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   Quando, una volta oltrepassata la soglia, si penetra nelle cattedrali o anche nelle chiese più modeste delle grandi epoche, si resta come affascinati e invasi da questa «sobria ebbrezza» di cui ci parlano i mistici cistercensi. Il tempio agisce come un incantesimo, perché vi si sente pulsare un'anima armoniosa il cui ritmo, venendoci incontro, prolunga, oltrepassa e sublima il nostro proprio ritmo di viventi e lo stesso ritmo del mondo ove si immerge. Questa «magia» proviene dall'esistenza di un centro da cui si irradiano delle linee che generano, seguendo la divina proporzione, delle forme, delle superfici, dei volumi in espansione fino a un limite sapientemente calcolato che li arresta, li riflette e li rimanda verso il punto da cui sprigionano; e questa doppia corrente costituisce in qualche modo la «respirazione» sottile di tale organismo di pietra che si dilata verso l' esterno per riempire lo spazio e poi si raccoglie nella sua origine, nel suo cuore, che è interiorità pura.

   Questo centro da cui tutto si sprigiona e verso cui tutto converge è l'Altare. L'altare è l'oggetto più sacro del tempio, la ragione della sua esistenza e la sua stessa essenza, perché in caso di necessità si può celebrare la divina liturgia fuori dalla chiesa, ma è assolutamente impossibile fare questo senza un altare di pietra.

   lntroibo ad altare Dei..., «Verrò all'altare di Dio» 1: il versetto del salmista che apre la messa ci pone, sin dall'inizio della santa funzione, di fronte a questo prestigioso oggetto del culto. L'altare è la tavola, la pietra del sacrificio, quel sacrificio che costituisce - per l'umanità caduta - il solo mezzo di prendere contatto con Dio. L'altare è il luogo di questo contatto: attraverso l'altare Dio viene verso di noi e noi andiamo a Lui. Esso è l'oggetto più santo del tempio, perché lo si riverisce, lo si bacia e lo si incensa. È un centro di raggruppamento, il centro dell'assemblea cristiana; e a questo raggruppamento esteriore corrisponde un raggruppamento interiore delle anime e dell'anima, il cui strumento è il simbolo stesso della pietra 2, uno dei più profondi - come l'albero, l'acqua e il fuoco - che raggiunge e tocca nell'uomo qualcosa di primordiale.

* * *

   L'altare cristiano è il successore e la sintesi degli altari ebrei e la sua sublimità deriva dalla sua conformazione al suo archetipo celeste, l' Altare della Gerusalemme celeste in cui giace «fin dalla fondazione del mondo [...] l'Agnello immolato» 3.

  Ad esempio, vi è un rapporto sorprendente fra l'altare di Mosè e il nostro altare. Mosè costruisce un altare ai piedi del Sinai, offre il sacrificio e fa due metà con il sangue: una è data al Signore (più esattamente: è versata sull'altare che Lo rappresenta) e l'altra la asperge sul popolo; così è sigillato il patto fra il Signore e il Suo popolo, la Prima Alleanza (Es 24, 4-8). Nello stesso modo, sull'altare cristiano il sangue della Nuova Alleanza è versato, offerto al Signore e poi distribuito al popolo, sigillando così la riconciliazione del peccatore con Dio.

   Nel Tempio di Gerusalemme vi erano diversi altari. Nello spazio fra il sagrato e il «Santo» si erigeva l'altare propriamente detto, chiamato altare degli olocausti, su cui ogni giorno si offriva il sacrificio dell'agnello. Nel «Santo», con il candelabro a sette braccia, erano installati l'altare dei profumi e la tavola dei «pani della faccia» , cioè dell'offerta ( questi pani, in numero di dodici, erano rinnovati ogni shabbat); infine, nel «Santo dei santi» non c'erano altari nel vero senso della parola, ma una pietra particolarmente sacra - la pietra shethiyah - sulla quale era appoggiata l'arca e di cui riparleremo lungamente 4.

   Nel tempio cristiano, che sostituisce quello di Gerusalemme, l'altare maggiore è la sintesi di questi differenti altari. Esso è l'altare degli Olocausti dove è sacrificato l'«Agnello di Dio» e nello stesso tempo la tavola dei pani dell'offerta, cioè del pane eucaristico; esso è l'altare dei profumi in cui si brucia l'incenso, come emerge chiaramente dal rituale romano. Infatti, quando un vescovo consacra l'altare, egli accende l'incenso sui cinque solchi incisi al centro e agli angoli della pietra, mentre si canta l'antifona: «Dalla mano dell'Angelo, il fumo dei profumi sale verso il Signore » .

   Infine, dal momento che sostiene il tabernacolo, l'altare maggiore ricopre il ruolo della pietra shethiyah che sosteneva l' Arca. Il termine «tabernacolo», che significa «la tenda», designava presso gli Ebrei l'insieme composto dal «Santo» e dal «Santo dei santi». L'attuale tabernacolo può essere considerato, da questo punto di vista, come un adattamento del tempio. Ma soprattutto esso ricorda, sia per le sue dimensioni ristrette che per il suo ruolo, l'Arca (arca = cassa). Questa conteneva le Tavole della Legge, la Verga di Aronne e una porzione di manna; là, fra i Cherubini, si manifestava la Shekinah, la «Gloria» o la «Presenza» divina. E nel tabernacolo cristiano è posta l'autentica Manna, il «Pane vivo disceso dal cielo» 5. In certe chiese si vedono delle «glorie»: un triangolo raggiante che al centro porta il Nome divino ; si tratta di una materializzazione simbolica della Shekinah. Infine, le piccole tende che si trovano davanti al tabernacolo ricordano nello stesso tempo la tenda del deserto e il velo che nascondeva il «Santo dei santi».

