La Croce e la Sinagoga. Ebrei e Cristiani a confronto
Intervista a Giovan Battista Brunori

Il giornalista Giovan Battista Brunori, redattore esteri e vaticanista del Tg2, ha pubblicato un libro “La Croce e la Sinagoga – Ebrei e cristiani a confronto” (Franco Angeli Editore, 208 pagine, 20 Euro) nel quale indaga la storia delle relazioni, spesso tormentate, tra cristiani ed ebrei.

In questo volume esponenti di primo piano del mondo ebraico e di quello cattolico - da Xavier Echevarria a Elio Toaff, da Amos Luzzatto a Chiara Lubich -, accettano di raccontarsi rispondendo alle domande dell’autore e affrontando i temi più scottanti di ieri e di oggi: dal ruolo di Pio XII durante la persecuzione degli ebrei fino alla figura di Giovanni Paolo II.

Per saperne di più, ZENIT ha voluto intervistare Brunori.

Secondo le testimonianze da lei raccolte, gli ebrei e i cristiani nel corso della storia si sono più amati che odiati. Soprattutto in quei periodi come durante la seconda guerra mondiale in cui la persecuzione rischiava di cancellare gli ebrei dalla faccia della terra. Cosa ci dice al riguardo?

Brunori: Certo, nella storia non sono mancati esempi luminosi di fedeltà all’insegnamento di Gesù anche nei confronti dei suoi "fratelli nella carne" ma purtroppo in generale il rapporto tra ebrei e cristiani è stato più spesso segnato dall’odio, in palese contraddizione con il comandamento cristiano dell’amore e con la Verità delle Sacre Scritture.

Gli uomini, anche i santi, sono peccatori, e purtroppo anche negli scritti di persone di grande levatura spirituale noi troviamo espressioni di odio feroce contro gli ebrei. Non si salvano, a questo riguardo, neanche alcuni Padri della Chiesa. Ma anche prima, fu lo stesso San Paolo a cercare di correre ai ripari quando si accorse che andava diffondendosi già nelle prime comunità cristiane una forte antipatia verso i "fratelli maggiori" e per questo nella lettera ai Romani riaffermava che Dio non ha ripudiato il suo popolo, che non ha mai revocato la sua Alleanza con Israele, diceva che i gentili sono come l’olivo selvatico innestato nell’olivo d’Israele e ammoniva i fedeli: "non montare in superbia ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali tanto meno risparmierà te!".

Durante la persecuzione degli ebrei certamente molte coscienze erano addormentate, molti cristiani erano come paralizzati, certamente pesava nelle coscienze un insegnamento del disprezzo impartito per secoli in molte aule di catechismo. Solo il Concilio Vaticano II ha consentito ai cattolici di cominciare a voltare pagina, rivedendo l’atteggiamento verso gli ebrei alla luce dell’autentico spirito evangelico.

D’altra parte ci furono tanti che invece rischiarono la vita per aiutare i perseguitati. Una denuncia pubblica ed esplicita delle persecuzioni da parte del pontefice avrebbe mobilitato i cristiani contro il nazismo e stretto un "cordone sanitario" a difesa degli ebrei perseguitati e soprattutto avrebbe salvato piu’ vite umane? Difficile dirlo. Bisogna lasciare agli storici il tempo di studiare le carte, i documenti: credo sia prematuro dare giudizi affrettati, e quindi emettere verdetti di condanna ma anche di assoluzione.

È certo però che, prima e più di ogni discussione storica, vale il "peso" della vita di circa 4.000 ebrei salvati nei conventi solo a Roma. Anche se dovessero essere stati commessi abusi o pressioni per favorire la loro conversione questo non deve oscurare il bene che è stato fatto. Certo, probabilmente si poteva fare di più, chi è senza peccato scagli la prima pietra, ma nessun’altra istituzione ha fatto quello che ha fatto il Vaticano in quel periodo.

