2. Dimensione "Jahwistica" della Sapienza in Israele

A partire dal tempo di Salomone la ricerca sapienziale divenne, in misura crescente, un patrimonio sentito nella tradizione di Israele. Essa veniva coltivata alla corte del re, specialmente in scuole destinate alla formazione dei funzionari e degli scribi [14]. Secondo la testimonianza, storicamente attendibile, di Pro 25,1 la raccolta di Pro 25-29 fu compilata dagli uomini di Ezechia, re di Giuda, che attinsero a prodotti più antichi della loro tradizione. 

Ugualmente al primo periodo monarchico risale, nella sostanza, la raccolta di Pro 10,1-22,16. Non pochi "detti sapienziali" riflettono la vita delle corte. Si pensi, p.es., ai detti che indicano l'atteggiamento da tenere alla presenza del re (Pro 16,12-15; 19,12; 20,2; 22,11.29 ... ) o di personalità (23,1- 3; 25,13.15), dove è fondamentale la padronanza della lingua, la prudenza, la longanimità e la pacatezza. 

La lettura delle parti più antiche del libro dei Proverbi (specialmente i cc 10,1-22,16; 25-29) mostra inoltre che, nella formazione dei funzionari dello stato, si accordava grande importanza alla sapienza "popolare" che si accoglieva e si tramandava in vista di una formazione completa, anche sotto il profilo esistenziale. Il "sapiente" non è colui che possiede solo la scienza, ma colui che unisce al sapere il giudizio e la coerenza della vita.

Di particolare importanza e interesse è la questione relativa al rapporto di questa attività sapienziale con la fede in Jhwh. Essa, come è stato rilevato, non è certo "un ramo dello jahvismo" [15]. La sapienza, ovviamente, non ha origine dalla fede israelitica. Israele, piuttosto, la scopre nel quotidiano della propria esistenza, la sviluppa nel legame con la propria tradizione passata, nei contatti con le culture dei popoli confinanti. 

Questo asserto, però, non può essere inteso nel senso che l'attività sapienziale e la tradizione della fede fossero due grandezze tra loro autonome e che solo nel periodo postesilico abbia avuto luogo la loro saldatura con la teologizzazione della sapienza. Lo afferma esplicitamente il Von Rad quando, riferendosi a Pro 16,7-12, scrive: "Il semplice fatto che nella sapienza delle sentenze antiche i testi riguardanti un'esperienza di Dio e quelli che riguardano un'esperienza del mondo si mescolino tra di loro... parla assolutamente contro l'idea che vi sia una qualche tensione nell'organo della conoscenza... La sua [di Israele] grandezza consiste forse in questo, nel non aver separato la fede dalla conoscenza: le esperienze del mondo erano sempre per lui esperienze di Dio e le esperienze di Dio esperienze del mondo" [16].

La tradizione sapienziale, dunque, già in questa fase antica del suo sviluppo era "tipicamente israelitica" e, col tempo, lo divenne sempre di più, in quanto "di nuovo. essere dell'uomo, risultante dalla rivelazione di Jahvh, doveva ripercuotersi anche sulla sapienza" [17]. Questa dimensione "tipicamente israelitica", alla quale la ricerca scientifica ha incominciato a prestare maggiore attenzione [18], appare sia dai detti sapienzali che affermano i diritti dei poveri, condannando la loro oppressione (cfr Pro 14,31; 17,5; 19,17; 21,13; 28,25.27), sia dalle sentenze che presentano Jhwh come difensore della giustizia (Pro 17,15). 

In entrambi i casi, infatti, si delinea una concezione affine a quella che conosciamo dall'attività dei profeti del sec. VIII i quali, a loro volta, si richiamavano alla tradizione dell'alleanza, attualizzandola in tutte le sue esigenze vitali nel nuovo contesto socioeconomico e politico che si era venuto a formare. Si potrebbe dire, con una formula sintetica, che "la sapienza in Israele" si sviluppò sempre come sapienza di Israele.