Se abbiamo insistito su questo accostamento fra il santuario cristiano e quello degli Ebrei, è anzitutto per rispondere una volta di più a coloro che negano ogni parallelo di tale genere e pretendono di dimostrare l'originalità assoluta del tempio cristiano. D'altra parte non ci sembra inutile, in un'epoca che ha sin troppo dimenticato queste cose in nome della familiarità, oppure del lasciar andare, ricordare il carattere sacro e terribile del santuario e dell'altare in cui realmente, «dietro il velo», troneggia la Divinità.

Nell'oratorio di Germigny-des-Pres (IX secolo) si è incastonato nella volta del santuario un mosaico bizantino raffigurante l'Arca dell'alleanza, gli angeli e la mano di Dio. 

Al disotto corre un'iscrizione latina così concepita: «Guarda il Santo Oracolo e i Cherubini, contempla lo splendore dell'Arca di Dio, e a questa vista sforzati di raggiungere con le tue preghiere il Maestro del tuono».

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l grande prefazio del Pontificale romano cantato in occasione della consacrazione dell'altare, ricollega ritualmente l'altare cristiano a tutti gli altari ebraici: all'altare di Mosè, a quello di Giacobbe, a quello di Abramo; meglio ancora, lo ricollega a tutti gli altari dell'umanità ab origine mundi, dall'altare di Melchisedek a quello di Abele. Si può così comprendere di quale venerabile tradizione sia erede l'altare cristiano per mezzo di una trasmissione ininterrotta: è tutta la storia religiosa del mondo che, per così dire, si concretizza.

   Ma c'è di più. L'altare terrestre deriva la sua sublimità e il suo carattere sacro dalla sua conformità con il proprio archetipo, l'altare celeste. Perché l'altare dei nostri templi non è altro che il simbolo terrestre di questo archetipo celeste, così come la liturgia terrestre «imita» la liturgia celeste descritta nell' Apocalisse. Il Sursum corda è un invito a contemplare l'archetipo eterno della liturgia visibile. Come dice Teodoro di Mopsuestia a proposito del sacrificio eucaristico: «poiché sono i segni delle realtà dei cieli che si compiono in figure, è necessario che questo sacrificio ne sia anche la manifestazione; e il pontefice realizza una sorta di immagine della liturgia che si svolge in cielo». L'officiante riproduce dunque il servizio celebrato dal Cristo Pontefice che penetra - rivestito del Suo proprio Sangue - nel Tabernacolo che non è stato fatto da mano d'uomo. Nel canone romano della messa il sacerdote pronuncia queste parole: «Noi Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa' portare queste offerte dalla mano del Tuo santo Angelo, lassù, sul Tuo altare sublime, alla presenza della Tua divina Maestà». E nell'introito della messa siriaca: «Santissima Trinità, ricevi dalle mie mani peccatrici questo sacrificio che io offro sull'altare celeste del Verbo».

   Ma sino ad ora non abbiamo fatto altro, in un certo senso, che descrivere l'altare dall'esterno. Per comprenderne tutto il significato è necessario spingersi oltre e cercare il suo simbolismo dall'interno.

   L'evento capitale da cui è necessario incominciare è l'unzione fatta da Giacobbe della pietra di Betel ( Gen 28, 11-19). Giacobbe, in marcia verso Carran in Mesopotamia, fa tappa in un luogo e si corica a terra per dormire; una pietra gli serve da guanciale. Durante il sonno egli fa un sogno in cui vede il cielo aperto e una scala poggiata sulla terra, la cui cima raggiunge il cielo e sulla quale gli angeli di Dio salgono e scendono; in alto sta l'Eterno. Al suo risveglio Giacobbe grida: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio [bet'el = Betel] questa è la porta del cielo» 6. E versò dell'olio sulla pietra, facendone così un altare per commemorare la propria visione.

   Nel rituale di consacrazione, il pontefice ripete il gesto del Patriarca versando l'olio santo sulla pietra, mentre si canta l'antifona: «Giacobbe fece della pietra un altare versandovi olio»; poi si dice la preghiera che segue: «Discenda il tuo Santo Spirito, Signore, su questo altare, per santificare le nostre offerte». Dunque la pietra dell'altare è assimilata ritualmente alla pietra di Giacobbe.

   L'importanza data alla pietra di Giacobbe nel cristianesimo, come naturalmente nel giudaismo, non è estranea nemmeno alla tradizione islamica. Quest'ultima afferma che tale pietra fu trasportata nel tempio di Gerusalemme e che la si vede ancora oggi nella moschea di Omar eretta al posto del tempio. La pietra è venerata con il nome di el-sakhra (la roccia) ed è provvista di un foro circolare che si dice dia accesso a una cisterna che i musulmani chiamano bir-el-arwah (il pozzo delle anime), perché secondo loro due volte alla settimana le anime dei credenti si riuniscono per pregarvi Dio. Jamal-ed-Din narra, in un racconto di viaggio, di aver visto dei sacerdoti cristiani portare su questa pietra delle bottiglie di vino. Non si sa bene a cosa alluda questo passo: si tratta del vino destinato al Santo Sacrificio? Dei preti avevano accesso a questo luogo per celebrarvi la messa? ...Comunque sia, il fatto sembra dimostrare che i cristiani veneravano questa roccia come sacra. Si tratterebbe della roccia di Orna ove l'Angelo del Signore apparve a David e che il santo re scelse per installarvi l'altare davanti alla tenda dell'Alleanza. Salomone vi eresse l'altare degli olocausti; in effetti, si pensa che quest'ultimo fosse situato appena al disopra della parte superiore della roccia 7.

