rotolo.jpg (4733 byte) Le Scritture
e l’epoca di Gesù -
6.5

Luca 17 - Il giorno del Figlio dell'Uomo 

Lc 17, 20-37. “I farisei gli domandarono: «Quando viene il regno di Dio?». Egli rispose: «Il regno di Dio non viene in modo che si possa osservare. Nessuno potrà dire: "Eccolo qui", o: "Eccolo là", perché il regno di Dio è già in mezzo a voi». Poi disse ai discepoli: «Verranno tempi nei quali desidererete vedere uno solo dei giorni del Figlio dell' uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: "Eccolo qui", oppure: "Eccolo là"; ma voi non vi muovete, non seguiteli. Come infatti il lampo guizza da un estremo all' altro del cielo e illumina ogni cosa, così sarà il Figlio dell' uomo nel suo giorno. Ma prima egli deve patire molto ed essere rifiutato dagli uomini di questo tempo. E come avvenne ai tempi di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell' uomo: si mangiava, si beveva, si prendeva moglie e si prendeva marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell' arca. Poi venne il diluvio e li spazzò via tutti. Lo stesso avvenne ai tempi di Lot: la gente mangiava e beveva, comprava e vendeva, piantava e costruiva. Ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma, venne dal cielo fuoco e zolfo e li distrusse tutti. Così succederà nel giorno in cui il Figlio dell' uomo si manifesterà. In quel giorno, se qualcuno si troverà sulla terrazza, non scenda in casa a prendere le sue cose. Se uno si troverà nei campi, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di preservare la sua vita la perderà, chi invece darà la propria vita la conserverà. Vi dico: in quella notte due saranno in un letto: uno verrà preso e l' altro lasciato. Due donne si troveranno a macinare insieme il grano: una sarà presa e l' altra lasciata. Due uomini si troveranno nei campi: uno sarà preso e l' altro lasciato». I discepoli allora gli dicono: «Dove, Signore?». Egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi»”.

Quando si legge questo discorso di Gesù rivolto ai suoi contemporanei, i farisei e i suoi discepoli, si rimane perplessi, perché non si capisce bene cosa egli voglia dire. Gli studiosi parlano di discorso escatologico o apocalittico, ma la comprensione non aumenta granché; piuttosto, alcune espressioni suonano sinistre e fanno paura. In realtà, per capire le parole di Gesù, dobbiamo lasciarci guidare da quel criterio che abbiamo seguito finora nel nostro approccio al Nuovo Testamento. Abbiamo già detto che i vangeli e tutto il NT sono inaccessibili, se non vengono compresi sullo sfondo storico-culturale e religioso del popolo ebraico del II-I sec. a.C. e del I sec. d.C. Per aver chiaro quanto sto dicendo, rimando ai primi tre articoli di questa serie di riflessioni; ma qualche nozione bisogna necessariamente ripeterla.

