Marco Morselli

Gabriele Rigano, Il caso Zolli
L'itinerario di un intellettuale in bilico tra fedi, culture e nazioni
Milano, Guerini Studio, 2006

 


A 60 anni di distanza dagli avvenimenti cruciali è un episodio che fa ancora discutere e su cui esistono aspetti non chiariti, una sorta di piccola ferita ancora aperta.

L’autore utilizza con competenza e sicurezza una quantità di fonti degli ambiti più diversi per delineare il quadro di una storia problematica e assai difficile: la vicenda richiede ormai il distacco dello storico, ma le fonti sono ancora influenzate dalla passione e dalla polemica dell’attualità.
 

Scrivere su Israel Zoller significa affrontare una pagina drammatica delle relazioni ebraico-cristiane. I bagliori della Shoah circondano l’evento. Quello che per alcuni è una conversione per altri è una apostasia, resa particolarmente grave in ragione delle responsabilità di un maestro nei confronti della sua Comunità. La Comunità ebraica romana, la più antica di tutto l’Occidente, dopo secoli di conversioni forzate e prediche coatte, da pochi decenni uscita dal ghetto, aveva vissuto le discriminazioni delle leggi antiebraiche a partire dal 1938 e le deportazioni a partire dal 1943. Nel 1945 stava appena prendendo coscienza della vastità delle devastazioni, stava piangendo i suoi morti e cercando di ricostruire la propria vita e la propria vita ebraica, quando riceve la notizia che colui che era stato fino a poco prima il suo Rabbino Capo la ha abbandonata e ha cambiato religione.

A partire dalla pubblicazione in italiano dell’infelice libretto di Judith Cabaud (al quale l’editore italiano ha pensato di cambiare il titolo, ottenendo un orribile Il rabbino che si arrese a Cristo e facendosi così testimone di un Cristo nemico degli ebrei, al quale essi non possono che arrendersi) negli ambienti cattolici è rinato l’interesse per questa vicenda, anche in connessione con il problema dei silenzi di Pio XII. Chi è Zolli? Per tale pubblicistica è il rabbino che si è convertito per riconoscenza verso quanto Pio XII durante la guerra aveva fatto a favore degli ebrei perseguitati.

Il libro di Gabriele Rigano vuole essere un primo tentativo di colmare una lacuna storiografica, affrontando l’argomento utilizzando fonti archivistiche, fonti a stampa e fonti orali, avendo presente il quadro generale e il contesto ebraico nel quale si colloca la vita di Zolli, tenendo presenti i forti sentimenti che ancora suscitano quelle tragiche vicende, senza dimenticare il rispetto dovuto alle vittime e ai testimoni della bufera che si abbatté sull’Europa in quegli anni, tenendo conto delle condizioni estreme in cui ci si trovò a prendere delle decisioni e del clima di incertezza e di abbandono in cui si dibatterono le Comunità ebraiche e i singoli ebrei.

Il nome di Zolli nella Comunità ebraica di Roma non viene pronunciato. La presentazione del libro di Rigano, avvenuta lo scorso dicembre nella Biblioteca di storia moderna e contemporanea alla presenza del Rabbino Capo Riccardo Di Segni e del Presidente della CER Leone Paserman, ha rotto un silenzio di 60 anni. La tensione presente in sala e nelle parole di molti degli intervenuti ha reso evidente come in effetti ci fosse bisogno di avviare una rielaborazione della vicenda e come la storiografia possa svolgere un ruolo di catarsi della memoria.

Israel Zoller nasce a Brody nel 1881, ultimo di cinque fratelli. Brody era la capitale ebraica della Galizia, a sua volta cuore della vita ebraica nell’Impero asburgico. Scholem ricorda la Klaus (luogo di preghiera e di studio) di Brody nell’ultimo capitolo de Le grandi correnti della mistica ebraica come «una serra paradisiaca nella quale l’albero della vita (il titolo della principale opera della Qabbalah luriana) fioriva e dava i suoi frutti». Nel paragrafo precedente, dopo aver parlato dell’avvento e del crollo del Sabbatianesimo (ossia del movimento messianico più importante dopo quello del I secolo) scrive: «l’elemento messianico delle idee di Luria era esploso, e non si poteva così facilmente ignorarlo».