  Se la pietra di Giacobbe è circondata da una tale venerazione, «ciò è dovuto al grande mistero che essa cela, e questo mistero consiste nel fatto di essere situata al «centro del mondo». Abbiamo visto che la nozione di «centro del mondo» è alla base del simbolismo architettonico e che domina anche il simbolismo della croce. Tale «centro del mondo» non è un centro geografico nel senso della scienza moderna, ma un centro simbolico (il che non vuole dire immaginario, ben al contrario) basato sul simbolismo geometrico. Essendo l'universo rappresentato da una sfera o da un cerchio di cui il centro è il punto più prezioso, poiché genera tutta la figura, in senso spirituale si situa simbolicamente nel «centro del mondo» e sull' «asse del mondo» ogni oggetto oppure ogni luogo sacro che permetta di entrare in contatto con il Centro spirituale, cioè con Dio stesso che è il centro, l'origine e la fine di tutta la sfera della creazione.

   L'altare di Giacobbe è situato al «centro del mondo», come ci lascia intendere il testo della Genesi quando parla della «scala degli angeli». Questa scala rappresenta l' «asse del mondo» la cui base è appoggiata sulla terra e il cui vertice costituisce la «porta del cielo»; essa è la via naturale degli angeli in quanto «messaggeri» del Cielo sulla terra ed esecutori della Volontà celeste. L'altare materializza il punto di intersezione dell'asse con la superficie terrestre.

   Così, attraverso il rito di consacrazione l'altare cristiano - come quello di Giacobbe - diventa il «centro del mondo» e si viene a situare sull'asse terra-cielo, ciò che lo rende atto a diventare il luogo di una teofania, di una manifestazione divina, il luogo in cui il mondo celeste entra in contatto con il mondo terrestre. È il luogo che il Figlio di Dio ha scelto al fine di offrirsi per noi, come è scritto nei Salmi: «ha operato la salvezza nella nostra terra» 8. Per mezzo di questo sacrificio egli ristabilisce la comunicazione assiale con Dio, riapre la «porta del cielo» e fa del tempio realmente una bet'el, una «casa di Dio»,

   Se la roccia di Orna con il grande altare raffigurava il «centro del mondo», vi era nel tempio di Gerusalemme un'altra pietra che lo rappresentava in una maniera ancora più netta, ed è la pietra shethiyah situata nel Santo dei santi su cui era appoggiata l'Arca. Questa pietra esisteva ancora ai tempi di Erode, ma l' Arca era scomparsa. Il Gran sacerdote poneva su di essa l'incensiere a seconda della cerimonia. Per alcuni questa pietra non sarebbe altro che la pietra di Giacobbe. Ciò non è in contraddizione con l'altra tradizione che assimila la pietra di Giacobbe alla roccia di Orna, se non per coloro i quali affrontano la questione solamente da un punto di vista «storico» ed «esteriore». In realtà, quello che andremo a dire dimostrerà che le due tradizioni esprimono una medesima realtà spirituale.

   La tradizione ebraica dice che, al momento della Creazione, Dio gettò dal Suo Trono una pietra preziosa nell'abisso; un'estremità si conficcò nell'abisso e l'altra emerse dal caos. Questa estremità formò un punto che cominciò ad estendersi, creando così la distesa al disopra di cui fu stabilito il mondo. Ecco perché questa pietra si chiama shethiyah, che vuoI dire «pietra fondamentale». Il punto costituito dalla pietra è il centro del grande cerchio cosmico al quale facevamo precedentemente riferimento; è per questo che il Santo dei santi di Gerusalemme, e perciò tutta la città santa, era situata al «centro del mondo».

   Non sarà inutile, per il seguito della nostra esposizione, precisare in questo momento il significato esatto che conviene attribuire alle denominazioni abituali della pietra di fondazione e della pietra angolare di cui abbiamo già parlato (cap. VII), perché le idee corrispondenti a queste espressioni non sono sempre così chiare. Le pietre di fondazione sono le pietre cubiche poste ai quattro angoli dell'edificio; si chiama generalmente pietra di fondazione o «prima pietra» quella che viene situata sull'angolo Nord-Est. La pietra fondamentale, o pietra shethiyah, è quella che si trova al centro della base dell'edificio. Infine, la pietra angolare - o «pietra d'apice», o «vertice dell'angolo» - è propriamente quella che, all'estremità opposta della pietra shethiyah sullo stesso asse verticale, costituisce la chiave di volta. Ma alcune confusioni che derivano da molto lontano hanno sminuito queste diverse denominazioni. Così si confondono la pietra di fondazione e la pietra fondamentale - o centrale -, e molto spesso si dà il nome di pietra angolare alla prima pietra, o pietra di fondazione dell'angolo Nord-Est, e persino alla pietra shethiyah. Queste confusioni possono essere spiegate, e anche giustificate, per via del fatto che tutte le pietre in questione si ricollegano in realtà alla pietra angolare che ne è come l' essenza, e che in ogni caso è il «principio» dell'edificio, principio «logico» e non «cronologico» evidentemente, perché da un punto di vista cronologico, al contrario, la pietra del vertice è l'«ultima pietra». La pietra shethiyah è come la proiezione orizzontale della pietra angolare sul piano della base e anche le pietre dei quattro angoli la riflettono, benché in una maniera meno diretta, e d'altra parte queste quattro pietre possono con ogni evidenza essere dette angolari perché costituiscono precisamente gli angoli del quadrato di base e a questo titolo svolgono lo stesso ruolo della pietra di vertice, ruolo che consiste nel riunire e saldare due muri o due portanti d'arco. Solamente queste pietre, come la pietra shethiyah, sono cubiche, mentre la pietra angolare o di apice ha una forma speciale e unica, tale che non può trovare posto nel corso della costruzione, al punto che «i costruttori la rigettano»; ne comprendono la destinazione solo i Costruttori che sono passati «dalla squadra al compasso», cioè dal quadrato al cerchio, ovvero ancora dalla terra al cielo, gli «spirituali».