Anche la sua lettura del rapporto tra papa Pio XII e la Shoah esula dai luoghi comuni. Mi sembra di capire che lei abbia trovato anche testimonianze dirette che provano l’intervento della Santa Sede in favore degli ebrei perseguitati.

Brunori: Pio XII era in una situazione difficilissima: doveva guidare il Vaticano isolato come una barca in un mare in tempesta, aggrappato ad una fragile neutralità che consentisse di mantenersi al di sopra delle parti, e di fare segretamente opere a favore dei perseguitati. Le sue prese di posizione erano considerate troppo deboli dagli uni e troppo dure dagli altri. Come ripeto, bisogna lasciare agli storici il compito di valutare con attenzione le carte.

Ma mi sembra importante sottolineare quanto ha dichiarato alla presentazione del mio libro "La Croce e la Sinagoga" padre Innocenzo Gargano, priore del monastero di S. Gregorio al Celio, secondo il quale i religiosi e le religiose camaldolesi di allora non erano assolutamente in grado di capire quanto stesse accadendo [per assoluta mancanza di informazioni ndR]. E se non fossero giunti al portone di S. Gregorio emissari della Segreteria di Stato Vaticana, con la mediazione di alcuni padri gesuiti de “La Civiltà Cattolica”, a chiedere di aprire le porte ai perseguitati, i monaci e le monache probabilmente non lo avrebbero fatto. E, aggiungo io, lo stesso è probabilmente avvenuto in molti altri casi.

Tra le storie originali da lei scoperte, molto interessante è la vicenda che vede il cardinale Giovanni Mercati sviluppare un dialogo ed una collaborazione con professori ebrei nella Biblioteca Apostolica. Un luogo che diventerà un rifugio per molti. Può illustrarci quelle vicende?

Brunori: Merita davvero un posto a parte l’opera del cardinale Giovanni Mercati: questo emiliano, abilissimo paleografo, erudito e ricercatore infaticabile, Bibliotecario di Santa Romana Chiesa fino al 1957, anno della sua morte. Un "giusto" oggi praticamente sconosciuto ai più, e che andrebbe riscoperto.

Furono almeno una quindicina gli studiosi ebrei sostenuti dalla Santa Sede, e che ottennero una collaborazione con la Biblioteca Vaticana sia prima che dopo le leggi razziali del ‘38. Alcuni si rifugiarono all’estero anche con il passaporto vaticano. I carteggi di Mercati sono pieni di riferimenti a "raccomandazioni" ad istituzioni universitarie in varie parti del mondo in favore di studiosi perseguitati per motivi razziali. E di tutti questi casi Mercati tenne costantemente informato sia Pio XI che Pio XII.

In un articolo di Paolo Vian, nella Miscellanea della Biblioteca Apostolica Vaticana, l’unico finora e il più completo al riguardo, è pubblicato anche il testo di un accorato appello del porporato (del 15 dicembre 1938) alle Università americane perché accogliessero e avviassero contratti di collaborazione con gli studiosi ebrei perseguitati.

Quali sono le considerazioni finali che scaturiscono da questo libro?

Brunori: Che il dialogo, come tutte le cose che valgono, può causare qualche sofferenza, ma fa bene innanzitutto a noi e alla nostra fede. Se condotto correttamente ci induce ad approfondire la nostra identità, ad arricchirci con ciò che gli ebrei hanno intuito nel corso dei secoli e anche oggi intuiscono studiando le Scritture. A capire che il rispetto per la vita, per la dignità dell’uomo e della donna e il rispetto della loro libertà, la democrazia, sono frutto della civiltà occidentale costruita sulla base di quelle radici giudaico-cristiane di cui tanto parlava papa Wojtyla.

Una sfida culturale ancora aperta e tutta da compiere: non è che, sepolta la Costituzione Europea, possiamo dimenticarci delle "radici cristiane". La vocazione permanente d’Israele insomma ci costringe a non "sederci" sui luoghi comuni, a prendere la fede sul serio. E a sperimentare che i disegni di Dio non sono così facili da capire.
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[Fonte: Zenit.org - 27 giugno 2005]

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