Vi si fronteggiavano Hassidut e Haskalah, misticismo e razionalismo. Tra gli Ostjuden e la Wissenschaft des Judentums Zoller opta per la seconda e si iscrive all’Università di Vienna, negli anni del violento antisemitismo dei cristiano-sociali di Karl Lueger. Dopo il primo semestre decide di trasferirsi a Firenze, frequentando contemporaneamente l’Università e il Collegio Rabbinico. Galiziani erano anche Rav Samuel Margulies (nato nel 1858) e Rav Hirsch Chayes (nato nel 1876), due colonne del Collegio. Particolarmente importante è stato il suo rapporto con Chayes, durato fino al 1918, allorché venne nominato Gran Rabbino di Vienna.. Egli si occupava di critica biblica e scrisse diversi articoli sulle origini ebraiche del cristianesimo.

Nel 1910 Zoller si laurea in Filosofia e l’anno successivo ottiene il titolo rabbinico. Viene nominato Vice-Rabbino a Trieste e fa dunque ritorno nell’Impero asburgico. Il 3 novembre 1918, divenuto nel frattempo Rabbino Capo pro tempore, fa celebrare nel Tempio un Te Deum di ringraziamento all’ingresso in città delle truppe italiane. Nel 1920 viene nominato Rabbino Maggiore e due anni dopo ottiene la cittadinanza italiana. E’ a capo di una Comunità di 5300 persone, la terza in Italia.

Nel 1925 compie un viaggio di studio in Egitto e Palestina, dove ha lunghi colloqui con Rav Avraham Kook (1865-1935), Rabbino Capo di Gerusalemme e primo Gran Rabbino di Eres Israel, uno dei grandi cabbalisti del Novecento, che aveva già avuto modo di conoscere a Trieste.

In un libro del 1928 La prece che redime (preghiere di Kippur) scrive: «La catena che superò la forza dei millenni e delle persecuzioni e della dispersione non deve spezzarsi. Lasciare che si spezzi significa uno schianto in una corrente di vita antica e bella come nessun’altra al mondo. Significa immergere nel non essere ciò che da millenni fu e vuol essere e che continuerà ad esistere nonostante il nostro indifferentismo. Continuerà ad essere anche contro la nostra volontà per opera di altri nostri fratelli di noi migliori e che dovranno giustamente dirci e piangerci morti per l’ebraismo». Strane parole, che hanno assunto un significato diverso da quello originario, e suonano quasi profetiche. Nell’introduzione compare anche una pagina importante perché indica come Zoller intenda la teshuvah.

In una lettera indirizzata all’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane scrive: «”conversioni” di “salvataggi d’anime” non si verificano da noi. Ho ottenuto anzi che alcuni ebrei “sconfessionati” sono ritornati da noi in forma ufficiale. Saremo ora più vigili che mai». In una lettera parla dello «spettacolo indegno, di infedeltà, d’incomprensione, di avvilimento. I patriarchi, Mosè, i profeti, i dottori della Mishnà e del Talmud, i martiri e gli eroi, i maestri di tutti i tempi, da Rashi a Maimonide sino a Samuel David Luzzatto; i sacri cantori, da re Davide sino agli Assafidi, i poeti, da Giuda Levita a Chajim Nahman Bialik, per chi hanno sofferto? A che pro hanno insegnato? A che scopo hanno scritto i loro canti? Fremono le nostre anime allo spettacolo avvilente di questi disertori, che rinnegano la Torà, patria del loro spirito e retaggio dei loro padri». In un’altra lettera parla degli «abissi del tradimento e del rinnegamento» (pp. 66-68).