La posizione della pietra shethiyah corrisponde a quella dell'altare. Nelle chiese circolari, come Santo Stefano Rotondo a Roma o Neuvy-Saint-Sepulcre in Francia, ciò è rigorosamente esatto. 
(Il Tabernacolo primitivo visibile nell'immagine a lato, scolpito in legno di cipresso si trovava al centro della Chiesa dal 1616 fino all'epoca recente)

S. Stefano Rotondo in Roma
(antica stampa)

Roma. Santo Stefano Rotondo. L'Altare, oggi, nell'immutata collocazione centrale

   Ma in definitiva, lo stesso vale per le chiese a pianta basilicale o cruciforme. Il posto dell'altare è all'incrocio del transetto o al centro del semicerchio del santuario. Nel primo caso l'altare occupa il centro del grande cerchio direttore dell'edificio; nel secondo, il centro di un cerchio direttore secondario che è un «riflesso» del primo. Tale centro, determinato dall'altare, è il vero centro dell'edificio e l'altare è proprio al posto della pietra shethiyah, punto centrale, omphalos (ombelico) del mondo.

   Lo schema di base dell'edificio costituito dalle quattro pietre d'angolo e dalla pietra centrale, è richiamato sulla pietra d'altare dalle cinque croci che vi vengono incise, una in ogni angolo e una al centro. Dice Durando di Mende: «Le quattro croci significano che il Cristo ha riscattato le quattro parti del mondo [...] La croce che si trova al centro dell'altare significa che il Salvatore ha compiuto la nostra redenzione al centro del mondo, cioè a Gerusalemme».

   Il simbolismo di questa pietra si completa attraverso quello della volta, della cupola, che «ricopre» in alto il santuario; la volta - rotonda - è simbolo del cielo, mentre la pietra d'altare - quadrata - è simbolo - della terra. Alla pietra shethiyah (altare) in basso corrisponde nella volta la pietra angolare, o chiave di volta, «vertice dell'angolo». Le due pietre sono situate, come abbiamo detto, su una medesima linea verticale che è la «colonna assiale»; questa colonna è «virtuale», nel senso che non è materializzata (salvo nel caso delle chiavi di volta a peduccio che costituiscono un abbozzo di materializzazione), ciò che non le impedisce di giocare un ruolo primordiale, poiché è attorno di essa che si ordina tutto l'edificio. Essa rappresenta l'asse del mondo.

   Infine il ciborio, o baldacchino, ripete e precisa tutto questo simbolismo. Il ciborio è una parte costituita da una cupola sorretta da quattro colonne e deve, di principio, ricoprire l'altare maggiore (molte chiese sono ancora fedeli a questa regola del baldacchino). Lo schema del ciborio è un cubo (le quattro colonne) sormontato da una semisfera, cioè lo stesso schema del santuario, di tutti i templi e dell'universo (il cielo al disopra della terra). Non è possibile suggerire meglio di così che l' altare è il centro del mondo.

   Questo simbolismo architettonico dell'altare e del santuario serve da rivestimento e da espressione a una dottrina teologica. Abbiamo visto che san Massimo il Confessore sviluppa l'idea che il tempio è l'immagine dell'universo, dell'uomo e di Dio; il «santo dei santi» ne è la parte più nobile e il tutto è riassunto nel mistero dell'altare. Esso è veramente il centro e il «cuore» dell'edificio. Ora, questo mistero dell'altare consiste nel fatto che l'altare è il Cristo.

   Su questo punto vi è l'accordo di tutti i Padri. Scrive sant'Ignazio di Antiochia: «Accorrete tutti a riunirvi nello stesso tempio di Dio, ai piedi dello stesso altare, cioè in Gesù Cristo». San Cirillo di Alessandria insegna che l'altare di pietra di cui ci parla l'Esodo (Es 20,24) è Cristo. Per sant'Ambrogio di Milano l'altare è «l'immagine del Corpo di Cristo». Per Esichio di Gerusalemme esso è «il Colpo del Figlio Unigenito, perché questo Colpo è davvero chiamato un altare» 9.

