I Documenti del dialogo (ebraici ed ebraico-cristiani)


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Dabru emet
(Direte la verità)
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La Commissione per i Rapporti con l'Ebraismo (Santa Sede)
Castel Gandolfo, 24.05.2005
Dialogo: tre sfide per crescere
Santo Sinodo della Chiesa Serba sull'antisemitismo
Comunicato 24 marzo 2005
12a Assemblea Plenaria del Congresso Ebraico Mondiale
Risoluzione sulle relazioni interreligiose - gennaio 2005
Trentanni della Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo. Percorsi fatti e questioni aperte, oggi.
. Rav Riccardo Di Segni
. Card. Walter Kasper
. Intervista Norbert Hofmann
Roma, 19 ottobre 2004
Vaticano e Gran Rabbinato d'Israele: Gerusalemme sia sacra per tutti 19.10.2004
Comunicato congiunto
Buenos Aires 8.07.04
Giustizia e Carità
Comunicato congiunto Gerusalemme 3.12.03
Insegnamento Scrittura
10-11.3.2003, Parigi
2° Incontro Europeo - Collegamento  Cattolico Ebraico
. Notizie preliminari
. Dr. Richard Prasquier
13-27.2.2003, (Roma) Grottaferrata - dialogo sui temi della vita oggi
11.2002, Gerusalemme
Dichiarazione sugli Studi Giudaici
11.2002, U.S.A.
Ebrei e Cristiani: quale salvezza?
28.10.02 - 37° Anniv.
Nostra Aetate 
Discorso Card. Kasper
1° Incontro Europeo Collegamento  Cattolico Ebraico
. Lettera del Papa 
. Dichiarazione comune
. Comunicato Chiesa di Francia 31.1.2002
Dichiarazione dei Rabbini americani
Lettera del Rav. Joseph Levi   2002
Comitato Internazionale di Collegamento JC
. 17a Riunione - 2001
. Comunicato Kasper
. Dichiarazione: Libertà religiosa e Luoghi Santi
. Dichiarazione: Corsi nei seminari J e C
Discorso di Giovanni Paolo II in Ucraina 2001
Per sviluppare il dialogo
Spunti di rinnovo
Abécassis, 12/2001
Condizioni
Abécassis, 3/2000

Intervento del Rav Giuseppe Laras   2000

Non più accettare...
Giovanni Paolo II 1997
Documento di Praga 1990
Il Papa al Tempio Maggiore di Roma
1986 e 10 anni dopo...
Intervista al Rav Toaff
1996
Un dialogo emblematico
Intervista a Rav Sheer
1999
Paolo VI al Comitato Internazionale di Collegamento      1975

 

 

 

   
Giuseppe Laras

Un intervento del rabbino capo di Milano a partire dall'articolo di don Giussani pubblicato su la Repubblica del 2 gennaio 1999, dal titolo: «Noi siamo degli ebrei». I motivi di un dialogo che deve continuare, a partire dalla comune radice e dalla storia che ne è nata


A distanza di sessant'anni dall'emanazione delle norme anti-ebraiche del regime mussoliniano, a chi mi chiede un commento, un'impressione o un ricordo che riassuma l'impatto che quella normativa scellerata ebbe sugli ebrei italiani, che dall'oggi al domani scoprirono di non essere più uomini e donne normali, ma una sorta di "paria" emarginati ed estromessi dalla vita, che fino a poco tempo prima, bene o male, riuscivano a condurre insieme agli altri cittadini, io rispondo con una parola: incredulità.

Al di là, infatti, del dolore, delle preoccupazioni e della disperazione che un tale stato di cose induceva in tutte le famiglie degli ebrei d'Italia, lo stupore per un'iniziativa tanto criminale quanto ingiusta, in me (allora ero piccolissimo) e nei miei era prevalente su altri sentimenti, anche se in realtà chi avesse tenuto d'occhio i segnali sempre più intolleranti che emergevano dalla politica del regime già da diversi anni, si sarebbe accorto che qualcosa di efferato stava maturando contro gli ebrei.

Oggi, con riferimento a quei giorni, sono più portato a chiedermi come sia potuto accadere che la popolazione, cioè la gente comune, i colleghi, i conoscenti dei quarantamila ebrei italiani, nella loro stragrande maggioranza, non abbiano reagito, non abbiano mosso un dito, non abbiano detto una parola magari solo di solidarietà e di condivisione nei confronti delle vittime, fino a pochi giorni prima persone libere e normali come loro.