Oltre a salvare le anime, Zoller si occupa dell’accoglienza e dell’imbarco dei profughi dell’Europa centro-orientale che si dirigevano in Palestina o nelle Americhe. Negli anni Venti e Trenta transitarono per Trieste circa 157.000 ebrei. Migliaia erano i bambini e ragazzi che partivano senza neppure uno dei genitori.

Contemporaneamente svolge un’intensa attività scientifica: consegue la libera docenza, collabora a molte riviste non solo italiane, partecipa a convegni internazionali, pubblica nel 1935 Israele e nel 1938 Il Nazareno. E’ interessante l’avvicinamento che Rigano propone con Umberto Cassuto (1883-1951): «Tra Zolli e Cassuto doveva esserci consonanza di interessi e una certa vicinanza intellettuale. Forse si potrebbe parlare di vera e propria complicità tra “scienziati”» (p.111). Ma Cassuto lasciò il Rabbinato e scelse la carriera accademica, diventando professore all’Università di Firenze e poi, dal 1939, alla Hebrew University di Gerusalemme.

Durante Pesah 1933 in una predica al Tempio Maggiore Zoller condanna duramente la politica persecutoria nazista. Una lettera anonima, con una svastica al posto della firma, gli annuncia che è stato denunciato alla Direzione della propaganda hitleriana a Berlino.

I tempi si fanno sempre più difficili. Nel 1938 vengono varate le leggi antiebraiche. Gli iscritti alla Comunità, già scesi a 4.500, si riducono a 3.000. 750 nomi figurano nel registro delle abiure. Nel 1939 gli viene revocata la cittadinanza italiana, e Zolli diventa apolide. Gli viene interdetto l’insegnamento universitario. Il suo nome compare nella lista degli autori ebrei non graditi (quindi i suoi libri vengono ritirati dalle librerie). Viene revocato il provvedimento di italianizzazione del suo nome, che era stato emanato nel luglio del ‘33. Come apolide, è difficile possa continuare a fare il Rabbino (svolgendo funzioni di ufficiale di stato civile). Suo genero è stato licenziato e «si aggira come un’anima dannata per le vie delle capitali estere».

Nel frattempo molte cattedre rabbiniche si erano rese vacanti, tra cui quella di Roma. Nel dicembre del ’39 Zolli viene nominato Rabbino Capo della più numerosa Comunità ebraica italiana (12.300 iscritti). Diventa anche Direttore del Collegio Rabbinico Italiano.

Con l’aumentare delle pressioni esterne, crescono anche le tensioni interne, con la spaccatura tra “fascisti” e “sionisti”, le sole possibilità che sembravano presentarsi: sottomissione o autodifesa. A capo delle due più importanti istituzioni dell’ebraismo italiano, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane e la Comunità Ebraica di Roma, vennero a trovarsi due persone che fino a quel momento erano state lontane dalla vita comunitaria: appartenevano a quell’ élite assimilata che riscoprì la propria identità in seguito alle leggi razziste.

L’8 settembre 1943 Roma è in mano ai nazisti. Zolli propone la chiusura del Tempio, la distruzione degli schedari degli iscritti, la dispersione e il nascondimento. Egli sa da lettere di parenti e amici cosa sta avvenendo altrove, a Trieste ha ascoltato i racconti dei profughi. I due Presidenti pensano invece che tutto si sarebbe aggiustato e che avrebbero potuto continuare a comportarsi con i Tedeschi come con il Governo fascista. Zolli, temendo per la propria vita, decide di nascondersi. In effetti la sua abitazione fu la prima ad essere saccheggiata dalle SS che portarono via anche i suoi libri e le sue carte. Subirono la stessa sorte le preziose Biblioteche del CRI e della CER.

Quello che segue è noto: la richiesta dei 50 Kg. d’oro, la razzia del 16 ottobre. 1030 ebrei vengono presi e messi su treni che dalla Stazione Tiburtina arrivano ad Auschwitz due giorni dopo.