   L'identificazione di Cristo all'altare sembra davvero fondarsi su un passaggio della Scrittura che, parlando di Gesù, dice: «Noi abbiamo un altare» (Eb 23, 10) 10; il versetto deve essere associato alle celebri parole della prima Epistola ai Corinzi (1 Cor 10, 1-4): «Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (petra erat Christus). L'affermazione di san Paolo si situa nella più autentica tradizione ebraica. li Signore era da tempi lontani assimilato alla pietra e alla roccia, ed è da essa che gli Israeliti dicono di essere stati tratti: «La Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato; hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!» (D t 32, 18). «Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti» (15 51, 1). Tale simbolismo della pietra si ricollega ugualmente al Messia. Vediamo il testo di Isaia: «Ecco io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non vacillerà» (15 28, 16); le stesse parole sono applicate da san Pietro al Messia (1 Pt 2, 6), e così anche da san Paolo (Rm 9, 33), conformemente all'interpretazione dei rabbini, ad esempio quella di Rabbi Salomon Yarhi. La «roccia spirituale» del deserto è la stessa pietra, quindi il Messia, come d'altro canto viene provato dalla testimonianza di Filone d' Alessandria: «Mosè designa con questa pietra la Saggezza di Dio, che nutre, ha cura e alleva teneramente coloro i quali aspirano alla vita incorruttibile. Questa pietra, divenuta quasi la madre di tutti gli uomini del mondo, offre ai suoi bambini un nutrimento che trae dalla propria sostanza». Altrove Filone precisa che «questa pietra è la manna, cioè il Verbo, il Logos, più antico di tutti gli esseri».

   Si tratta di una dottrina che è messa in atto nella liturgia siriaca; prima della consacrazione il sacerdote agita il grande velo al disopra delle offerte del pano e del vino, dicendo: « Voi siete la pietra dura che si è aperta per lasciare sgorgare dodici ruscelli d'acqua e che offre da bere alle dodici tribù di Israele». Sempre secondo la tradizione rabbinica, la pietra del masso del Deserto, la pietra di Giacobbe, la pietra shethiyah e la pietra angolare sono una sola e medesima realtà che designa il Verbo divino, il Messia. Nel libro della Genesi, Giacobbe evoca l'assistenza del «Potente di Giacobbe, da cui viene il Pastore, la Pietra d'Israele» (Gen 49, 24); e commentando questo passaggio, il Rabbi Mosè Nahrnenide dice che «il pastore, la pietra di Israele» non è altro che la «pietra del vertice» di Zaccaria (Zc 4, 7), che «per mezzo di Gesù Cristo [...] è divenuta la testata d'angolo, sasso d'inciampo e pietra di scandalo» 11. Cospargendo l'olio sulla pietra, Giacobbe ne fa davvero un unto, cioè un Cristo (è questo il significato del termine greco christos, corrispondente all'ebraico messia), ed è per tale motivo che dice: «Questa pietra [...] sarà una casa di Dio» 12, bet'el. Betel, «casa di Dio» o «tempio di Dio», ovvero ciò che è esattamente il Cristo. Sarebbe interessante, a questo proposito, approfondire i rapporti segnalati da Filone fra la pietra, che è il messia, e il pane o la manna, rapporti che sono simboleggiati dall'assonanza fra Bet'EI, la «casa di Dio», e Bet'Lehem, la «casa del pane» in cui precisamente nacque il messia che si presenterà come il «pane vivo disceso dal cielo» 13. Le assimilazioni del Messia con le differenti pietre di cui stiamo parlando sono perfettamente giustificate, visto che queste pietre possono essere considerate, a diversi livelli, come dei simboli del Verbo divino. Se il Cristo è la roccia da cui sgorga l'acqua dell'immortalità, è altrettanto vero che egli è Dio e che, in quanto tale, è anche il Centro del mondo, l'Asse universale sul quale sono situate la pietra di Giacobbe, la pietra angolare e la pietra shethiyah 14. Peraltro, la tradizione rabbinica afferma ulteriormente l'identità della pietra di Giacobbe e della pietra fondamentale. Secondo il Midrash Yalkout, Dio «ha sprofondato la pietra di Giacobbe sino alle profondità dell'abisso, e ne ha fatto la base della terra. Per questa ragione essa è chiamata shethiyah». Il Talmud (trattato Thaanit), il Midrash Yalkout e Rabbi Salomon Yarhi affermano che è stata questa pietra ad essere consegnata da Maria, la sorella di Mosè, agli Israeliti nel deserto. Infine, i rabbini dicono che la pietra di Giacobbe è quella «pietra [che] si staccò dal monte» (Dn 2, 34), la quale designa il Messia discendente dal Cielo, quella per cui, davanti a Giosuè, «sette occhi sono su quest'unica pietra» (Zc 3, 9). Così, venerando la pietra di Betel, o pietra shethiyah, è il Messia ad essere onorato misteriosamente nel Santo dei santi a Gerusalemme. Vi è peraltro una comparazione interessante da fare fra la visione della scala di Giacobbe, su cui gli Angeli salgono e scendono, e queste parole di Cristo:

   « Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'Uomo» (Gv 1, 51); altrove Egli dice: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,9).