Il movimento deuteronomistico, presentando la figura di Salomone che riceve da Jhwh la sapienza e che la esercita amministrando la giustizia, si pone in una linea di profonda continuità con la tradizione precedente. Al tempo stesso la sua opera mette in luce che la sapienza è connessa con la fedeltà a jhwh nell'osservanza dell'insegnamento e dei comandi contenuti "nel libro dell'Alleanza". Questo criterio, in base al quale l'autore giudica l'operato storico dei re di Giuda e di Israele, testimonia un momento nuovo nel processo della crescente israelitizzazione della sapienza. Poiché il libro dell'alleanza vale per tutto il popolo, la sapienza non è soltanto prerogativa dei funzionari statali, ma dono divino per ogni israelita. 

La prospettiva secondo cui il Signore fa ascoltare la sua voce a Israele, per educarlo [19], mostra chiaramente che nell'ascolto della Parola si realizza quella "formazione" che ha costituito da sempre il compito specifico dell'attività sapienziale. Nell'accoglienza esistenziale della divina Parola, nell'attuazione delle "leggi e norme", che ne sono l'espressione storica, Israele vive la propria "sapienza e intelligenza", manifestandole "agli occhi dei popoli" (Dt 4,6). 

L'immagine di tutte le nazioni che vanno ad ascoltare la sapienza di Salomone (cfr 1 Re 5,9-14) attesta quindi la nuova coscienza che la scuola deuteronomistica ha sviluppato: Israele realizza la propria missione, quale strumento della divina benedizione (cfr Gn 12,1-4a), testimoniando in mezzo ai popoli della terra la propria sapienza.

La connessione tra la Parola del Signore e la sapienza se da un lato esplicita un processo di israelitizzazione della sapienza, da sempre presente e operante nel vivo della tradizione, dall'altro segna una tappa la cui importanza difficilmente potrà essere esagerata. Ora la via è aperta a comprendere l'attività sapienziale in rapporto sempre più stretto con la rivelazione e, inversamente, a cogliere nella rivelazione la voce della sapienza, la sua proposta. 

La prima possibilità si incontra in Pro 1-9 (nella cui luce si procedette alla redazione definitiva dello stesso libro dei Proverbi); la seconda via è stata percorsa dalla redazione finale del Deuteronomio nella quale il "Iibro dell'alleanza" è presentato come la "Torah di Mosè": il libro della vita che nasce dalla sapienza e che insieme è generatore di sapienza per coloro che lo ascoltano e lo praticano [20].

Il fatto che proprio il complesso dei libri che va da Genesi al Deuteronomio sia indicato, nella tradizione ebraica, con il nome "Torah" significa che la prospettiva della redazione conclusiva del Deuteronomio non rimase solo una concezione isolata, ma, in sintonia con il processo di teologizzazione della sapienza, contribuì in modo determinante a configurare la redazione definitiva del Pentateuco [21]. Esso è l'"insegnamento" che Mosè ha dato e nel quale di generazione in generazione Israele si lascia "ammaestrare" da Dio per essere il popolo della sua proprietà.

L'attività sapienziale, sorta come ricerca di "una comprensione profonda e penetrante del reale" [22] ebbe in Israele uno sviluppo sempre più illuminato dalla fede in Jhwh, Dio dell'esodo e dell'alleanza, e, perciò, Dio dei popoli e della loro storia, Dio del mondo e dei suo divenire, Dio creatore. 

Con la redazione finale del Deuteronomio, che presenta interessanti punti di contatto con Pro 1-9, e quindi con la formazione dei Pentateuco, la ricerca della sapienza appare essenzialmente connessa con la ricerca del Signore, con l'ascolto della sua voce, con l'accoglienza della sua rivelazione. 1 tempi sono maturi per la personificazione della sapienza.

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