Judaica

Nei confronti del popolo ebraico, scelto da Dio e spesso perseguitato dagli uomini, lungo i secoli sono sorti molti pregiudizi e stereotipi, per lo più negativi. Questo saggio - scritto da una ebrea impegnata nel dialogo ebraico-cristiano - si propone ad aiutare il lettore non-ebreo a comprendere il perché certi pregiudizi si sono diffusi e, al tempo stesso, di guidare il lettore ebreo a riscoprire la propria identità più vera, a volte compromessa dall'ostilità dell'ambiente. Un viaggio attraverso la Scrittura e la storia per scoprire la bellezza di guardare il mondo con gli occhi dell'altro. Senza pregiudizi.

Lilli Spizzichino, ebrea romana, è vicepresidente dell'Amicizia ebraico-cristiana della sua città. Si occupa da diversi anni di dialogo interreligioso tenendo conferenze e seminari per i Colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli, per il SIDIC (Service de Documentation Judeo-Chrétienne) e per la libreria Menorah. Collabora con il mensile ecumenico «Confronti»

ISBN 88-7610-797-5

L. 22.000


Uno stralcio dal Cap. Scemot (Esodo) -Terzo patto/distinzione/elezione


Es 19, 5-6

Or dunque, se voi obbedirete alla mia voce e manterrete il mio patto, sarete per me quale tesoro fra tutti i popoli, 
poiché a me appartiene tutta la terra. E voi sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione consacrata.
Es 33, 16

"In quale altro modo dunque si potrebbe riconoscere  che io ho trovato grazia ai tuoi occhi insieme al tuo popolo? Ciò avverrà soltanto se tu ci accompagnerai nel cammino e in tal modo io e il tuo popolo saremo distinti da tutte le nazioni della terra"
Es 34, 10

[Il Signore] rispose: "Ebbene io concludo un'alleanza in presenza di tutto il tuo popolo, eseguirò cose meravigliose che mai furono compiute in alcuna terra, né presso alcuna nazione; e tutto il popolo che ti circonda vedrà quanto sia imponente l'opera del Signore che io compio per te"

 


Per una maggiore comprensione... 

"Non possiamo diventare altri da quel che siamo finché non sappiamo chi siamo. 
E non possiamo sapere chi siamo finché non accettiamo di essere quel che siamo.  
Proprio qui e ora" rileva Kushner. 

Israele non sapeva chi fosse fino al momento della stipulazione del patto con il Signore. 
Il popolo aveva conosciuto la propria schiavitù in Egitto e la sua liberazione, ma non riuscì a comprendere il significato del passaggio da una condizione a un'altra se non al momento dell'entrata nella terra di Canaan, terra destinata da Dio agli ebrei. [1]

Prima di questo, un continuo girovagare, un errare quasi senza fine per capire e accettare pienamente la propria missione e il ruolo in mezzo alle altre nazioni. 

Quando Israele attraversa il Mar Rosso è ancora un popolo bambino, capriccioso, vorrebbe tutto e subito, è incapace di accettare delle leggi perché dominato ancora dall'egoismo dovuto ai quattrocento anni di sofferenze. Come un bambino è guidato da Dio a un lento processo di crescita, per quarant'anni è costretto a scontrarsi con i "no" del proprio genitore il quale, molte volte, perde la pazienza proprio come fa un padre con il figlio castigandolo per le marachelle commesse. 

Ma il Signore ama il suo popolo e mai ne vorrebbe vedere la fine; con forza e tenerezza vuole il suo bene, lo incoraggia e lo sgrida al fine di arrivare a un patto eterno per tutte le generazioni con una nazione finalmente consapevole del suo essere. "Tu devi essere intimamente persuaso che come un uomo riprende suo figlio, così il Signore tuo Dio riprende te" (Dt 8, 5). Quindi non un Dio cattivo ma tzadíq (giusto), pronto alla chesed (misericordia) di fronte agli atti di emunah (fede) del suo popolo. Egli, infatti, agisce secondo giustizia e compassione mediante infinite generazioni, confortando i poveri e valutando non attraverso la misura dell'odio umano, ma con benevolenza e generosità. " Siccome il Signore tuo Dio è un Dio pietoso, non ti abbandonerà, non ti distruggerà e non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri" (Dt 4, 31).