   Di tutti questi raffronti, per il momento terremo in considerazione quello della pietra shethiyah e della pietra angolare, di cui abbiamo appena parlato, ma di sfuggita. Vedremo adesso come questo collegamento si chiarisca alla luce delle precedenti considerazioni tratte dall'insegnamento rabbinico. Cristo si è definito Lui stesso la Pietra angolare 15; ma egli è inoltre la Pietra fondamentale o shethiyah (cfr. [s 28, 16; 1 Pt 2,4-8 e Rm 9,33, tutti confermati da Rabbi Salomon Yarhi). Dice sant'Agostino: «Cristo è contemporaneamente il fondamento, perché è Lui che ci governa, e la pietra angolare, perché è Lui che ci riunisce». Abbiamo visto che all'estremità inferiore dell'asse verticale che le unisce entrambe, la pietra fondamentale è sul piano terrestre il «riflesso» della pietra angolare. Ora, nelle tradizioni architettoniche la pietra shethiyah è spesso chiamata la «pietra caduta dal cielo»; e l'espressione «pietra caduta dal cielo» si applica perfettamente al Messia, con riferimento alla «pietra staccatasi dal monte» 16 e parallelamente al «pane vivo disceso dal cielo» 17. La «pietra caduta dal cielo» è inoltre chiamata lapis exilis perché è come se fosse «in esilio» sulla terra; ma nelle tradizioni mistiche dell'architettura essa deve «risalire» in cielo. Di fatto, la pietra «risalita» è la pietra angolare, la chiave di volta. Insomma, possiamo dire che la pietra angolare rappresenta il Verbo Eterno che risiede in cielo, mentre la pietra shethiyah rappresenta il Cristo, il Verbo disceso sulla terra. Quanto detto si trova in accordo con la concezione tradizionale che vede nella pietra d'altare più particolarmente un'immagine dell'umanità di Cristo (Durando di Mende). La colonna assiale che unisce le due pietre cristiche è la via salutis - la via di salvezza - che sfocia in cielo; la chiave di volta è la «porta del cielo» - janua coeli -come il vertice della Scala di Giacobbe. Cosmologicamente questo asse è l'asse del mondo, e teologicamente è la Via, cioè lo stesso Cristo che ha detto: «Io sono la Via» 18.

* * *

   A prima vista potrebbe sembrare strano che il Cristo venga rappresentato con una pietra. Ma non dobbiamo dimenticare che la pietra è stata un simbolo della divinità in tutti i paesi e in ogni tempo.

   Secondo le testimonianze di Pausania, nella Grecia arcaica gli dei erano venerati sotto forma di pietre grezze, che più tardi verranno tagliate e che finiranno per diventare delle statue. La famosa pietra bianca di Delfi, l'omphalos (l'ombelico) della terra, segna il centro religioso delle popolazioni elleniche. L' Afrodite di Paphos, lo Zeus Kasios, l'Era di Argos e l' Artemide Patroa erano dei betili.

   Ma fu in Asia che il culto delle pietre si sviluppò particolarmente. La più celebre fra le pietre sacre dell'Antichità, la pietra nera di Pessinonte rappresentante Cibele - la «madre degli dei» -, fu portata a Roma dalla Frigia, il suo luogo di origine. Mitra, che è detto «nato dalla pietra» , veniva dall'Iran. La celebre pietra nera incastonata nella Kaaba della Mecca è un'eredità degli antichi culti delle popolazioni arabe preislamiche; perché - e questo ci interessa in modo particolare - il culto delle pietre si sviluppa soprattutto presso le popolazioni semitiche, specialmente presso i Cananei, vicini immediati degli Ebrei; d'altro canto il termine betel, divenuto in seguito betile e che serve per designare la pietra sacra, è anzitutto un termine cananeo. Ugualmente, quando per consacrare la pietra d'altare il pontefice vi versa dell'olio, egli perpetua in tal modo un rito immemore di cui il gesto di Giacobbe non è che una testimonianza fra altre. In Grecia si facevano delle unzioni con olio sulle pietre dei crocevia, che il più delle volte rappresentavano il dio Ermete; a Benares l'idolo di pietra nera di Krishna riceve quotidianamente questa unzione e il rito è attestato centinaia di volte nei paesi cananei dove l'olio, peraltro, è mescolato al sangue. Tale unzione è evidentemente un rito di «animazione» o di «vivificazione», perché l'olio simboleggia lo Spirito che penetra la materia.

   Alla base del simbolismo della pietra vi è una intuizione primordiale dell'anima umana. La pietra stupisce per la sua possenza e per la sua durata: si teme e si ammira questa massa e questa forza. Essa sorprende ancora per la sua permanenza: la pietra «esiste» fortemente e resta sempre dov'è; c'è in lei qualcosa che oltrepassa la precarietà della vita umana. Così, sebbene essa rappresenti l'ultimo stato dell'essere, il limite inferiore della creazione, il minerale è comunque nel nostro mondo, in virtù di una analogia inversa, molto adatto a rappresentare la Potenza e l'Eternità divina. In un'altra prospettiva la pietra - e noi pensiamo alla pietra d'altare -, per il suo «anonimato» e per l'assenza in essa di qualsivoglia elemento figurativo, è uno dei segni più corretti del carattere informale di Dio, l'immagine «aniconica» della Divinità. È la sobrietà di un tale simbolo che ne fa la grandezza e l'efficacia.

   Dal momento in cui la pietra conquistò un carattere sovrumano e fu ritenuta quale abitacolo della Divinità, essa ereditò anche gli attributi di quest'ultima. E anzitutto il potere creatore. Le tradizioni in cui si dice che gli uomini sono nati dalla pietra abbondano. Ed è così che, per i Greci, dopo il diluvio la nuova razza umana è fuoriuscita dalle pietre lanciate a terra da Deucalione 19. Mitra è «nato dalla roccia». Abbiamo precedentemente visto che questa idea non è estranea presso gli Ebrei, poiché il Signore è invocato con il nome di «roccia» che ha dato nascita agli Israeliti. Ugualmente, il Cristo nasce in una grotta scavata nella montagna conformemente alla profezia di Daniele annunciante che il Messia era la «pietra staccatasi dal monte», e resuscita uscendo da una tomba ricavata nella roccia. Se la pietra può creare, a fortiori può fecondare. È questo il motivo per cui un po' dappertutto si trovano delle pietre della fecondità: a Locronan, in Bretagna, le donne sterili si vanno a sedere sulla «Giumenta di pietra» -o «Sedia di san Ronan» - dove pregano per ottenere la maternità. Identico costume nelle Indie.