Il 4 giugno 1944 Roma viene liberata, il Tempio viene riaperto e una solenne cerimonia viene celebrata da Rav Davide Panzieri, che aveva officiato nei mesi dell’occupazione nel piccolo oratorio dell’Isola Tiberina (l’unico in funzione, i Tedeschi non si erano accorti della sua esistenza) e da Zolli. Poi Zolli viene dichiarato dimissionario «essendosi reso irreperibile in data anteriore all’invasione», ma nel frattempo l’Autorità militare alleata scioglie il Consiglio. Zolli, già duramente provato dalle difficoltà di quei mesi, è sconvolto. Ha dedicato agli ebrei e all’ebraismo tutta la sua vita, ha visto nel ’43 quello che altri non hanno visto, se le sue indicazioni fossero state seguite forse molte vite si sarebbero salvate, e questa è la riconoscenza?

Le tensioni di un piccolo mondo travolto dalla Shoah, e sottoposto a forti pressioni esterne, si fanno sempre più forti. Alla fine dell’anno un compromesso sembra raggiunto: Zolli si sarebbe dimesso da Rabbino Capo ma sarebbe stato nominato Direttore del Collegio Rabbinico. Il 26 gennaio 1945 viene nominato Direttore, il 6 febbraio però Zolli comunica di rifiutare la nomina. Il 13 febbraio, in una cerimonia privata nella sacrestia di S. Maria degli Angeli, alla quale assistono Bea, Dezza, Ruffini e il Parroco, Zolli riceve il battesimo. Il giorno dopo, e nei giorni successivi, la notizia è sui giornali di tre continenti. Qualcuno, non certo Zolli, ha provveduto a diffondere la notizia urbi et orbi.

Che cosa è avvenuto tra il 19 gennaio (giorno in cui l’accordo con la CER e il CRI diventa operativo) e il 6 febbraio? È in questo breve lasso di tempo che Rigano, ci sembra a ragione, ritiene sia stata presa l’ultima decisione. E soprattutto: perché Zolli si è convertito? Per intima convinzione, per opportunismo, per vendicarsi di una Comunità dalla quale riteneva di essere stato ingiustamente trattato? Ognuna di queste ipotesi ha i suoi sostenitori e, in qualche modo, in ognuna c’è una parte di verità.

All’esame delle possibili motivazioni religiose del battesimo Rigano dedica una trentina di pagine, in cui si chiede: «L’approccio esistenziale di Zolli al fenomeno religioso era compatibile con l’ortodossia e ancor più con l’ortoprassi ebraica prima e cattolica poi?». Il primo punto da evidenziare, egli prosegue, è il lato mistico. Il suo interesse per il profetismo, il messianismo, la Qabbalah e il hassidismo lo porta a un’adesione al cristianesimo caratterizzata dal forte tratto mistico.

Il secondo punto che Rigano evidenzia è che l’approccio di Zolli al fenomeno religioso era improntato ad un accentuato evoluzionismo. Il processo di sviluppo dal primitivo all’evoluto si compie attraverso la crescente spiritualizzazione delle forme religiose. Nella storia d’Israele la linea evolutiva sarebbe presentata da profetismo-messianismo-misticismo, mentre il ritualismo apparterrebbe agli stadi arcaici. Il passaggio dall’ebraismo al cristianesimo sarebbe dunque un seguire la linea evolutiva.

Se così fosse, dopo il battesimo Zolli avrebbe dovuto adoperarsi perché anche gli altri ebrei seguissero l’evoluzione. Ma così non è stato. Cosa ha fatto Zolli dal 1945 al 1956? Ha insegnato ai cristiani la Torah, il Talmud, il Midrash, la Qabbalah, e le lingue necessarie per leggerne i testi, e anche per leggere i testi del Nuovo Testamento: l’ebraico e l’aramaico. Ha insegnato la storia ebraica e il pensiero ebraico successivi al 70, considerato allora l’anno della vendetta divina per il terribile crimine del deicidio, l’anno della fine del popolo d’Israele, costretto da allora ad un perpetuo errare per dimostrare con le sue sofferenze la verità del cristianesimo. Il primo libro da lui pubblicato dopo il battesimo è Antisemitismo (1945), scritto durante i mesi dell’occupazione tedesca e mentre era in corso la Shoah. E’ un libro che precede di tre anni il libro, ahimè troppo poco conosciuto, di Jules Isaac, Jésus et Israël (1948), l’opera che dimostra il legame esistente tra antiebraismo e antisemitismo e la necessità di una revisione dell’insegnamento del disprezzo.