Gesù, gli apostoli e la primitiva comunità cristiana erano ebrei ed erano profondamente inseriti nella storia e nella religione del proprio popolo, così come si erano sviluppate fino ad allora. Il popolo ebraico aveva da tempo chiuso il tempo delle Scritture, cioè di quegli scritti che noi chiamiamo Antico Testamento, e che anche per esso costituivano testi sacri. Alcune tendenze di fondo, però, delle Scritture più recenti avevano continuato a svilupparsi in modo originale e ricco, anche se non venivano ritenute sacre. Nonostante questa differenza, tali scritti avevano tuttavia una certa autorità, perché erano il frutto di persone pie e colte che incarnavano in qualche modo l’anima del popolo ebraico e lo rappresentavano. Le tendenze che si erano sviluppate erano una mescolanza a) di una visione drammatica, piuttosto pessimistica della storia, vista come una serie d’interventi di Dio e d’invarianti cadute dell’uomo, tenacemente peccatore fin dai tempi di Adamo ed Eva (vedi la storia da Genesi a 2 Re); b) di una predicazione fatta da uomini inviati da Dio a risvegliare la coscienza non pura o assopita o paurosa del popolo (i profeti); c) da una riflessione profonda sul senso dell’esistenza e sul modo più saggio di comportarsi, cercando di coniugare le leggi della natura e le leggi morali con la Legge di Mosè (vedi Sir 24: inno alla sapienza di Dio, come si manifesta nella storia della salvezza e nella sua Legge). Queste tre tendenze, mescolandosi e accentuando la drammaticità delle aspettative popolari di un cambiamento di rotta delle sorti d’Israele, si sono trasformate in pensieri animati da una vivida fantasia, da una fantasmagoria d’immagini e di colori perlopiù foschi: il tutto per descrivere il “giorno di JHWH”, cioè il momento del ritorno o arrivo del Dio redentore d’Israele e creatore di una nuova fase della storia e addirittura di una nuova creazione. Il giorno di JHWH originariamente indicava una realtà liturgica che si celebrava ogni anno, al Capodanno e nella serie di festività del mese più importante del calendario ebraico, il settimo (settembre-ottobre). Ora, però, il “giorno” non indicava più semplicemente un rituale sacramentale nella sua ripetitività , bensì la realizzazione prossima ventura di tutte le attese d’Israele: il discendente messianico di Davide (Ez 37,24), e quindi un nuovo regno, oppure il profeta degli ultimi tempi preannunziato da Mosè in Dt 18,18 oppure la ricomparsa dal cielo di Elia (Mal 3,23s), o infine altre figure misteriose come una figura sacerdotale alla maniera di Melchisedek (cf. Gen 14,18-20) o il Figlio dell’Uomo, plenipotenziario di Dio e suo mediatore.

Se teniamo presenti tutte queste nozioni, queste immagini e soprattutto l’atmosfera, ci è possibile ora introdurci nelle parole dell’ebreo Gesù, per poterne afferrare l’autentico significato. Nel suo discorso egli prima risponde ad una domanda dei farisei, i quali chiedono quando verrà il regno di Dio, quello degli ultimi tempi, di cui ho parlato più sopra. Gesù, contrariamente alle aspettative apocalittiche di rumore, di guerre, e di vittorie sui nemici, afferma che il regno di Dio ha già cominciato ad esistere, grazie alla sua presenza, in mezzo ai suoi contemporanei. In altri termini, Gesù dà un significato spirituale e più autentico a quelle immagini colorite che parlano dell’avvento di un nuovo regno glorioso. Ciò che arriva con Gesù è il regno della mitezza e della pace (si ricordino le parole di Gesù a Pilato in Gv 18,36). Sì, vi sarà l’avvento del regno glorioso di Dio, ma sarà la vittoria dell’interiorità che con la sua natura più intima sconvolge il mondo. E qui l’evangelista fa continuare il discorso di Gesù con delle parole rivolte ai discepoli, cioè alla chiesa. In realtà, sia in questa seconda risposta che nella prima ai farisei, Gesù si allinea con i maestri ebrei dal pensiero più elevato e spirituale, con questa differenza, però: tutte quelle figure sopra menzionate vengono a coincidere nella sua persona, come dimostra tutto il vangelo di Luca. Ma anche Gesù usa delle immagini metaforiche per parlare della nuova realtà interiore. Sono immagini che fanno paura, perché parlano prima di uno stato incredibile d’indifferenza degli uomini (vv. 26-32) e poi di un giudizio e di un pericolo, dai quali non si sfugge rifugiandosi in uno spazio o affidandosi ad una relazione parentale: ciascuno dovrà rispondere di se stesso di fronte all’apparire del Figlio dell’Uomo. Quel principio di responsabilità che è il pilastro dell’etica ebraica fin dal racconto di Adamo ed Eva, viene da Gesù portato alle estreme conseguenze. È l’obbedienza a Dio e alla sua volontà che salva dal giudizio finale.

Come si può vedere, il discorso di Gesù, riportato al suo significato più profondo e più autentico, lasciando da parte le immagini che egli mutua dal modo di parlare del suo tempo, è di un’attualità sconvolgente. Egli rivela ai cristiani prima e a tutti gli uomini poi, che la sua venuta nel mondo, fugace come un lampo, è il chiarore che illumina le coscienze e che invita tutti gli uomini di buona volontà ad entrare a far parte del nuovo mondo.

(indice) (continua)


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