   Virtù genesica della pietra e contemporaneamente virtù curativa: nei pressi di Meriadec e di Sainte-Anne d' Auray i contadini colpiti da certe malattie vanno a coricarsi su un megalite scolpito in forma di una coppa enorme. La Chiesa ha quasi sempre «integrato» questi costumi e talora in una maniera molto caratteristica: a Puy la «pietra delle febbri» pre-cristiana, che svolge un ruolo identico al megalite bretone, si trova incastonata nella grande scalinata della basilica davanti al portale centrale.

   Ricollocandola in questo complesso contesto religioso si comprenderà meglio il concetto di «roccia nel deserto» e quello della pietra d'altare che ci genera alla vita spirituale, ci nutre e ci abbevera, e che è la fonte di tutte le grazie. Il concetto si preciserà ulteriormente attraverso il raffronto con uno degli ultimi avatara della pietra spirituale - il Graal, simbolo eucaristico - come viene descritto nel romanzo di Wolfram von Eschenbach. In questo libro il Graal appare come una pietra che alimenta i Templari; la pietra divora e resuscita la fenice, arresta la vecchiaia, ridona la giovinezza e il Venerdì Santo una colomba porta sulla pietra un'ostia, quell'ostia che conferisce al Graal la sua virtù 20.

   Ma nella tradizione giudeo-cristiana questo simbolismo universale della pietra si raddoppia con un simbolismo speciale e più segreto. In ebraico «pietra» si dice aben; ma aben è anche la forma rafforzata del termine ben, cioè i figli. Le due parole provengono da una radice comune che significa costruire, creare. Così il termine «pietra», visto dall'ebraico e attraverso l'ebraico, costituisce un crittogramma di Cristo che esprime il mistero della Sua filiazione. Un tale modo di pensare attraverso crittogrammi è da collegare, beninteso, alle applicazioni della gematria all'architettura che precedentemente abbiamo segnalato 21.

   Forse adesso è possibile rendersi un poco più conto del valore e del ruolo straordinario dell'altare nel tempio. Se il tempio di pietra è l'immagine della Gerusalemme celeste, del Regno dei cieli -autentico Tempio spirituale composto da «pietre vive» unite fra loro dalla «Pietra angolare» che è Cristo -, la Chiesa è già virtualmente sulla terra questa Gerusalemme e, a un livello inferiore, si può dire altrettanto dell'assemblea riunita nel tempio per il sacrificio divino. Ora, di questa assemblea la pietra d'altare è il centro spirituale, perché essa è invisibilmente la figura rituale di Cristo, anche se realmente presente fra i credenti.

   Peraltro, se l'altare è il Cristo e il Corpo di Cristo, allora dobbiamo comprendere quest'ultima espressione in tutta la sua ampiezza: essa designa anche il Corpo mistico. Tale è la significazione delle reliquie che sono inserite obbligatoriamente in ogni pietra d'altare. Quale che sia l'origine di questo rito, ciò che ci interessa è il significato che riveste e che indica il rituale di consacrazione. Esso si appoggia su un brano dell' Apocalisse ove si dice che le anime dei santi sono poste sotto l'altare di Dio (Ap 6, 9). Così nasce la seguente antifona: «Santi di Dio, voi che avete preso posto sotto l'altare di Dio, intercedete per noi. I santi saliranno nella gloria e si riuniranno nelle loro dimore». Origene commenta così il passaggio: «Felicissime sono quelle anime che la Scrittura ci mostra poste sotto l'altare di Dio e che hanno così potuto seguire Cristo fino a pervenire a questo altare in cui si trova lo stesso Signore Gesù, Pontefice dei beni futuri». Si potrebbe ancora vedere in questo rito un'applicazione delle parole dell' Apostolo: «La vostra vita è ormai nascosta con Cristo (altare) in Dio!» (CoI3, 3).

* * *

   La tradizione interiorizza ulteriormente il simbolo dell'altare, del resto in conformità con il suo posto nel tempio. L'altare non è soltanto il Corpo di Cristo, perché più intimamente ancora esso è il Suo Cuore.

   Il suo posto corrisponde a quello della croce di legno posata per la benedizione della prima pietra sotto l'arco trionfale, nel punto di intersezione dei bracci del transetto e della navata. «Il cuore è posto nel centro del Corpo come l'altare lo è nel mezzo della navata» (Durando di Mende). Cristo è assimilato a un centro, a un cuore vivo che infonde la vita a tutte le membra per mezzo del suo sangue. Il cuore di Cristo è il luogo del Suo amore infinito e nello stesso tempo il centro ontologico della Sua Persona e di tutto il Corpo. Anche Nicolas Cabasilas identifica il Cuore con l'altare: «È da questo Cuore beato che la virtù della santa tavola attira su di noi la vera vita. [...] Conformemente a quello che è il ruolo normale del cuore e della testa, noi siamo mossi e viviamo come il Cristo vive Lui stesso. [...] Egli ci comunica la vita come fanno il cuore o la testa alle membra». Così l'Altare unisce le membra del Corpo mistico nel loro vero centro, il Cuore divino, che è anche il Cuore del Mondo. L'altare rappresenta nel microcosmo del tempio quel Cuore del mondo che è il Cuore di Dio, da cui il Signore ha fatto sentire la sua azione creatrice nelle sei direzioni dello spazio, come afferma il passaggio di Clemente d' Alessandria che abbiamo già citato. Ecco perché, come dicevamo all'inizio di questo capitolo, l'altare è il vero centro dell'edificio sacro, il punto focale a partire dal quale devono irradiarsi tutte le sue componenti architettoniche. Anche in questo caso il simbolismo cosmico sottende il simbolismo mistico.