A Rigano è sfuggito un punto di fondamentale importanza, che è contenuto in una testimonianza di Sofia Cavalletti, riportata in un articolo di Alberto Latorre (2002).

Sofia Cavalletti ha conosciuto Zolli nell’autunno del 1945: è stata sua allieva alla «Sapienza» ed è poi divenuta sua collaboratrice, con incontri quasi quotidiani, fino al 1956. Le parole riportate da Latorre coincidono con quelle contenute in una e-mail che mi ha scritto il 29 dicembre 2006: «Zolli non accettava di parlare di “conversione” a proposito del suo ingresso nella Chiesa cattolica. Una sera che uscivamo insieme dal Biblico mi disse: “Conversione significa lasciare la strada cattiva per la buona, e questo non è certo il caso del passaggio dall’ebraismo al cristianesimo”».

Si tratta solo di una irrilevante precisazione terminologica? No, è un punto di fondamentale importanza. «Il rabbino che si è convertito» riteneva che la conversione dall’ebraismo al cristianesimo fosse impossibile!

Questo comporta una modifica della linea evolutiva esposta da Rigano. Il nucleo più profondo del pensiero di Zoller è messianico. Egli è entrato nella Chiesa, ma la sua lettura preferita è lo Zohar, ed egli attende l’alba. Nel frattempo opera per la teshuvah dei cristiani, non perché voglia farne degli ebrei ma perché la teologia della sostituzione e l’insegnamento del disprezzo sono il male che deve essere trasformato, per il bene d’Israele, della Cristianità e dell’Umanità.

È vero che gli Archivi Zolli e Bea sono chiusi, e lo saranno ancora per molti anni, ma Zolli dopo il battesimo ha scritto molto, e quello che ha scritto deve essere letto con strumenti ermeneutici molto raffinati. C’erano delle cose che egli non poteva non dire, e altre che non poteva dire. Egli è un maestro nell’arte di dire e non dire, o nel nascondere una verità in un contesto in cui passa inosservata. Abbiamo raccolto un certo numero di esempi, qui ne riportiamo solo uno.

In Prima dell’alba Zolli racconta un episodio della sua infanzia apparentemente insignificante. È in classe e un suo compagno gli chiede un po’ del suo inchiostro. Mentre è intento a versarlo con cura nella boccetta, il compagno gli dà una spinta, e l’inchiostro finisce sui suoi pantaloni. Zolli non dice una parola: «Per me lui era ormai uno zero. (…) Lui era per me un non essere, neppure un morto, ma io ero ferito nell’anima». Riportando quel lontano episodio Zoller si riconosce colpevole di non essere riuscito a convertire quel suo sentimento di indignazione: «Mi allontano, esco; esco magari senza odio e senza sbattere la porta, ma esco. Ma in questo modo coloro che hanno commesso un’ ingiustizia restano nella loro ingiustizia».

A questo punto Zolli fa un salto di sessanta anni, e prosegue: «Come ho agito da bambino, ho agito alcuni anni or sono, sia pure questa volta per ben altre ragioni, ben più profonde e di carattere, questa volta, trascendentale». In queste pagine Zoller scrive, noi crediamo, una dichiarazione di teshuvah nei confronti della Comunità ebraica di Roma. Aveva subìto un’ingiustizia, ma non era stato capace di trasformarla in giustizia.

Con il che siamo ancora però ben lungi dall’ aver svelato quello che è stato definito «l’enigma Zolli».

Marco Morselli
Università di Modena e Reggio Emilia


v. anche:
Il Battesimo del Rabbino
Il Rabbino che si arrese a Cristo
Zolli, il rabbino capo "convertito", ma lui parla di "compimento"

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