 Osserva Barth: 

Ci sono volute tre alleanze per arrivare all'elezione d'Israele; tre accordi dalla distruzione della prima umanità. Il primo patto fu stipulato fra Dio e tutta l'umanità, come narra la Torah, all'uscita di Noè e dei suoi figli dall'arca; esso già conteneva le tre condizioni che caratterizzano tutti i patti: da un lato la promessa del Signore di non portare più distruzione sul mondo; dall'altro l'impegno di tutta l'umanità di costruire la propria vita sui principi della morale contenuti nei sette precetti noachidi; in terzo luogo il segno del patto: l'arcobaleno. Il secondo patto, Iddio lo stipulò con il patriarca Abramo e lo confermò agli altri patriarchi. L'Eterno promise di essere Dio per i patriarchi e i loro figli dopo di loro e di dar loro la terra di Canaan. I patriarchi si impegnarono a comandare ai loro figli e a tutti i discendenti di osservare la strada del Signore, di praticare la tzedaqah e il mishpath (diritto). La circoncisione costituì il segno del patto. Il terzo, quello stretto sul Sinai e confermato nella pianura di Moab, è la conseguenza del secondo e quindi non ha alcun segno particolare. Alla circoncisione si aggiunsero altri segni esterni: le Tavole della Legge, lo Shabbath (sabato)". 

In tutto questo lasso di tempo l'umanità percorse un cammino in salita irto di rinunce e di scelte, alcune nazioni "caddero", qualcuno però raggiunse la vetta "distinguendosi" da chi non aveva forza e volontà di rinunciare al proprio ego, al proprio sé, in nome della fedeltà all'unico Dio. Chiaramente qualsiasi tipo di separazione porta poi conseguentemente a una distinzione di chi si è separato. Quel qualcuno è "distinto" perché non agisce come la massa, come il gruppo; ha una sua organizzazione sociale, legislativa, religiosa, che lo pone in una condizione diversa rispetto agli altri. 

Non è poi sempre detto che la vita di questo nuovo "organismo" disgiunto per una serie di motivi dalle altre nazioni e unito indissolubilmente a un "Socio", abbia una vita facile. I nuovi ordinamenti potrebbero essere più difficili dei primi e le rinunce potrebbero essere maggiori rispetto a un agire "comodo". 

Siamo a conoscenza di come non solo Israele ma anche i suoi patriarchi, in qualità di esseri umani, contravvennero alcune volte alle nuove regole, ma la fiducia e la fedeltà verso l'unico Dio ha permesso loro di eliminare o, meglio ancora, di correggere quei tratti di autocompiacimento e di egocentrismo tipici di ogni uomo. 

Dio non ha scelto Israele, non ha distinto questa nazione perché era la migliore! Tutt'altro! 
"Siete un popolo di dura cervice", "Non dunque per la tua rettitudine e onestà". L'elezione fu dovuta alla malvagità delle altre genti, le quali si giudicavano migliori e tentavano di fare tutto ciò che desideravano, illudendosi di poter vivere eternamente ed essere così Dio. 

A tutto ciò si contrappose l'esempio del popolo ebraico, scelto dal Signore per puro e imperscrutabile amore divino, fatto di esseri umani che vivevano non fuori dal mondo ma inseriti in esso, in un universo dove gli sbagli e gli incidenti di percorso potevano preparare un ritorno alla fede e a un comportamento più saggio. 

Quindi "elezione" non vuol dire superiorità e orgoglio, ma consiste piuttosto nel fatto che Israele si trova ad avere un particolare rapporto di vita con Dio e che perciò gli è affidato un compito particolare: praticare in prima persona i doveri esposti nella Torah (segno dell'alleanza) e insegnarli agli altri popoli per mezzo di uno sforzo collettivo, non attraverso il proselitismo ma tramite se stessi, con un modello di vita spirituale.

 


[1] 

Come non rimanere "toccati" da questa affermazione, il cui simbolismo è denso di spessore indicibile e veicola una verità universale che, in quanto tale, ci coinvolge tutti: ogni creatura umana, finché non è liberata dalle sue schiavitù (che possono avere vari nomi: chiusura, egoismo, autosufficienza, intolleranza...), stereotipi, maschere, non può vivere la sua autenticità, non può fare l'esperienza di un vero cammino spirituale o non può comunque essere capace di relazioni autentiche, vitali, veramente umane e umanizzanti. (nota della redattrice)

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