Mimmo Muolo, su "Avvenire" del 18 gennaio 2004


 Giornata memorabile nella storia del dialogo ebraico-cristiano In occasione della «Giornata» che si celebra oggi in tutta Italia, le due massime autorità religiose d’Israele sono state ricevute in Vaticano da Giovanni Paolo II: franco e cordiale il colloquio


Nel segno del dialogo e dell’amicizia. Un segno «di grande speranza», come ha sottolineato ieri il Papa. Per mettere definitivamente al bando l’antisemitismo e dire basta al terrorismo. E per incrementare la reciproca conoscenza.

Il 2004 è nato sotto i migliori auspici per il rapporto tra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica. E potrebbe continuare anche meglio. Perché questo potrebbe essere l’anno del ritorno di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma, diciotto anni dopo la storica visita del 1986 (l’invito è stato già formulato da tempo e potrebbe coincidere con i festeggiamenti per gli 800 anni dalla morte di Maimonide, il grande studioso talmudista sefardita, nato in Spagna e morto nel 1204 in Egitto). 

Intanto, è un fatto sicuramente importante l’udienza concessa ieri dal Papa ai due rabbini capo di Israele, l’askenazita Jona Metzgher e il sefardita Slomo Amar, che sono rimasti per 35 minuti a colloquio con il Pontefice, accompagnati dal direttore generale del Gran Rabbinato, Oded Wiener. Un’udienza svoltasi, a detta degli stessi rabbini, in un clima molto cordiale e amichevole, dalla quale «siamo usciti incoraggiati e rinforzati – ha sottolineato Amar – perché fa crescere la speranza, la riconciliazione e la fratellanza fra le due religioni».

Il buon momento delle relazioni ebraico-cattoliche è testimoniato anche dalle parole del breve discorso Papa. «Il dialogo tra la Chiesa cattolica e il rabbinato di Israele – ha affermato Giovanni Paolo II – è un segno di grande speranza. Non dobbiamo risparmiare nessuno sforzo nel lavorare insieme per costruire un mondo di giustizia, di pace e di riconciliazione tra tutti i popoli».

È stata questa, del resto, una delle grandi rotte seguite durante tutto il suo ministero di successore di Pietro. E Papa Wojtyla, infatti, lo ha sottolineato apertamente davanti ai due rabbini. «Nei venticinque anni del mio pontificato – ha proseguito – ho compiuto ogni sforzo per promuovere il dialogo e per far avanzare sempre maggior comprensione, rispetto e cooperazione tra noi». Anzi, ha aggiunto, «il mio pellegrinaggio giubilare in Terra Santa rimane uno dei momenti forti del mio pontificato». Per questo Giovanni Paolo II ha concluso con un auspicio: «Possa la Divina Provvidenza benedire il nostro impegno e coronarlo con il successo».

L’udienza papale è stata poi al centro anche della successiva conferenza stampa che i due rabbini hanno tenuto al secondo piano della Sinagoga di Roma, presente anche il rabbino capo, Riccardo Di Segni. Metzger, che indossava il classico pastrano della tradizione askenazita e un cappello scuro, e Amar (turbante e tunica nera con fregi d’oro, come nella tradizione sefardita) hanno riferito di aver ringraziato il Pontefice per i suoi ripetuti interventi «contro l’antisemitismo e contro il terrorismo» e gli hanno chiesto di «esercitare il suo peso morale» per la liberazione dei soldati israeliani detenuti dagli Hezbollah libanesi.

Papa Wojtyla, hanno sottolineato, «è stato molto caloroso con noi e profondamente interessato ai temi del colloquio». Tra i quali, naturalmente, la lotta all’antisemitismo e l’impegno contro il terrorismo «che tiene in ostaggio la pace» hanno fatto la parte del leone, come ha riconosciuto anche l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Oded Ben Hur.

Quanto all’antisemitismo, i due rabbini israeliani hanno citato le parole del Papa che più volte, in passato, ha detto: «Dobbiamo insegnare alle coscienze a considerare l’antisemitismo e ogni forma di razzismo come peccati contro Dio e l’umanità». «Il fatto stesso che l’incontro odierno sia avvenuto – ha spiegato Amar – ci dà speranza che si intensifichino sempre di più i rapporti fra noi, perché riteniamo che una delle più grandi sciagure del mondo sia la mancanza di dialogo e di comunicazione. Ognuno vive dentro i propri pensieri e così si creano montagne d’odio».

Di qui, dunque l’invito al dialogo, anche in funzione della lotta al terrorismo. Un invito che l’altro rabbino capo, Metzger, ha rivolto anche ai leader religiosi dell’islam. «Tante volte abbiamo chiesto loro di non approfittare della religione per alimentare il terrorismo – ha sostenuto –. Siamo tutti figli dello stesso padre Abramo. E come può un padre gioire quando vede un figlio che ammazza l’altro?».

A questo punto del discorso, poi, il rabbino askenazita si è riferito al recentissimo attentato kamikaze al valico di Erez compiuto da una mamma palestinese di 21 anni, «il cui mandante – ha accusato – si ritiene sia il leader spirituale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin». «Come può questo sceicco rivolgersi a Dio dicendo: facciamo questo per te?», si è chiesto Metzger. «Basta col sangue – ha concluso – i leader islamici prendano piuttosto esempio dal Papa e dalle sue parole di pace».

Infine lo scambio di doni. I rabbini hanno portato al Papa un candelabro, ma gli hanno anche chiesto di prestare alcuni manoscritti, o altri oggetti ebraici attualmente custoditi in Vaticano, per una mostra che si terrà in Israele, in occasione degli 800 anni dalla morte di Maimonide. Un prestito che sperano «possa diventare permanente, in segno di amicizia». Nessun cenno, invece, alla famosa menorah del Tempio di Gerusalemme, trafugata da Tito nel 70 d.C. e che, secondo una leggenda, si troverebbe a Roma. «Si è aperta un’occasione di dialogo – ha concluso Amar –. Non vogliamo sprecarla a parlare di questi argomenti».
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[Fonte: "Avvenire" del 18 gennaio 2004]


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