rotolo.jpg (4733 byte) Le Scritture
e l’epoca di Gesù - 5

5. Giovanni e l’Antico Testamento 

In linea con l’esame che andiamo facendo del Nuovo Testamento come radicato nell’Antico e nel giudaismo dell’epoca di Gesù, il Vangelo di Giovanni contribuisce grandemente a confermare il nostro assunto. In altri termini, non è possibile comprendere a fondo il quarto vangelo, se non lo si legge sullo sfondo dell’epoca e della cultura religiosa giudaica. Quest’affermazione è valida anche se curiosamente il vangelo giovanneo, nella sua redazione più tardiva, mostra ormai una certa distanza dagli eventi e addirittura stabilisce già una certa contrapposizione netta tra “i Giudei” e i credenti cristiani. È un fatto tuttavia che il testo evangelico parla una “lingua” ebraica, cioè adopera immagini e formule tipiche del giudaismo ellenistico, una cultura che pur rivolgendosi a una cerchia più ampia delle comunità ebraiche, trovava però in esse le prime destinatarie naturali. Nel comprendere il vangelo giovanneo, noi dobbiamo sempre essere consapevoli della complessità di quella situazione storico-religiosa e dobbiamo stare attenti a non mescolarvi quell’atteggiamento di lacerazione e di esclusione che solo molto dopo si sarebbe consumato, lasciando che da due correnti venissero fuori due religioni!

Gv 1: introduzione tematica al quarto vangelo

Gv 1:1 «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo. 2 Questi era in principio presso Dio. 3 Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 e la luce nelle tenebre brilla e le tenebre non la compresero. 6 Ci fu un uomo mandato da Dio; il suo nome era Giovanni. 7 Questi venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Non era lui la luce, ma per rendere testimonianza alla luce. 9 Era la luce vera, che illumina ogni uomo, quella che veniva nel mondo. 10 Era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui e il mondo non lo riconobbe. 11 Venne nella sua proprietà e i suoi non lo accolsero. 12 A quanti però lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome, 13 i quali non da sangue né da volontà di carne né da volontà di uomo ma da Dio furono generati. 14 E il Verbo si fece carne e dimorò fra noi e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità».

Il primo capitolo del vangelo giovanneo è uno dei più bei testi che la Bibbia contenga, perché unisce la poesia all’alta speculazione: si tratta d’invitare i lettori a meditare sul mistero della persona del Cristo, Parola di Dio, venuto sulla terra per la salvezza degli uomini. Il lettore o l’ascoltatore viene invitato a contemplare la realtà divina del Verbo (vv.1-3); indi, viene portato a considerare il processo dell’incarnazione, inteso come un viaggio della vita e della luce verso il mondo degli uomini (vv.4-5.10). Il Verbo è “sceso tra la sua gente”, ma essa non l’ha accolto; potevano accoglierlo solo coloro che da Dio sono stati generati e non sulla base del sangue. Per questo la Parola “si è fatta carne” (v.14), perché se ne vedesse il mistero della persona che porta con sé grazia e verità e rivela il volto del Padre (vv.14.18).

Ai cristiani queste parole e questo messaggio sono noti, sono la sua dottrina. Meno noto è il fatto che l’ordine d’idee presente nel prologo giovanneo era molto diffuso a partire dal III sec. a.C. in poi e ha trovato posto perfino nelle Sacre Scritture. Il testo dell’AT che più si avvicina a quello di Giovanni è Sir 24:

Sir 24:1 «La sapienza loda se stessa e si vanta in mezzo al suo popolo. 2 Apre la bocca nell' assemblea dell' Altissimo e si vanta dinanzi alla sua corte celeste: 3 «Io sono uscita dalla bocca dell' Altissimo, e come vapore ho ricoperto la terra. 4 Ho abitato nelle altezze del cielo, avevo il trono in una colonna di nubi. 5 Io sola ho fatto il giro del cielo e ho passeggiato nel profondo degli abissi. 6 Sui flutti del mare e su tutta la terra, in ogni popolo e nazione avevo dominio. 7 Ciò nonostante ho cercato un luogo di quiete, qualcuno, nel cui podere sostare. 8 Allora il Creatore di tutto mi diede un comando, il mio Creatore mi ha dato una sede per riposare e mi ha detto: Metti tenda in Giacobbe, sia in Israele la tua eredità. 9 Egli mi ha creato nell' inizio, prima del tempo e non verrò meno, per sempre. 10 Ho officiato davanti a lui, nella tenda sacra, risiedendo in Sion. 11 Nella città che ama, mi ha fatto posare, il mio potere è ora in Gerusalemme. 12 Ho messo radici in un popolo glorioso, ho avuto l' eredità nella porzione del Signore».

Come si può notare, questo testo del Siracide nel quale si parla di quel misterioso personaggio divino, la Sapienza, che ormai si era fatta strada nell’immaginario religioso di correnti del giudaismo, contiene gli stessi concetti e perfino alcune parole del prologo giovanneo.

La Sapienza celeste, invitata a parlare di se stessa, si presenta innanzi tutto come colei che è uscita dalla bocca dell’Altissimo (vv.1-3): un’origine divina, dunque; essa proviene dallo stesso Dio, ne è addirittura la parola, se è uscita dalla sua bocca. Il suo ruolo è stato quello di essere onnipresente nella storia della salvezza, dalla creazione (vv.4-6) fino all’insediamento sul Sion, nel tempio di Gerusalemme (vv.7-12), dove ha diretto l’esercizio del culto, e fino al suo radicamento nella Terra promessa (vv.12ss). La sua dimora in Terra santa è detta un “mettere la tenda in Giacobbe” (v.8), proprio come in Gv 1,14 la dimora del Verbo sulla terra è detto appunto “è venuto a porre la sua tenda in mezzo a noi”.

In realtà, questo modo di pensare lo si trova anche nel libro dei Proverbi, in 8,22-31:

Prov 8:22 «Il Signore mi ha creato all' inizio del suo operare, prima delle sue opere più antiche. 23 Dall' eternità sono stata costituita, dall' inizio, prima dei primordi della terra. 24 Quando non c' erano gli abissi io fui partorita, quando non c' erano le sorgenti delle acque profonde. 25 Prima che le montagne fossero piantate, prima delle colline io fui partorita; 26 ancora non aveva fatto la terra e le campagne e i primi elementi della terra. 27 Quando fissò il cielo, io ero là, quando stabilì il firmamento sopra la faccia dell' abisso. 28 Quando condensò le nuvole del cielo, quando chiuse le sorgenti dell' abisso. 29 Quando impose al mare la sua legge, che le acque non trasgredissero la sua parola; quando fissò i fondamenti della terra, 30 io ero al suo fianco, come ordinatrice, io ero la sua delizia giorno per giorno, godendo alla sua presenza sempre, 31 godendo sul suolo della terra e mia delizia erano i figli dell' uomo».

Si può quindi affermare che l’autore del prologo giovanneo non abbia inventato l’immagine teologica dell’Inviato da Dio per la salvezza degli uomini. La sua originalità sta piuttosto nell’aver applicato tale ordine d’idee a Gesù di Nazaret o, detto diversamente, nel non aver saputo trovare di meglio che queste immagini dell’AT per approfondire e presentare il mistero di Cristo, rivelatore di Dio Padre (cf. Gv 1,18).

(indice) (continua)


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