Ricordando la Shoah

A pensare e scrivere queste cose mi induce una lettera di Luigi Giussani pubblicata su la Repubblica del 2 gennaio scorso, intitolata «Noi siamo degli ebrei». Don Giussani si riferisce al rifiuto di Pio XI di dare un avallo alle leggi razziali, come gli veniva richiesto, rifiuto formulato più o meno con le parole «Noi siamo spiritualmente degli ebrei».

È certo che questa frase torna ad onore del Papa di allora, ma, a un tempo, fa emergere in maniera drammaticamente evidente come quei nobili e religiosi sentimenti non fossero di fatto condivisi e testimoniati dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani di allora, tutti di fede cattolica. E viene, in particolare, da chiedersi - stimolati dalle parole elevate di don Giussani - quale concezione dell'uomo sia stata insegnata e trasmessa a quella generazione, se si è potuto abbandonare alla persecuzione e alla morte - senza dire o fare pressoché nulla - uomini, donne e bambini che, ancorché colpevoli di essere ebrei, erano pur tuttavia portatori, assieme a tutti gli altri uomini, del marchio divino (immagine=zélem) che conferisce una sorta di sacralità da non conculcare e da non profanare mai.

Debbo riconoscere che da quei tempi lontani a oggi, è stato percorso un lungo tratto di strada che ha consentito al popolo cristiano (almeno in una sua parte che non sono in grado di quantificare, ma che è comunque qualitativamente rilevante) di vedere con altri occhi e con altro cuore gli ebrei, riscoprendo nella loro lunga e misteriosa storia spirituale taluni elementi comuni che spiegano e giustificano alcuni tratti dell'identità religiosa dello stesso popolo cristiano.

La storia di Israele

Sono gli effetti del cosiddetto "dialogo" che, sia pur faticosamente, sta plasmando un nuovo tipo di approccio da parte di cristiani ed ebrei nei confronti gli uni degli altri.

Io oso pensare - anche in questo particolare contesto ci si sente troppo inadeguati e fragili per esprimere giudizi e previsioni - che da parte della Chiesa si dovrebbe insistere di più (anche se già qualcosa si sta facendo in tale direzione) per una maggior conoscenza della storia e della spiritualità di Israele, al fine di riuscire a restituire un "volto ebraico" a Gesù.

Che cosa significa "un volto ebraico"? Significa che fino a pochissimo tempo fa il volto, la figura, la vita, i pensieri, la lingua di Gesù non avevano alcunché che ricordasse l'Ebraismo e l'ebraicità. Eppure Gesù era ebreo e, fino alla sua morte, si muove e opera all'interno di un'ottica, religiosa e comportamentale, assolutamente ebraica.

Una tale operazione di estraneazione di Gesù dal popolo d'Israele - che risponde evidentemente a motivi politici, apologetici e quant'altro in cui, peraltro, non sono legittimato a entrare - ha, secondo me, posto le premesse e acuito un antisemitismo divenuto sempre più virulento e aggressivo.

Il recupero della figura di Gesù all'interno di un contesto ambientale dominato da idee, concezioni e usi appartenenti alla tradizione d'Israele, potrebbe - col tempo, con perseveranza, con pazienza, con l'ottimismo che nasce dalla fede in un futuro pacificato e affratellato, giusta la concezione messianica - rivelarsi la carta vincente risolutiva della partita contro l'antisemitismo cristiano.

Ritrovamento e riconciliazione

Occorre che cristiani ed ebrei vadano avanti in questo cammino di ritrovamento e di riconciliazione, ciascuno con la sua fede e le sue certezze, nella consapevolezza che un superiore e misterioso disegno provvidenziale entrambi ci coinvolge e ci guida fino al momento, quando Dio vorrà, del suo disvelamento.

Come scrive don Giussani, penso anch'io che la fedeltà nell'attesa di Dio sia faticosa e possa talvolta tradursi in uno stato doloroso del credente. Aggiungerò solo che la certezza di un domani che sarà migliore di oggi (è questa la quintessenza della dottrina messianica d'Israele), unita a un senso di umiltà, che dobbiamo ritrovare in vista di un appuntamento così promettente e grandioso, potrà forse liberarci dalle angosce e dalle ingiustizie del presente.

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