, Carucci 1986.

(2) Su questo si veda: A. Chouraqui, Mosè, Marietti 1996.

(3) Mi riferisco a quelle che i Romani chiamarono la I e la II Guerra Giudaica. Durante la I venne distrutto il Tempio di Gerusalemme e, riferisce Flavio Giuseppe, non vi erano più alberi in Israele perché centinaia di migliaia di Ebrei erano stati crocifissi dalle truppe di occupazione romane. «Secondo i dati forniti indipendentemente da Giuseppe e da Tacito, oltre 600.000 Ebrei avrebbero trovato la morte nel corso delle operazioni militari, circa il 25% della popolazione, e molti altri vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi. Con ciò sembra possibile che qualcosa come la metà della popolazione ebraica sia stata eliminata fisicamente» (J. A. Soggin, Storia d’Israele, Paideia 1984, p. 485). Nel 135 i morti furono 850.000 (Soggin p. 492).

(4) E. Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud, Bompiani 2000; Id., Celebrazione talmudica, Lulav 2002; A. Steinsaltz, Cos’è il Talmud?, Giuntina 2004.

(5) G. Stemberger, Il Midrash, Dehoniane 1992.

(6) A. Safran, Saggezza della Cabbalà, Giuntina 1998; Id., Tradizione esoterica ebraica, Giuntina 1999; A. Steinsaltz, La rosa dai tredici petali, Giuntina 2000; G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi 1993.

(7) E. Benamozegh, Israele e l’umanità, Marietti 1990; A. Pallière, Il Santuario sconosciuto, Marietti 2005.

(8) J. Isaac, Gesù e Israele, Marietti 2001; L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, 5 voll., La Nuova Italia 1974-96 (Sansoni 2004).

(9) J.-M. Lustiger, La Promessa, Marcianum 2005, p. 67.

(10) M. Cunz, Il silenzio ad Auschwitz. Gli interrogativi dopo Auschwitz, in «Sefer», 1990 n. 52, p. 3.

   
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