   La posizione centrale dell'altare nello stesso luogo del cuore determina ugualmente il suo ruolo nella vita spirituale dell'individuo, così come in quella della comunità. L'altare è assimilato al cuore dell'uomo: ed è su questo altare del cuore che l'uomo deve operare il grande sacrificio santificatore. Dice ancora Durando di Mende: «L 'altare è il nostro cuore sul quale dobbiamo compiere il sacrificio». E inoltre: «L 'altare è la figura della mortificazione del cuore nel quale tutti i movimenti carnali sono consumati dal fervore dello Spirito ». Quest'ultimo tratto è un'allusione al fuoco perpetuo che secondo il Levitico deve essere sempre tenuto acceso sull'altare (Lv 6, 9-12). Commentando questo libro dell'Antico Testamento Procopio di Gaza (VI secolo) ci dice che l'olocausto è acceso nei nostri cuori dal fuoco conservato perpetuamente che è il fuoco portato sulla terra da Cristo. Lo spirituale immola sull'altare del cuore il proprio io e, una volta deificato, si identifica al Cuore di Cristo. Egli si stabilisce allora nel centro di tutti i mondi, è fissato al centro dell'Essere «tenendo l'Intelletto immobile, come l'asse dei cieli, guardando come verso un centro l'abisso del cuore» («Centurie spirituali», nella Filocalia). 

   Per riprendere il linguaggio del simbolismo architettonico, possiamo perciò dire che lo spirituale, sull'esempio dei costruttori «passati dalla squadra al compasso», è risalito, seguendo la «colonna assiale», dalla pietra fondamentale alla pietra angolare, cioè al punto in cui si «comprende» tutta l'intima disposizione dell'edificio e da cui si vede realmente il mondo intero con l'occhio di Dio. Dice san Massimo il Confessore: «Come al centro del cerchio vi è quel punto unico in cui sono ancora indivise tutte le rette che da qui dipartono, così in Dio colui che è stato giudicato degno di pervenirvi conosce tutte le idee delle cose create con una scienza semplice e priva di concetti».


NOTE

1. [Sal 43, 4; il versetto viene usato nell'antifona all'ingresso delle celebrazioni secondo il vetus ordo missae del rito latino. Annotiamo in questa occasione che, in ragione della data di redazione originaria del presente testo, quando si incontreranno brani della liturgia latina essi saranno tratti dal vetus ordo missae].
2. In effetti, 1'altare non è solamente una tavola, ma anche e soprattutto una pietra. L'altare - in senso stretto quello che chiamiamo un «altare fisso» - è un'unica pietra naturale che poggia a sua volta su una base di pietra, o almeno su quattro piedi o montanti di pietra. Negli «altari» di legno la sola cosa che merita il nome di altare è la pietra incastonata al centro di questa tavola che è, parlando appropriatamente, un «altare mobile».
3. [Ap 13, 8].
4. [Circa le prescrizioni sulla costruzione del Santuario e sui suoi ministri, cfr. Es 25-31].
5. [Gv 6,51].
6. [Gen 28, 17].
7. Cfr. Ch. Ladit, La mosquée sur le roc. 1966.
8. [Sal 74, 12].
9. Si vedano le citazioni complete con le relative fonti in La Maison-Dieu, n. 29.
10. Si confronti con l'espressione «altare celeste del Verbo» della liturgia siriaca (cfr. supra).
11. [1 Pt 2, 5 e 7-8 e At 4, 11; il riferimento è a Sal 118, 22].
12. [Gen 28, 22]. 
13. [Gv 6, 51].
14. Ne abbiamo una conferma attraverso la gematria. L'espressione eben shethiyah, quando si legge «pienamente» l'aleph iniziale (= 111), dà il numero 888. Abbiamo già visto che in greco questo è il numero della parola IHCOVC (Gesù).
15. [Cfr. Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,19].
16. [Cfr. Dn 2,34].
17. [Gv 6,51]
18. [Gv 14. 6].
19. [Cfr. Apollodoro 1,7, 2; Ovidio, Metamorfosi, L 260-415. L'episodio delle pietre che si trasformano in uomini (al punto che «gente» - laos - e «pietra» - laas - sono designate pressappoco con la stessa parola in molte lingue) è un prestito fatto dall'Oriente alla cultura elladica; il Battista riprende una simile leggenda in un gioco di parole con i termini ebraici banim e abanim dicendo che Dio può far sorgere i figli di Abramo dalle pietre del deserto (Mt 3, 9; Lc 3, 8)].
20. Cfr. Wolfram von Eschenbach, Parzival, 469-470.
21. Ecco un'altra conferma attraverso la gematria: il numero di eben («pietra») e quello di dabar («Verbo») ottenuti per riduzione, sono lo stesso, cioè 8. Questo è un numero cristico perché, lo abbiamo già detto, la sua tripla ripetizione (888) ci dà il numero di IHCOVC (Ieshua, in ebraico).


[*] Fonte: Jean Hani, Il simbolismo del tempio cristiano (pag. 115-133), Edizioni Arkeios, Roma 1996

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